Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org










14. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



25. Nei vangeli (Mc 4, 12; Mt 13, 13) Gesù dice chiaramente che parla attraverso parabole affinché la gente non capisca. Peggio: dando di più a chi già ha e togliendo quel poco a chi ha poco (Mc 4, 25; Mt 13, 11s.) Gesù sembra favorire una cerchia ristretta, e crea disuguaglianza. In altre occasioni Gesù dice di non essere venuto a portare la pace, ma la spada (Mt 10, 34); oppure: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Lc 12, 49-53), tanto che «Se uno viene a me e non odia il padre, la madre, la sposa, i figli …non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26). E in Lc 90, 60 Gesù non lascia neanche che il figlio seppellisca il padre, cioè gl’impedisce un atto di rispetto e di misericordia che vige in tutte le culture.

Non mi sembra proprio un atteggiamento amorevole e misericordioso, e se guardando a Gesù si vede Dio, non mi sembra che Dio sia poi così buono. E poi come può essere considerato buono un padre che manda a morte il proprio figlio neanche per colpe sue, ma per colpe di altri?

Certo, per prima cosa «bisogna cancellare, dimenticare l'immagine che Gesù ha pagato per i nostri peccati per salvarci l'anima. Pagato a chi? Al Padre. Ma questa è una bestemmia! Il Padre, per darci il perdono, per accoglierci in paradiso, aveva bisogno di mandare il figlio a morire sulla croce! Che bestemmia! Allora non è vero che il Padre è bontà, non è vero che è amore infinito! Non è vero che posso chiamarlo Padre! Non chiamerei mai padre colui che ha voluto questa morte così infame, così crudele di mio fratello»[1].

L’idea paolina secondo cui Dio fece suo Figlio peccato in nostro favore (2Cor 5, 21), sì che sulla croce, insieme a Gesù, è come se fossero stati inchiodati anche i nostri peccati, in modo che tutti sono morti con lui, oggi non è più accettabile,[2] anche se Paolo l’aveva tratta dalla tradizione biblica: infatti, una volta all’anno, il sacerdote imponeva le mani sul capo del capro vivo, confessava su di esso tutte le colpe del popolo, e poi lo mandava via a morire nel deserto (Lv 16, 21s.). Ecco il capro che porta su di sé i peccati di tutta la comunità e la colpa del popolo viene allontanata e cancellata. Chiaro che, quando Paolo dice che Gesù ha preso su di sé tutti i peccati di tutti gli uomini, si rifà a questo rito biblico. Ho già spiegato rispondendo alla domanda n.14 come seguire questa strada fosse l’unico modo per poter far accettare nella cultura dell’epoca la positività di un uomo finito sulla croce, e come Gesù non abbia espiato un bel niente. Gesù ci salva non perché ha offerto a Dio una riparazione dei peccati al posto degli uomini, espiando al posto nostro i nostri peccati, ma perché estirpando il peccato del mondo (Gv 1, 29 parla al singolare) ha tolto quella cappa che impediva agli uomini di vedere che Dio ci ama, perché ha offerto a tutti i peccatori la forza dello Spirito di Dio, che purifica e rinnova. Se il Dio di Gesù è il Dio della vita, la vita non cresce uccidendo le persone. Dio, attraverso Gesù, regala qualcosa agli uomini, non sacrifica il Figlio. Vedo però che questa interpretazione ormai superata esiste ancora in molti settori della Chiesa.

Poi bisogna far sempre attenzione a non estrapolare una singola frase dal contesto. Se prese fuori del contesto, siamo davanti a frasi che pericolosamente escludono l’amore e portano dritti alla violenza[3]. È quello che fanno molti musulmani quando vogliono denigrare il Vangelo, ed è quello che fanno molti cristiani col Corano quando, estrapolando solo delle frasette violente[4] vogliono far credere che l’islam sia una religione brutale ed oscurantista: simili operazioni riduttive sono già una forma di violenza, perché in tal modo si tende a demonizzare l’altro[5].

Pertanto, solo dal contesto si capisce che Gesù dichiara di essere un segno di contraddizione perché, anche senza voler causare discordie, le provoca necessariamente per le radicali esigenze di scelta che richiede:[6] Gesù non chiede né violenza, né odio, ma distacco completo dallo stile di vita precedente, e sa già che questo porterà inevitabilmente alle discordie in famiglia. La famiglia si basa su tradizionali e consolidate relazioni di potere: padre-figlio, madre-figlia, suocera-nuora, e Gesù libererà la famiglia da questi vincoli che impediscono la crescita personale, da certi ricatti affettivi che soffocano l’individuo ricordandogli che spesso «i nemici dell’uomo sono i suoi familiari» (Mt 10, 36). Si vede da qui che Gesù non è certamente uno strenuo difensore della famiglia, per la quale la Chiesa oggi tanto si batte. Contestando poi chi cerca ricchezza e potere, troverà l’opposizione anche violenta da parte di chi teme di perdere i privilegi acquisiti.

Quella di Gesù non sarà la spada della violenza, ma sarà sicuramente la spada della divisione, perché la novità che annuncia è talmente grande, è talmente frizzante e innovativa, che il vino nuovo non può essere contenuto in otri vecchi (Mc 2, 22)[7]. Illuminante, all’inizio del Vangelo di Luca, è la definizione che Simeone aveva dato di Gesù bambino quando l’aveva preso in braccio davanti al Tempio: «Egli sarà un segno di contraddizione» (Lc 2, 34), perché le scelta di seguire la via indicata da Gesù è costosa in termini di impegno nella vita. Ecco che la spada dividerà figlio dal padre o dalla madre (Mt 10, 35), e trapasserà anche Maria (Lc 2, 35), come ben si vedrà, ad esempio, nel momento in cui Gesù non riconoscerà neanche lei come sua madre, visto che anche lei resta con quelli del clan, a debita distanza dal cerchio degli impuri che stanno attorno a Gesù (Mc 3, 33). Maria deve aver avuto una vita ben dura con questo suo figlio!

Gesù poi parla in parabole perché sta dicendo esattamente il contrario di quello che le folle si aspettano. Ad esempio, tutti si aspettano l’arrivo di un Messia vendicatore. Quando Gesù parla direttamente e cerca di far capire che il Messia non porterà la vendetta di Dio, non distruggerà i nemici di Israele, la gente s’infuria e tenta di ammazzarlo (Lc 4, 28s.). La nuova immagine di Dio, amorevole e misericordioso, non viene accolta facilmente. L’esempio del padre misericordioso rispetto al figliol prodigo e al figlio più grande sempre obbediente, fornito con la parabola (Lc 15, 11ss.), dovrebbe portare le persone a meditare perché devono arrivare da sole a capire che, se così si comporta Dio con noi, dobbiamo dedurre che Dio non distrugge chi non segue le sue indicazione e neanche si vendica. Dalla parabola si vede che il Padre, cioè Dio, non solo accoglie festosamente il figlio minore scapestrato, senza chiedergli nulla (neanche di pentirsi e di fare penitenza[8]), ma quando parla del figlio maggiore, pio e sempre obbediente, tutti noi siamo interpellati e ci viene chiesto con chiarezza: cosa stiamo facendo della vita che nostro Padre ha dato a noi, e a tanti fratelli nostri che forse disprezziamo, che forse vorremmo restassero fuori da una casa che deve essere aperta soltanto per noi, lontani da un tavolo dove solo noi abbiamo diritto di sederci perché siamo i migliori; e se ci sono gli altri, preferiamo non sederci[9]. Non sarà che forse oggi stiamo affrontando il problema degli immigrati come il fratello maggiore della parabola affrontava il ritorno del proprio fratello? E noi che ci credevamo tanto buoni, se cominciamo a pensare alla parabola, scopriamo di avere dentro di noi desideri di vendetta, rabbia, il desiderio cattivo di farla pagare all’altro. La parabola ci fa toccare con mano che non siamo affatto buoni, ci fa conoscere i reali sentimenti che abbiamo nel cuore, ma ci offre anche un’occasione per convertirci perché ci chiarisce che se alle nostre tavole, se nei nostri altari non c’è posto per gli ultimi, per i peccatori impuri, Gesù non si siede in mezzo a noi, anche se continuiamo a credere di essere gli unici suoi invitati. Era dura da accettare allora, e lo è anche oggi.

