Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


n° 18

 


VIVERE QUI INSIEME 


Monaci di Tibhirine






di Guido Dotti

 

I monaci trappisti di Tibhirine, fotografia di pubblico dominio

Dopo [la visita e le minacce della notte di] Natale 1993, noi tutti abbiamo scelto nuovamente di vivere qui insieme […] e la morte brutale – di uno di noi o di tutti insieme – sarebbe solo una conseguenza di questa scelta di vita alla sequela di Cristo.

 

Fr. Christian de Chergé e gli altri monaci di Tibhirine, Più forti dell’odio, Qiqajon, Bose 20102, p. 196.

 

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Per cogliere tutto lo spessore spirituale della testimonianza cristiana dei monaci di Tibhirine al cuore dell’islam algerino, il testamento del loro priore fr. Christian resta il documento più profondo e lucido, ma non se ne coglierebbe tutta la portata senza gli scritti – lettere circolari, comunicazioni, resoconti – che periodicamente la comunità dei trappisti inviava per “rendere conto della speranza che era in loro” (cf. 1Pt 3,15) e che animava e sosteneva le loro vite.

Così, dopo l’irruzione di un gruppo di “fratelli della montagna” (come i monaci chiamavano i gruppi armati di islamisti contrapposti ai militari dell’esercito algerino, “i fratelli della pianura”), il capitolo della comunità è chiamato nuovamente a riflettere sugli eventi e a valutare l’opportunità di lasciare il monastero per non finire vittime della violenza. È proprio nel contesto capitolare – là dove ogni comunità sperimenta il proprio essere “un corpo e un’anima sola” nonostante le differenze di età, sensibilità, formazione culturale – che un orientamento assume la forma della decisione sinodale: insieme i monaci scelgono nuovamente di vivere insieme. Lo avevano già scelto personalmente, quando ciascuno di loro aveva deciso di entrare a far parte di quel preciso monastero, in quella terra e in quel contesto così aspro e affascinante, accettando la sfida di un’incarnazione del testimonianza evangelica in terra d’Algeria.

Ma ora devono trasfigurare quella somma di decisioni personali in un’assunzione di consapevolezza comunitaria: riaffermare di voler “vivere qui insieme” significa fissare la propria vita in un luogo preciso e con fratelli precisi, con determinati vicini e radicati in determinata una cultura. Ed è una “scelta di vita”, anche qualora comportasse, come effettivamente comporterà, una “morte brutale”. I monaci di Tibhirine non scelgono la morte né il martirio, non scelgono di essere uccisi e di morire come tanti loro amici sia cristiani che musulmani. Scelgono di vivere nonostante l’orizzonte di morte che si profila, e questo loro scelta – libera, ponderata e assunta comunitariamente – è una scelta di “sequela di Cristo”. Decidono di restare saldi, radicati in un luogo preciso per camminare – e camminare insieme – dietro a Cristo.

Fare sinodo, allora, è anche ricordare il loro gesto “sinodale” come testimonianza di una vita vissuta insieme per Cristo fino alla fine e farne tesoro per la vita della Chiesa tutta: “Tibhirine” significa “giardino” e coltivarne la memoria non è rivangare il passato, ma dissodare il futuro.

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Christian de Chergé, Luc Dochier, Christophe Lebreton, Bruno Lemarchand, Michel Fleury, Célestin Ringeard, Paul Favre-Miville († 21 maggio 1996), monaci del monastero di Notre Dame de l’Atlas a Tibhirine (Algeria), vengono rapiti il 26 marzo 1996. Il 21 maggio seguente un gruppo di fondamentalisti islamici annuncia di averli sgozzati e fa ritrovare le loro teste. L’8 dicembre 2018 sono proclamati beati, assieme al vescovo Pierre Claverie e altri undici religiosi e religiose martiri.



Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org