Ecco perché Gesù, quando si rende conto di non essere capito se parla direttamente, cambia strategia pastorale e comincia a parlare soprattutto con parabole. Le parabole – come ben spiega don Luciano Locatelli, - non sono storielle con una morale: in realtà sono una trappola perché uno comincia ad ascoltarle come fossero storielle, ma improvvisamente si trova lui dentro alla storiella e deve lui decidere cosa fare. Le parabole di Gesù non hanno una morale da farci capire; ci illustrano piuttosto una situazione rispetto alla quale ciascuno deve poi posizionarsi. Quindi la domanda non è cosa dice la singola parabola, ma cosa dice a ciascuno di noi e cosa facciamo in seguito. Allora non basta ascoltare le parabole: bisogna comprendere quello che si ascolta, e per far questo è necessario essere aperti e disponibili a quanto viene proposto, occorre meditare con la propria testa. Gesù dà una speranza: se è vero che “vedono e non percepiscono, ascoltano ma non capiscono”, è anche vero che se c’è reale conversione, una capacità di auto-critica, tutto questo diventa improvvisamente possibile. Chi invece ascolta senza cambiare modo di pensare, senza ravvedersi, è uno stolto. Nel passo Mc 4, 12, da Lei citato, Gesù non sta parlando dei ricchi e dei poveri, ma appunto degli stolti. E la stoltezza è anche l’ultimo dei peccati elencati da Gesù: chi conserva il cuore duro, chi non accetta i cambiamenti, chi non si apre, resta fuori e non riesce a capire. Occorre discernimento anche di fronte a un insegnamento che viene dal magistero: «perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12, 57), senza obbedire sempre a quello che vi hanno detto nella sinagoga (cioè in chiesa). Dobbiamo noi essere attenti, badare bene a cosa ascoltiamo, per cui siamo sempre noi a doverci dare delle risposte, siamo noi a dover discernere ciò che è meglio per noi e per gli altri, senza paura di assumerci le nostre responsabilità, ma anche senza pretendere di scaricare sugli altri quello che è compito nostro. Nelle parabole Gesù scardina l’idea che ci siamo fatti di Dio, perché Dio non è mai come lo pensiamo. Se capiamo la parabola, capiamo che viene messo sempre in crisi il concetto di Dio che noi abbiamo introitato e fatto nostro. Se pensiamo alla parabola del padre misericordioso è evidente che Dio è altro da quello che pensavamo, mentre se la prendiamo alla lettera, resta una storiella che riguarda un padre e i suoi due figli. Ma se non vogliamo accettare quest’idea innovativa di Dio, se restiamo ancorati al Dio che deve far paura, che punisce tutti i peccatori, siamo degli stolti, e la stoltezza è un peccato[10] (Mc 7, 22), almeno secondo Gesù. Lo stolto nel vangelo è in particolare colui che non segue le indicazioni di Gesù sul come vivere (seguendole si collabora nella costruzione del Regno di Dio), vive pensando a sé stesso, accumulando per sé stesso senza condividere con gli altri[11]. C’è nel vangelo di Luca, la parabola del ricco che accumula, accumula e il Signore dice: “oh stolto, stanotte stessa morirai e tutto quello che hai accumulato, a chi andrà?” (Lc 12, 20).

Nella parabola dei due creditori, inserita nell’episodio osé della prostituta che si struscia contro Gesù (Lc 7, 41ss.) non è solo il fariseo Simone, ma anche ciascuno di noi a restare intrappolato, perché ognuno di noi deve decidere qual è la sua immagine di Dio: è quella propria del fariseo, che pensa a un Dio severo, che giudica immorale la condotta della prostituta e la respinge in quanto peccatrice, mentre aspetta per sé il premio visto che segue tutti i 613 precetti?[12] Oppure è quella di un Dio che non guarda ai meriti ma ai bisogni[13] e offre il suo amore gratuitamente? E la stessa scelta si deve fare nella parabola del pubblicano e del fariseo (Lc 18, 9ss.), dove Gesù spiega che il pubblicano ha effettivamente delle colpe e il fariseo segue effettivamente la legge, ma alla fine è il fariseo a tornare a casa con tutta la sua giustizia, ma senza la giustizia di Dio[14]. Se Dio è Padre di tutti, come posso pensare che stia solo dalla mia parte?

Neanche il Regno di Dio è come lo pensiamo. La stessa Chiesa a un certo punto della storia considerò sé stessa l’unica società perfetta[15]. Che supponenza! Il regno di Dio avanza per fortuna nonostante quello che fanno gli uomini (Mc 4, 27), e senza grandi apparizioni. Il Dio di Gesù si fa visibile negli elementi del pane e del vino, umili segni che al tempo stesso rivelano ma anche nascondono il Senza Fine. Anche il nostro incontro con Lui non avviene con grandi squarci nel cielo, con suoni di trombe, ma in maniera soft, e spesso con la presenza di persone sofferenti. Gesù parla del granello di senape, pianta insignificante che sta nell’orto di tutti (Mc 4, 31). In Israele, invece, tutti si aspettavano l’imminente regno come un imponente cedro del Libano, maestoso e visibile a tutti (Ger 22, 7; Is 10, 14ss.; Sal 80, 11). E noi ancora pensiamo al Regno di Dio come un qualcosa di grandioso, un’esibizione di potenza e di sfarzosa ricchezza. Per questo pensiamo che più grandiose sono le cerimonie fatte in chiesa, più ci si avvicina a Dio. Più preghiamo cantando, e più la nostra preghiera vale e permette di salire verso Dio. Invece Gesù fa capire che il Regno viene quando un emarginato viene da noi reinserito nella società: il che – come diceva Ernesto Balducci,- non può avvenire se la società non si rimette in discussione, se non si fa domande.

Perciò quando Gesù dice che «A colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha» (Mt 13, 12; Mc 4, 21) non sta dicendo che i ricchi saranno ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri. Sta di nuovo dicendo che occorre ravvedersi, cambiare modo di pensare, per cui a chi si è convertito producendo vita per gli altri, il Padre regala ancora più vita; ma a chi non ha donato nulla, trattenendo tutto per sé, non solo non verrà dato più niente, ma verrà perfino tolto quel poco di vita che ancora ha (= l’ultimo soffio di vita biologica). In altre parole non sarà più nulla perché subirà la distruzione totale, la seconda morte. Nel libro dell’Apocalisse si parla specificamente di morte seconda (Ap 20, 6; 21,8). Si muore forse due volte? Sì, e anche questo i preti non ce l’hanno spesso detto. Esistono due morti; la prima è la morte biologica. Anche oggi, senza che uno se ne accorga, sono morte milioni di sue cellule, domani ne morranno altrettante, ma lui continua a vivere tranquillamente, senza che se ne accorga. Poi arriva anche il momento della morte biologica dell’individuo, la prima morte: gli altri se ne accorgono, ma se la morte biologica incontra una persona carica di amore, carica di vita, questa morte non le fa assolutamente niente: è questa la risurrezione, una seconda nascita, cioè il passare indenni attraverso la morte biologica.

In altre parole, se l’amore cristiano non ha prodotto frutti per la giustizia, per il miglioramento della vita di altri che abbiamo incrociato sulla nostra strada, possiamo aver ascoltato cento volte tutte le parabole, ma inutilmente: non abbiamo capito la Parola.

Con “Chi non odia suo padre e sua madre…chi non solleva la sua croce” (Lc 14, 26s.) siamo chiaramente davanti a esigenze quasi impossibili[16] perché noi in realtà pensiamo che è possibile essere seguaci di Gesù e continuare ad amare padre, madre; è possibile essere seguaci di Gesù e portare un po’ la croce, ma senza esagerare troppo, soprattutto senza rinunciare proprio a tutto (in particolare al nostro benessere conseguito nel mondo occidentale). In realtà quello che Luca ci vuol far capire è che nessuno di noi, proprio nessuno, può vantarsi di essere vero seguace di Gesù. Le esigenze della sequela sono così radicali, che per farlo dovremmo smettere di vivere, in un certo senso. Luca pone perciò tutti su un piano di uguaglianza e tarpa le ali soprattutto a quelli che si reputano veri credenti: anche quelli che noi consideriamo peccatori, impuri, sbagliati, sono allo stesso livello dei ‘veri’ credenti; o meglio, i ferventi credenti sono uguali a loro. Che shock!

“Eh! Ma come puoi pensare di mettere un santo sullo stesso livello di un peccatore?” protesterà l’intransigente e fervente credente. “Non si può fare un unico calderone e dire che tutti gli esseri umani sono ugualmente buoni o cattivi. Non vedi l’abissale differenza fra Madre Teresa di Calcutta e una prostituta?”

“Invece sono tutti alla stessa distanza del sole. Pensi che la distanza diminuisca davvero se vivi in cima a un grattacielo?”[17]

E proprio in questo contesto Luca ci riporta a un Gesù che mangia tranquillamente con i peccatori, con i pubblicani (non con i ferventi credenti: cfr. Lc 15, 1s.), e comincia a raccontare delle storie interessanti per spiegarci come dobbiamo intendere questo Dio, ad es. con la parabola della pecora smarrita, del figliol prodigo, eccetera (Lc 14, 26ss -15, 3ss.).

E che dire di Lc 9, 60: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu va a predicare il regno di Dio”? Qui Gesù è proprio duro. Come si fa a dire di non accompagnare neanche il feretro di un proprio caro? È contrario a tutto quello che si è fin qui detto sulla misericordia di Gesù; qui sembra emergere di Gesù disumano. Da notare che qui è morto il padre, non la madre. Ma cosa succede quando moriva il padre in casa? Cosa dovevano sistemare i figli? L’eredità. E l’eredità è la prima fonte di liti in famiglia: ricordate Giacobbe ed Esaù? Nella Bibbia c’è già tutto. Allora Gesù sta dicendo che se uno vuol andare a risolvere una questione di eredità, di mammona, non lo può seguire, perché non si possono seguire due padroni.

Non c’è da stupirsi se molti non capiscono. Sembra che neanche molte persone pie e religiose ancora capiscano. Comunque, dopo aver capito, occorre mettere in pratica, perché non basta solo immaginare, ma occorre costruire un mondo migliore, però fra il dire e il fare…

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26. Davanti al sommo sacerdote Gesù si proclama il Cristo (cioè il Messia), il Figlio di Dio (Mc 14, 63; Mt 26, 65), mentre normalmente si proclamava Figlio dell’Uomo. Non c’è qui conferma della sua doppia natura? Figlio è innanzitutto scritto con la ‘F’ maiuscola, il che già lo contraddistingue come Seconda persona della Trinità. Poi, anche se Figlio dell’Uomo significasse nato da persona umana, ed effettivamente Gesù è nato da Maria, subito dopo il riferimento ‘al venire sulle nuvole’ è un chiaro riferimento al divino, tanto che il sommo sacerdote si straccia le vesti perché facendosi uguale a Dio, secondo lui Gesù sta bestemmiando. Nessun uomo può venire sulle nuvole.

Neanche questa pericope mi sembra possa essere decisiva, e le interpretazioni possono essere diverse e divergenti.

Innanzitutto la ‘F’ maiuscola non significa nulla perché è un adattamento moderno. Le copie più antiche dei vangeli in nostro possesso, che risalgono al III secolo d.C., erano scritte in greco onciale, cioè tutto maiuscolo, senza spazi e punteggiature fra le parole[18]. Appena fra il IV e il IX secolo d.C. si comincia a sviluppare l’utilizzo contemporaneo di maiuscole e minuscole, mentre prima erano utilizzate in maniera separata in base al supporto utilizzato (ad es. su una lapide si usavano normalmente solo maiuscole) e agli strumenti di scrittura.

Andando al testo, il sacerdote non domanda se Gesù è Dio (il che sarebbe stato inconcepibile per la religione di allora); domanda se Gesù pretende di essere il Messia-re d’Israele, al quale la tradizione attribuiva la filiazione divina[19]. Se Gesù risponde affermativamente, può essere denunciato a Pilato come sovversivo, e così effettivamente avviene. I sacerdoti stavano bene così come vivevano, e non avevano alcuna fretta di veder arrivare il Messia[20]. Era un tempo in cui tutti pensavano a un Dio molto lontano, lassù al settimo cielo. Perciò, sentirsi dire da Gesù – fin dall’inizio, - che il regno dei cieli (cioè Dio) è vicino (Mc 1, 15), per alcuni era una buona notizia, ma per molti altri no. In particolare per quelli che stavano già bene.

Poi va ricordato che in Israele Figlio di Dio era innanzitutto il popolo (Es 4, 22; Os 11, 1), poi il re di Gerusalemme (Sal 2, 7), unto da Dio. Sono stati i cristiani a rendere colui che aveva questo titolo uguale a Dio. Ma se nelle stesse Scritture il figlio di Dio viene più volte contrapposto al figlio del diavolo (Gv 8, 42-44; At 13, 10) - termine che anche la Chiesa riconosce essere metaforico, e che viene collegato appunto al comportamento tenuto in vita - l’ovvia domanda è allora: se tutti sono d’accordo nel dire che figlio “del diavolo” si riferisce al modo di affrontare la vita, perché figlio “di Dio” non può fare da pendant al primo termine, ed avere analogo valore metaforico?

Ma tornando a noi, come ho già detto rispondendo alla domanda n.19, è vero che il Gesù terreno amava definirsi Figlio dell’uomo ma autorevoli teologi affermano che Figlio dell’uomo, all’epoca di Gesù, non esisteva come titolo[21]. Va inoltre sottolineato che il titolo di “Figlio dell’uomo” non è arrivato neanche a far parte di una confessione di fede: è semplicemente sparito[22] o è stato presto dimenticato dal cristianesimo.

È vero che Enzo Bianchi – in una trasmissione radiofonica ‘Uomini e Profeti’ intitolata I diversi nomi del Cristo, ha detto che, mentre il titolo Figlio di Dio poteva avere valenza umana ma anche divina (cioè era attributo dei re ma anche degli angeli), il titolo Figlio dell’Uomo aveva solo natura divina, quindi era qualcosa di superiore rispetto a Figlio di Dio. Il teologo però non ha richiamato alcuna fonte a conferma di questa sua interpretazione e sinceramente, se il titolo è stato presto dimenticato, mi sembra assai più logico pensare che la comunità cristiana l’abbia ritenuto del tutto inadeguato. Anche perché ‘figlio dell’uomo’ non sembra avere valenza divina neanche nella Bibbia: per lo meno non nel Libro di Giobbe (Gb 16, 21), né nei Salmi (Sal 8, 5), né in Isaia (Is 51, 12) dove si legge che al figlio dell’uomo è riservata la sorte dell’erba: come si può equipararlo alla divinità? Anche in Ezechiele questo profeta viene ripetutamente chiamato Figlio dell’uomo, anche qui con la “F” maiuscola nei nostri testi; ma il titolo va inteso sicuramente come figlio della terra, con conseguente invito (implicito) a non montarsi la testa, perché resta un abisso fra l’umano e il divino (es. Ez 2, 1.3; 3, 1.3.4; 31, 2; 44, 5).

Forse Gesù lo usa per sé in questo senso sminuente, in quanto non si riteneva divino? Può darsi. Anche questa può essere una spiegazione. Forse Gesù intendeva affermare, agli occhi di Dio, il valore non di un uomo in particolare (come il re biblico), bensì dell’umano in generale, passando così da una chiave teologica a quella antropologica?[23] Può darsi. Anche questa può essere un’altra spiegazione visto che Gesù, per tutta la sua vita terrena, si è interessato del terreno, del profano, ha pensato ai bisognosi. La denominazione Figlio dell’uomo, che designa l’Uomo-Dio il cui prototipo è Gesù, mostrerebbe allora che l’interesse primordiale di Dio Padre è ogni essere umano e che il suo progetto consiste nel farne un suo figlio, nella linea di Gesù, ossia nel fargli sviluppare al massimo le sue possibilità nella vita terrena e nel fargli raggiungere la pienezza totale oltre la morte. Tutto il resto è secondario e deve sussistere in funzione di questo progetto[24].

Ma – mi si fa osservare,- davanti al sommo sacerdote Gesù aggiunge: “E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza venire sulle nubi” (Mt 26, 65). Nel Salmo 110,1 c’è l’invito a sedere alla destra di Dio, e il testo era interpretato per l’appunto in senso messianico. Il re d’Israele o il futuro Messia avrebbe avuto sulla terra l’appoggio incondizionato di Dio sconfiggendo tutti i nemici d’Israele,[25] rendendo Israele la più grande potenza del mondo.

Rispetto al Salmo, Gesù inserisce al posto del termine “Signore” il titolo con cui normalmente si auto-definisce: Figlio dell’Uomo[26] (ma potremmo anche scrivere tutto minuscolo: figlio dell’uomo) che può essere inteso come riconoscimento di pienezza umana. Figlio dell’uomo può significare semplicemente pienezza dell’uomo,[27] perché quando l’uomo è capace di arrivare ad amare in maniera incondizionata, come ha fatto Gesù, in lui si manifesta la condizione divina. Se si dona la vita fino in fondo – come ha fatto Gesù,- si arriva alla trasfigurazione (Mc 9, 2ss.), l’uomo arriva alla condizione divina. Infatti, quando nella vita incontriamo una persona profondamente umana, liberata dell'in-umano, scopriamo che esiste veramente "il divino". Una volta cioè sgrezzato e tolto tutto l’in-umano, si può dire che l'umano raggiunge il divino. Gesù è l’uomo che accogliendo lo Spirito ha in sé la condizione divina[28] perché non ha più niente di in-umano.

Quindi potremmo anche accettare l'osservazione secondo cui il titolo Figlio dell'uomo non è affatto modesto e persino privo di potenza rispetto al titolo di Figlio di Dio. Di fatto può essere un titolo alto, perché sottintende che anche con l'uomo limitato e imperfetto si può andare straordinariamente lontano: il Figlio dell’uomo è il punto d’incontro tra il massimo dell’umano e la realtà di Dio. Gesù, poi, figlio dell'uomo è colui che ha la forma d'uomo, ma giunge con le nubi del cielo (Dan7, 13);[29] quindi è un titolo nobile. Figlio dell'uomo può significare anche figlio dell'uomo originario, dell'Adamo divino e celeste prima della caduta; non dell'Adamo fatto di fango, destinato a tornare polvere perché non ha riconosciuto i limiti della sua creaturalità. Sappiamo che Gesù è in assoluto il più inzuppato dell’amore di Dio fra tutti gli uomini; è il nuovo adam,[30] l’uomo nuovo come Dio vorrebbe fossero tutti gli uomini. Questa condizione gli permette di superare la morte biologica, che aspetta ogni uomo alla fine della sua vita terrena. Oltre quella porta la vita continua, anche se in forma diversa che non possiamo conoscere[31].

Per il sommo sacerdote, invece, Gesù già bestemmia non perché si dichiara Dio (cosa che Gesù non ha fatto), ma perché si dichiara Messia che siederà alla destra di Dio (Mt 26, 63s.), il che sottintende che Dio è con lui e non con il clero del Tempio[32]. Allora, facendolo inchiodare sulla croce, i capi dei sacerdoti pensano di poter dimostrare pubblicamente che Gesù era un impostore esaltato, perché tutti vedranno che Dio non ha fatto causa comune con lui, che anzi come tutti quelli finiti in croce era un maledetto da Dio e perciò non poteva essere il Messia.

In effetti, ai tempi di Gesù, in Palestina c’era un pluralismo teologico e una febbre messianica. Sicuramente Gesù non si è presentato durante la sua missione con le caratteristiche del Messia che gli ebrei si aspettavano. Gesù non ha usato questo titolo per sé, e l’ha accolto con diffidenza e preoccupazione quando gli altri lo hanno usato perché non voleva essere scambiato per un Messia politico (Mt 16, 16.20). Si deve poi tener anche presente che la tradizione si aspettava e quindi ripeteva che il Messia non sarebbe mai morto perché avrebbe cancellato malattie e morte (Is 25, 8). Ma allora, se Gesù era il Messia, com’era potuto morire in quel modo atroce, senza aver realizzato il suo progetto di liberazione integrale? Perché, ricordiamolo, la speranza messianica era la liberazione integrale e definitiva.

Come ben spiega il teologo spagnolo José Arregi, i primi cristiani sono stati allora costretti a guardare più a fondo nella vita di Gesù e giungendo alla conclusione che se Gesù sta in Dio, necessariamente continua a vivere, perché Dio è vita. I primi cristiani – non avendo ancora a disposizione i vangeli che sarebbero scritti grosso modo fra il 70 e il 100 d.C. - cominciarono rileggere più a fondo la Bibbia per cercare appoggio scritturale a ciò che intuivano, e trovarono tre figure per superare il trauma della morte del loro maestro ed esprimere la loro fede, cioè tre figure capaci di dimostrare che non c’era incompatibilità fra siffatta morte e una presenza di Dio:

a) Il salmo 22 (il giusto sofferente) dimostra che l’innocente può soffrire, ma Dio resta al suo fianco. Perciò Dio poteva essere rimasto a fianco di Gesù, anche se era morto in croce.

b) Gli ebrei erano convinti che alla fine sarebbe arrivato un profeta e Dio l’avrebbe esaltato (glorificato) prima e dopo la sua morte. Gesù ben può essere stato questo profeta degli ultimi tempi, e con l’ascensione, ponendolo alla sua destra in cielo, Dio lo ha glorificato. Si pensava anche che, a breve, il mondo sarebbe finito e Gesù sarebbe ritornato, per cui si sarebbe realizzato il messianesimo che sembrava, al momento, in stand by. Ricordo che la parusia (il ritorno di Gesù sulla terra) era attesa a breve, nell’arco della stessa generazione ancora in vita in quel momento (Mc 9,1),[33] ma ben presto ci si è accorti che le cose non erano proprio così: la imminente parusia della 1a lettera di Paolo ai Tessalonicesi, ad esempio, non è più tale già nella 2a lettera.

c) Il servo di Dio (Is 53, 11ss.), ferito, morente, fallito. La gente pensava fosse stato castigato, invece portava su di sé le nostre colpe. Anche Gesù sembrava castigato per quello che aveva fatto, ma con la sua morte ha invece portato su di sé le nostre colpe. Agganciandosi a questo filone di pensiero, Paolo dice che Gesù ha espiato per noi, essendo la vittima propiziatoria dei nostri peccati. Da qui consegue che la sua morte era volontà di Dio. In altre parole, Gesù è il Figlio di Dio venuto al mondo perché così ha voluto il Padre, il quale ci ha mandato suo Figlio affinché mediante il dolore e il fallimento della sua passione e morte salvasse noi uomini, condannati alla perdizione eterna a causa dei nostri peccati (Rm 8, 3).

Quest’ultima è la spiegazione che ha avuto maggior successo nella Chiesa,[34] forse perché Paolo è stato il primo ad offrire una spiegazione organica e accettabile per l’epoca (quando nessuno avrebbe accettato un Salvatore crocifisso, perché per gli ebrei era un maledetto da Dio, e per i romani era o un terrorista o uno schiavo) e la sua teoria è stata poi rafforzata da sant’Agostino. Ma si è visto nella precedente risposta come questa idea sia da abbandonare, anche se qualche passo dei vangeli (es. Mc 8, 31) poteva portare a quest’ultima conclusione. Però, altri passi evangelici (es. Mc 13, 26) rimandavano piuttosto al Messia glorioso di origine ebraica (Dn 7, 13s.), per cui c’è chi ragionevolmente sostiene che l’idea del Messia sofferente viene dai cristiani che dovevano in qualche modo giustificare la sua morte orrenda.

Questa interpretazione ha comunque portato a una prima divisione fra ebrei e cristiani: la maggioranza degli ebrei non ha riconosciuto Gesù come Messia perché non ha visto arrivare quella pace e quei tempi paradisiaci che essi attendevano; inoltre non li ha liberati dal giogo romano. I cristiani, invece, hanno visto Gesù come Messia perché lo hanno visto come quel servo che dà la sua vita, che è provato da Dio (come diceva Isaia). Per gli ebrei un Messia sconfitto è scandaloso. I cristiani hanno spostato i tempi paradisiaci alla fine dei tempi: quel Messia, venuto nella debolezza e alla fine umiliato sulla croce, tornerà nella gloria come lo attendono gli ebrei.

Ma proseguendo nella lettura da Lei richiamata, applicando il testo del Salmo alla propria persona, Gesù contrappone quel momento d’impotenza che sta vivendo davanti all’autorità che lo ha appena arrestato e legato alla forza irresistibile e al destino glorioso del Messia. Gesù non si sente Dio, ma è consapevole di seguire la volontà del Padre. È sicuro che lo Spirito (potenza di vita) del Padre è con lui. La potenza di cui parla Gesù è la forza di vita che esce da Gesù ma viene da Dio, come quando guarisce l’emorroissa (Mc 5, 25ss.), per cui ha piena fiducia che questa potenza divina sarà capace anche di fargli superare la morte (Mc 12, 27), tanto da predire la sua risurrezione (Mt 16, 21; Mc 8, 31). Quindi, anche se sarà condannato a morte, Gesù sta dicendo che Dio sta dalla sua parte e gli farà superare la morte. Gesù è sicuro che alla fine risulterà vittorioso mentre il sistema istituzionale che lo sta per condannare sarà sconfitto. Sicuramente una dimostrazione di fede incrollabile se rapportata alla nostra. Non si potrebbe invece neanche parlare di fede se Gesù fosse Dio[35]. Bella forza! se era Dio, certo che già conosceva il futuro e aveva piena fiducia in sé stesso. Consapevole di essere immortale non poteva neanche aver paura della morte (ma allora come fa ad essere angosciato? – es. Lc 22, 44).

L’accenno alla venuta sulle nubi potrebbe essere anche un riferimento alla parusia, quando avremo davanti il Gesù risuscitato e glorioso, non il Gesù uomo che i suoi contemporanei hanno conosciuto sulla terra. Altri autori – come visto sopra, - alludono invece al profeta Daniele (Dn 7, 13s.), quando questa figura umana (“simile a un figlio di uomo”) sale al cielo per ricevere da Dio il potere su tutti i popoli della terra, e questa figura umana è stata spesso interpretata dagli ebrei come l’Israele fedele che ottiene il predominio su tutte le nazioni (cfr Is 60, 5ss.). Qui, però, non si parla né di salita, né di discesa dal cielo: qui il Messia siede semplicemente alla destra del Padre, formula poi richiamata anche nel Credo, dove però si torna ad aggiungere anche una salita e una discesa. Ovvio, comunque, che tutto questo, oggi, non possa essere inteso più letteralmente, perché se così fosse dovremmo credere che Gesù è asceso come un razzo partito da Cape Canaveral, ed è stato seguito dallo sguardo dei discepoli fino a sparire dalla loro vista[36]. Il sedersi alla destra, che era applicato al re e al Messia sulla terra, viene collocato da Gesù direttamente nel cielo, perché secondo la comune cultura di allora, Dio risiedeva nell’alto dei cieli. Anche Gesù parla secondo questi modelli che oggi sono superati, il che dimostra che Gesù seguiva la cultura del suo popolo e non era onnisciente[37]. La frase di Gesù, che si presenta come una realtà ormai celeste che rivendica di essere sotto la piena protezione di Dio viene interpretata dai sacerdoti del Tempio come un pericolo teologico perché se sarà lui a finire sulle nuvole del cielo alla destra di Dio, si mette male per loro, sapendo già come lui la pensa.

Tuttavia ci può essere ancora un’altra chiave di lettura. Indubbiamente il sedere alla destra ha, teologicamente, il significato di essere partecipe di un rango elevato. Giacomo e Giovanni, attraverso la loro madre, chiederanno a Gesù un posto d’onore alla destra e un posto alla sinistra del Messia (immaginato come il Messia davidico). Anche in Luca (Lc 1, 11) l’angelo annunziatore è alla destra dell’altare per avere maggiore autorevolezza. E nella visione di Zaccaria si dice: «Quindi mi mostrò Giosuè, il sommo sacerdote che stava davanti all’angelo di Yhwh. Satana stava alla sua destra per accusarlo» (Zc 3, 1), per cui occupa il posto d’onore dimostrando con ciò di non essere il diavolo, ma il pubblico ministero di Dio[38]. Nel nostro caso, però, sedere alla destra di Dio può significare anche solo il culmine della condizione umana, dove l’uomo Gesù liberatosi dall’inumano rappresenta quello che Dio si aspetta dall’uomo, da ogni uomo. E dietro all’uomo Gesù, modello per tutti gli uomini, ogni essere umano è chiamato a raggiungere quella stessa condizione. Pertanto, traducendo queste immagini visive fornite da Gesù in termini di futuro storico reale (rispetto al suo tempo), si può dire che la venuta del Figlio dell’Uomo esprime il trionfo dell’umano sull’inumano, dopo che il sistema oppressore che impediva lo sviluppo dell’umanità sarà sconfitto; e per sconfiggerlo basta vivere e operare come è vissuto e ha agito Gesù[39]. A quel punto si è veramente vicini a Dio.

Certo, possiamo continuare a chiederci se Gesù ci salva perché è, come Figlio di Dio, la seconda Persona della Trinità (cioè, vero Dio), oppure è diventato Figlio di Dio perché ci ha aiutato a salvarci. Sta di fatto che l'uso messianico del nome Figlio dell'uomo (ma anche quella di Figlio di Dio) non comporta necessariamente l'origine divina della persona di Gesù. Siamo davanti a un'espressione che tanti studiosi moderni non sono ancora riusciti a stabilire cosa significhi[40]. Perché pretendere allora di darle un senso univoco e indiscutibile a favore della sua divinità quando altre spiegazioni sono parimenti plausibili?

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27. Ma col suo ragionamento non mi fa crollare anche quella parte del Credo dove si dice che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo…”?

No e sì.

‘No’, perché la frase che sembra avere come soggetto Gesù (almeno così ci è stato spesso insegnato), ha come soggetto il Verbo[41] e ha un significato metaforico: viene cioè descritta un’azione divina che si è svolta nella storia. Non è che il Verbo di Dio, che abitava in cielo, è fisicamente sceso dal cielo sulla terra come un aereo in picchiata. Invece, sempre per la comunicazione degli idiomi, viene attribuita a Gesù uomo un’azione del Verbo divino. Comunque si dovrebbe anche dire che, se è vera l’immagine del Padre che Gesù ci ha dato, la discesa dall’alto non si interrompe, resta continua anche oggi, qualunque cosa noi facciamo, perché essa è un dono gratuito e scende come la pioggia, a prescindere da quello che vogliamo, da quello che meritiamo, da quello che facciamo.

La risposta, però, è anche un ‘Sì’, perché oggi sappiamo che Dio non abita nell’alto dei cieli. Ricordiamoci che lo stesso inizio del Padre nostro colloca Dio “nei cieli” e anche l’espressione “discese dal cielo” conferma che – a quel tempo,- si credeva che Dio abitasse in un luogo sopra la terra, sopra i vari cieli. Questa era il modello scientifico cui si credeva, come si credeva che il sole girasse attorno alla terra. Se anche Gesù dice che il Padre sta nei cieli (Mt 16, 17) vuol dire che, al pari di ogni uomo, anche lui era condizionato dalla cultura del suo tempo, e dimostra ancora una volta che non era onnisciente. Oggi sappiamo che Dio, puro spirito, non ha dimensioni spaziali, per cui non può discendere come ricordava Panikkar, ma neanche salire come fosse un ascensore o un razzo; semplicemente è presente ovunque agisce.

Ho detto che il soggetto trascendente dell’incarnazione è Dio, non Gesù; ma in Gesù uomo è riuscito a esprimere la potenza della sua Parola (Verbo), e siccome la Parola di Dio fa accadere, l’azione di Dio diventa azione della creatura che lo rivela[42]. Gesù è espressione umana del Verbo di Dio e con la forza dello Spirito è diventato rivelatore di Dio[43].

Dunque la ‘discesa’ di Dio, come la creazione del mondo da parte di Dio, vengono attribuiti all’uomo Gesù per il rapporto profondo che ha legato i due, e questo viene espresso tramite la comunicazione degli idiomi (come spiegato nella relazione).

Ma com’è possibile che venga in mente a qualcuno l’idea di un Dio incarnato? Per gli ebrei Dio stava lontano nei cieli; da lassù controllava tutto, senza sporcarsi le mani con gli uomini; anzi è un Dio che trova difetti persino nei santi e negli angeli da lui stesso creati (“Ecco, dei suoi servi egli non si fida e nei suoi angeli trova difetti”: Gb 4,18). Per contattare gli uomini Dio manda al più qualche suo angelo.

Se Gesù si fosse chiaramente presentato come un uomo che ascende ed entra nella condizione divina, sarebbe stato probabilmente anche accettato, almeno fuori d’Israele fra i pagani: dopo tutto la gente accettava che il re, o il faraone o l’imperatore romano assumessero una condizione divina. Ma stando ai vangeli, Gesù ha scelto una strada più difficile, perché ha scelto di mostrarsi in Israele come se Dio fosse sceso ed entrato nella condizione umana, il che era una bestemmia inaudita, inimmaginabile intollerabile, e ancora oggi resta piuttosto difficile da accettare questa umanizzazione di Dio[44].

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28. Ma così Lei non tiene conto che in Gv 3, 13 Gesù stesso dice che nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. Ora, siccome sappiamo che Gesù si definiva Figlio dell’uomo, mi sembra che ad essere disceso è il Gesù-Verbo-Figlio dell’Uomo, non Dio-Verbo, per cui Gesù è divino e preesistente.

Ho appena detto che è difficile ancora oggi accettare l’umanizzazione di Dio. Ho anche già detto, nella relazione, che nella cultura di allora tutti (compreso l’uomo Gesù) credevano che Dio abitasse sopra di noi uomini, al settimo cielo, per cui si utilizzavano delle categorie spaziali come fossero realtà oggettive[45]. Ho anche detto che lo stesso Gesù uomo pensava così, visto che ci ha insegnato la preghiera: “Padre nostro che sei nei cieli…” (Mt 6, 9), e quando pregava levava gli occhi al cielo (Gv 17, 1).

Oggi però sappiamo che Dio non abita in cielo,[46] e quindi nessuno si avvicina a Lui salendo in cielo, come nessuno scende dal cielo (da Dio) sulla terra. Quindi la frase di Gesù è intrisa della cultura del suo tempo, uguale a quella che aveva ancora il primo astronauta al mondo, Yuri Gagarin il quale, sparato nello spazio, ha detto: “Ma quassù non vedo alcun Dio”. Aveva ragione, perché Dio non sta in cielo. Oggi appare più appropriato dire che Dio viene, nel senso che la sua azione diventa concreta nella persona che si apre ed accoglie il suo Spirito. Dio diventa visibile nelle creature che così lo rivelano. Quando diciamo che i Verbo-Figlio di Dio è disceso sulla terra (oggi diremmo meglio: è entrato nella storia) intendiamo dire che, attraverso la fedeltà di un uomo (Gesù, che dalla nascita era sulla terra, ma che prima della nascita non esisteva), Dio ha potuto esprimere sulla terra la potenza della sua Parola. Il soggetto trascendente dell’incarnazione allora non è Gesù, ma resta Dio; Gesù è solo l’espressione umana, la manifestazione terrena del Verbo di Dio che in lui ha preso carne attraverso lo Spirito, rendendolo rivelatore di Dio,[47] non Dio stesso. Gesù sta dicendo a Nicodemo, che non capisce perché è troppo legato alla religione che ha studiato, che chiunque darà adesione al figlio dell’uomo (che diffonde in terra la Parola di Dio che viene dal cielo) avrà una vita indistruttibile, grazie allo strettissimo legame fra Dio e Gesù. Non si può invece pensare di salire in cielo da soli contando solo sulle proprie forze.

Il dubbio da Lei espresso, perciò, va di nuovo risolto alla luce della comunicazione degli idiomi, dove – come si è detto, - gli attributi di una natura sono attribuibili all’altra. Negli eventi della storia salvifica centrati su Gesù esistono due ambiti ben distinti: quello di Dio e quello dell’uomo. La creazione e la discesa dal cielo vengono attribuiti a Gesù per il profondo rapporto che l’uomo Gesù, nato nel tempo e nello spazio, ha avuto con Dio nella storia salvifica, visto che in lui il Padre si è rivelato, il Verbo ha operato, lo Spirito si è donato[48].

Si può allora dire che in Gesù si rivela Dio non perché ha la stessa natura di Dio, non perché Gesù stesso è Dio, ma perché è così umano da essere la traduzione perfetta che Dio ha dell’uomo[49]. Dal NT risulta che Gesù ha accolto l’azione divina così pienamente da essere costituito uomo perfetto (Eb 5, 9) sì da poter manifestare Dio in chiave umana: nell’ascolto continuo della Parola (Verbo), accoglie e manifesta la presenza attiva della Parola del Padre in modo talmente fedele da renderla visibile in forma umana. Se non ci fosse questa traduzione dal Trascendente all’Immanente, non conosceremmo niente del Verbo, della Parola di Dio che resta nell’ambito trascendente. È come se Gesù fosse salito in cielo e avesse ricevuto lassù la Parola da Dio (un faccia a faccia), per poi ridiscendere in terra e diffondere questa Parola. Ma tutto questo va inteso in sensi figurato. Ecco perché si può dire che l’incarnazione non è una discesa in terra di una persona celeste, eterna, che viveva col Padre prima che l'uomo comparisse sulla terra, ma piuttosto la rivelazione nell’imperfetta carne umana della perfezione di Dio[50].

Però è chiaro che ancora oggi noi, se continuiamo a pensare a Dio in base a modelli antichi, superati, facciamo fatica ad accettare modelli nuovi.


NOTE


[1] Arturo Paoli nella omelia della prima domenica di Quaresima del 26.2.2012.

[2] In altre occasioni ho già chiarito perché, quanto spiegato da Paolo, oggi non è più accettabile. Oggi, infatti, non è accettabile un dio vampiro assetato di sangue, un dio Kronos che divora i propri figli.

[3] Così ad es. Manacorda M.A., Persecuzioni? (Dalla tolleranza pagana all’intolleranza cristiana), “MicroMega”, n.7/2012, 185, il quale estrapolando alcune frasi mette in evidenza che Gesù non era affatto amorevole.

[4] Vedendo i casi di integralismo, crediamo normalmente che i musulmani abbiano l’obbligo di uccidere i miscredenti che non vogliono convertirsi all’Islam. E troviamo conferma leggendo la Sura del bottino –VIII, 12: è lecito decapitare quelli che non credono; o la Sura del pentimento IX 9, 5–29 che incita a uccidere gli infedeli e dominare le altre civiltà, ecc. Ma perché non leggere anche la sura della vacca 2, 256: “Non via sia costrizione alcuna per la religione” . E la sura X, 99s. che dice: “Se volesse il Signore, tutti quelli che sono sulla terra crederebbero. Ma tu non puoi costringerli …” . Di fronte a queste evidenti contraddizioni occorre anche qui un’interpretazione sistematica.

[5] Se ben ricordo viene attribuita a Rabbi Nathan la frase: “Il più grande eroe è colui che trasforma il suo nemico in amico”. Occorre uscire dalla demonizzazione dell’altro: il pagano, lo straniero, l’ebreo, l’eretico, il musulmano sono alcuni dei visi storici in cui i cristiani hanno incarnato il nemico”.

[6] Ravasi G., Odiare il padre e la madre?, “Famiglia Cristiana”, n.11/2013, 135.

[7] Maggi A., in https://www.studibiblici.it/audio/cefalu%202013/1_Gesu%20sfascia-famiglie_venerdi.mp3 - Incontri e video vari - Cefalù, novembre 2013.

[8] Va sottolineato che Gesù, che ha portato il perdono di Dio in terra, perdona la prostituta (Lc 7, 36ss.) e l’adultera (Gv 8, 1ss.) senza chiedere alcuna confessione dei peccati, senza chiedere alcuna penitenza.

[9] Gallazzi S., Cap 14 e 15 il tavolo al quale ci sediamo o no: in

https://www.youtube.com/watch?v=zkNl2EX0iMk&feature=youtu.be

[10] Curioso come, ancora oggi, la Chiesa dice che nessuno è dispensato dall’osservare i dieci comandamenti perché commetterebbe peccato mortale (n. 2072 Catechismo), mentre non parla mai del peccato di stoltezza, tanto che il termine non si trova neanche nell’indice del catechismo. Sarebbe interessante effettuare uno studio statistico e sapere dai preti quante persone si sono confessate per il peccato di stoltezza.

[11] Maggi A., Cos’è il peccato, incontro di Assisi 2013, in www.studibiblici.it/ - Multimedia/audioconferenze.

[12] 365 erano i precetti di divieto e 248 quelli di obbligo di comportamento; 365 pari al numero dei giorni annuali, il che significa che bisognava osservare la legge per tutto il tempo dell’anno, e quindi della propria vita; 248 perché si pensava che il corpo fosse formato da 248 parti, il che significa che bisognava osservare la legge con tutto sé stessi.

[13] E la prostituta ha bisogno di sentire che qualcuno l’ama, la considera, e ha bisogno della grazia per ricostruire la sua dignità di donna, e questa grazia le arriva gratuitamente.

[14] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 10.

[15] Nella teologia del XIX secolo e anche dell’inizio del XX si amava parlare della Chiesa come del regno di Dio sulla terra; la Chiesa era considerata come la realizzazione del regno all’interno della storia (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 73s.). Ma non ci si rendeva conto che se la Chiesa era già perfetta non aveva più bisogno di Dio.

[16] Gallazzi S, Cap. 14 e 15 il tavolo al quale ci sediamo o no,

in https://www.youtube.com/watch?v=zkNl2EX0iMk&feature=youtu.be

[17] De Mello A., Shock di un minuto, ed. Paoline, Milano, 1995,159.

[18] Un notevole problema interpretativo deriva dal fatto che i manoscritti antichi non hanno segno di punteggiatura (e nemmeno le parole sono distanziate fra di loro), per cui una scelta certa di lettura non esiste. Ci si è giustamente chiesti se, a volte, un fatto minimo (qual è la scelta di punteggiatura) non porti a dottrine che hanno conseguenze non da poco nella vita degli uomini. Per fare un esempio pratico, noi leggiamo Lc 23, 43, che si riferisce al buon ladrone crocefisso a fianco di Gesù, così: «In verità ti dico: oggi tu sarai con me in paradiso». I testimoni di Geova, invece leggono così: “In verità ti dico oggi: sarai con me in paradiso”. Questo perché, secondo loro, i morti sono inconsapevoli in attesa di essere risvegliati al momento finale, sì che il ladrone deve aspettare un futuro indefinito per risvegliarsi in paradiso. Quindi, è ancora in attesa.

Oppure pensiamo, per fare un altro esempio, al noto: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14): in realtà, la traduzione corretta è: pace in terra agli uomini «che egli ama» come si è finalmente detto nel nuovo messale. Ma se non si mette la virgola tra “uomini” e “che egli ama” il senso ben può essere quello di Calvino: c’è predestinazione, perché Dio ama solo alcuni uomini, e altri no. Se dopo “uomini” si mette la virgola (come fa ora l’ultima versione CEI, come pensavano da sempre i pelagiani convinti che tutti potevano salvarsi e che il peccato originale non esisteva, e per questo condannati come eretici) si è indotti a pensare che Dio ama tutti gli uomini, e non c'è un gruppo di eletti (Théron M., Piccola enciclopedia delle eresie, ed. il melangolo, Genova, 2006, 86).

[19] Mateos J. E Camacho F., Il Vangelo di Marco, III, Cittadella, Assisi, 2010, 503.

[20] Nel libro del profeta Osea, invece, si legge che Dio stesso inveisce non contro gli impuri peccatori, ma esclusivamente contro il clero: «Io accuso voi sacerdoti…perché rifiutate di farmi conoscere» (Os 4, 4-5) «Io voglio amore costante, non sacrifici» (Os 6, 6). E invece i sacerdoti che fanno? I sacerdoti assalgono le persone come banditi (Os 6, 9) e si nutrono dei peccati delle persone, essendo il loro cuore avido di colpe (Os 4, 8). A parole i sacerdoti tuonano contro i peccati e i peccatori, minacciano tremendi castighi divini, ma in cuor loro si augurano non solo che la gente continui a peccare, ma che pecchi sempre di più perché più la gente pecca e più loro diventano indispensabili ed esercitano il potere. Come si poteva infatti togliere questi peccati? Soltanto ricorrendo al sacerdote: dovete pentirvi, confessarvi, fare penitenza (fare sacrificio e offerte), e così potrete riavvicinarvi a Dio. Per ora, dicevano i sacerdoti, con questo peccato che avete commesso, con Dio avete chiuso. Gesù distrugge tutto questo meccanismo e i sacerdoti non lo possono tollerare, e avevano paura che arrivasse veramente il Messia. Peccato che anche la Chiesa abbia in seguito ricostruito ciò che Gesù aveva distrutto.

[21] Es. Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 374.

[22] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 48.

[23] Mateos J. E Camacho F., Il Vangelo di Marco, III, Cittadella, Assisi, 2010, 505.

[24] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 365.

[25] Se gli apostoli avessero parlato del regno di Davide (dominio giudeo sugli altri, spossessamento delle ricchezze dei pagani, eliminazione degli impuri e dei miscredenti come i samaritani) anziché del regno di Dio aperto a tutti, la distorsione della predicazione avrebbe causato un fallimento totale. Proprio per quest’ultimo motivo Gesù non aveva mai accettato di essere riconosciuto come il Messia davidico, il Figlio di Davide che avrebbe liberato Israele, quale la tradizione lo concepiva; per questo aveva sempre vietato agli apostoli di chiamarlo con quel nome. Il Dio di Gesù non riverserà sui pagani il suo furore (Sal 79, 6), e di proposito, nella sinagoga di Nazareth da dove dovrà scappare, Gesù omette il passo di Isaia (Is 61, 3) nella parte in cui confermava che l’appoggio privilegiato di Dio era riservato a Israele (Sal 2, 8-9; Bar 4, 3; Lc 4, 20); per la tradizione religiosa e nazionalista ebraica nessun pagano avrebbe avuto parte nel mondo a venire (Talmud Sanhedrin 13,2, riportato in Maggi A., Non ancora madonna, ed. Cittadella, Assisi, 2004, 38.).

Ormai, davanti al sommo sacerdote, Gesù non ha più nulla da perdere, in quanto sa che è un morto che cammina. Quindi può anche ammettere di essere lui il Messia.

[26] Titolo che Gesù usa solo per sé, ma nessuno si rivolge mai a lui chiamando Figlio dell’Uomo.

[27] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 25.

[28] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in: www.studibiblici.it/ scritti/ conferenze.

[29] Bloch E., Ateismo nel cristianesimo, ed. Feltrinelli, Milano, 1971, 185s.

[30] Gesù è il secondo Adamo (1Cor 15, 47); con lui inizia una possibilità nuova di divenire uomo (Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 269). Cristo ha ripetuto Adamo, solo nel senso inverso: ciò che Adamo aveva disfatto Cristo ha ricostruito. Adamo aveva portato l’umanità sotto il controllo di Satana. Cristo ci ha liberati da Satana (Placher W.C., A history of christian theology, ed.Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 70).

[31] Boff L., Vita oltre la morte, ed. Cittadella, Assisi,1993, 46: «Biologicamente l’uomo, dopo una crescita iniziale, va lentamente decadendo; personalmente invece deve, in ordine inverso, crescere e continuare a maturare fino a irrompere nella sfera divina». Vedi quanto detto rispondendo alla domanda precedente, in punto doppia morte.

[32] A dire il vero, alla domanda se è lui il Messia, Gesù non si definisce tale, ma ancora una volta “Uomo”, esponente massimo dell’umanità che siederà alla destra di Dio, ossia l’Unto da Dio è l’Uomo nella sua interezza (Mateos J. E Camacho F., Il Vangelo di Marco, III, Cittadella, Assisi, 2010, 505). Ma i sacerdoti ritengono che l’arrestato bestemmi (come davanti al perdono dei peccati al paralitico – Mt 9, 3) perché lui – uomo - non tiene le giuste distanze da Dio. È inimmaginabile che Gesù si elevi da solo alla condizione divina (siederà alla destra di Dio) e dietro di lui ogni uomo potrà essere chiamato ad essa. È anche inaccettabile che, chi è in quel momento è un accusato, osi condannare formalmente il sistema religioso giudaico (Idem, 507).

[33] Anche per Giacomo la parusia era vicina (Gc 5, 8).

[34] Mentre eravamo peccatori Gesù è morto per noi (Rm 5, 8), è morto per espiare i nostri peccati; Dio non punisce il peccatore come meriterebbe, ma immeritatamente lo giustifica attraverso la morte di Cristo che ha quindi portato al perdono dei nostri peccati (At 10, 43; 13, 38s.). Il mondo è redento dal sangue di Gesù (Ef 1, 7; Col 1, 4). Ma noi vogliamo veramente essere salvati dal sangue di un innocente?

[35] Nella Bibbia fede è credere senza vedere. Se Gesù ha sempre visto Dio perché a sua volta è Dio, non gli serve la fede.

[36] Assurdo pensare in questi termini. Perciò anche il Credo, che usando modelli antichi continua a parlare di discesa e di ascesa al cielo, dimostra di essere superato e dovrebbe essere modificato: vedi risposta alla domanda successiva.

[37] Se Gesù era onnisciente dall’inizio, come mai durante le missione si stupisce che molti non gli credano (Mc 6, 6).

[38] Nel nostro ordinamento giuridico, fino a pochi decenni fa, il pubblico ministero sedeva alla destra del giudice.

[39] Mateos J. E Camacho F., Il Vangelo di Marco, III, Cittadella, Assisi, 2010, 507. Nello stesso senso anche Pikaza X., Il Vangelo di Marco, Borla, Roma, 1996.

[40] Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, Queriniana, Brescia, 2005, 327.

[41] Così Molari C., Gesù disceso dal cielo o sbocciato dalla terra?, “Rocca”, 15.5.2013, 52.

[42] Idem, 53.

[43] Ecco la necessità dell’intervento dello Spirito, Gesù ha bisogno dello Spirito, come si è accennato nella domanda sub 21, che non sarebbe servito se Gesù fosse Dio.

[44] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 33.

[45] Un pensiero ancora incapace di formulare l’idea astratta della trascendenza, ne esprime il concetto con la categoria spaziale: il Dio trascendente è immaginato a un’immensa distanza spaziale, molto al di sopra del mondo (Guerriero A., Quaesivi et non inveni, Mondadori, Milano, 1973, 103s.). Parlare di un alto e di un basso dell’universo ha perduto per noi qualsiasi significato.

[46] Ma già Meister Eckhart diceva che è sbagliato pensare che Dio sta in cielo (Eckhart, I sermoni, ed. Paoline, Milano, 2002, 115 - Sermone n.6: “Molte persone s’immaginano Dio lassù e noi quaggiù. Non è così. Io e Dio siamo uno. Con la conoscenza accolgo Dio in me; con l’amore penetro in lui”.

[47] Molari C., Gesù disceso dal cielo o sbocciato sulla terra?, “Rocca” 15.5.2013, 53.

[48]Ibidem.

[49] E la liturgista Giuliva di Berardino spiega la frase di Gesù: «siate perfetti come perfetto è il Padre vostro» (Mt 5,48), con l’espressione “lasciatevi completare” da Dio.

[50] Molari C., Teologia - Gesù è Dio?, “Rocca”, 15.12.1999, 49.