Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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18. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot


34. Lei ha detto nella relazione che il denaro è oggi il valore più importante, mentre ai tempi di Gesù quel valore era l’onore; però è grazie al denaro che si possono fare nuove scoperte scientifiche che portano progresso, non certamente grazie all’onore. È grazie alla scienza e alla secolarizzazione che non siamo più tanto oscurantisti e bigotti, anche se credo che, per molti, Dio rimane ancora un preciso valore e fonte di speranza e di certezze.

Sì. La secolarizzazione[1] ha indubbiamente ridotto lo spazio della religione, ma lo spirituale resta perché non sparisce la forza che sovrasta l’umano, l’inquietudine dell’incontrollabile, e nella maggior parte delle persone permane un’inestinguibile sete di spiritualità. Insomma il Trascendente è un bisogno profondo che è sempre esistito e continua ad esistere in tutte le razze e a tutte le latitudini.

È indubbio che oggi la religione ha perso certezza rispetto ad altre convinzioni secolari. La relativizzazione portata dalla scienza[2] ha costretto i credenti a confrontarsi con la possibilità di dubbi anche nel campo religioso, per cui l’incertezza non è più vista necessariamente come qualcosa di negativo. Carlos García de Andoin,[3] riferendosi a uno studio sull’America Latina, ma prima di lui padre John Courteney Murray[4] parlando degli USA (e penso che le stesse conclusioni possano valere anche in Europa), avevano sostanzialmente detto che, poiché viviamo in un’epoca di dubbi, siamo davanti a un cambio epocale che investe non tanto ciò in cui si crede, quanto il modo di credere. Oggi la forma dominante del vivere nella società civile è il pluralismo dei valori, che nascono da sensibilità diverse. Fra i valori cristiani di una volta c’erano le virtù. Gesù ha parlato del Regno di Dio, e non ha mai parlato di virtù: i cataloghi di virtù sono stati introdotti da Paolo, mutuandoli dalla filosofia ellenistica. Eppure la teologia tradizionale ha interpretato il Regno di Dio in funzione della virtù, ed il cristiano virtuoso doveva essere obbediente e rassegnato. Il Regno di Dio invece è mettere al primo posto delle nostre preferenze quelli che maggiormente soffrono, le vittime della storia; e ciò per difendere la loro vita, per renderla più degna. Tutto questo richiede ovviamente uno spirito di servizio senza limiti ed una voglia di somigliare a come fu ed operò Gesù[5]. La stessa Verità è sinfonica,[6] plurale e non più unica e assoluta,[7] per cui è sempre oltre la nostra piccola religione. Oggi si è molto più cauti e non si usa più presentare “verità” e “falsità, ovvero non verità” come termini necessariamente in contrapposizione fra di loro, come se stessero seduti allo stesso tavolo uno di fronte all’altra, guardandosi in cagnesco, perché la falsità sarebbe sempre il contrario della verità[8]. Ammoniva un grande poeta bengalese che se si chiude la porta a tutti gli errori, anche la verità resta fuori[9]. Oppure guardate come il giornalista Terzani valutava le sue corrispondenze sulla guerra del Vietnam: «Non posso aver scritto tutta la verità, perché se ce ne fosse una certa non l’avrei vista intera. Ho, però, fatto di tutto affinché quello che scrivevo fosse vero, perché sono convinto che, anche se non c’è una sola verità, certo c’è il falso»[10]. E lo stesso Terzani, ormai ammalato, confessava che gli pareva di essere sempre più confuso, senza una di quelle belle, chiare idee che aveva quand’era giovane ed era convinto non solo di capire i problemi, ma anche di avere la soluzione[11]. Oggi ci si rende sempre più conto che anche il cattolicesimo non può essere autosufficiente, deve attingere ad altre spiritualità, perché solo così viene completato.

La maggioranza delle persone oggi, conscia di vivere in una situazione plurale, si arrangia e preferisce il vivere e lasciar vivere ricorrendo al pragmatismo, praticando la convivenza con gli altri e cercando di evitare conflitti diretti. Ma mentre le società diventano lentamente più secolari e pluraliste, e la maggior parte della gente si barcamena, emergono anche varie identità politiche che si attaccano sempre più fermamente a dei credi religiosi rigidi. Questo porta voti sicuri da alcuni settori. Perciò si stanno radicalizzando due posizioni diametralmente opposte: un modo di credere basato sulla precarietà oppure un modo che fugge da essa cercando la sicurezza, senza compromessi. In una situazione sociologica come quella attuale, perciò, esistono sia il relativismo più radicale, sia il suo esatto contrario: l’integralismo e il fondamentalismo, che sono nient’altro che il tentativo di restaurare una certezza che si vede gravemente minacciata dal dubbio e dal relativismo[12]. Pensiamo, nel campo dell’immigrazione a coloro che dicono “Siamo buoni, facciamoli entrare tutti” e quelli che dicono “chiudiamo ermeticamente le frontiere e non facciamo entrare nessuno”. Sono due posizioni opposte, ideologiche, che non sono realmente praticabili e che lasciano intatto il problema concreto da affrontare.

Dobbiamo renderci però conto che non siamo davanti a una situazione del tutto nuova e mai verificatasi in precedenza. Da sempre impuntarsi con intransigenza sui principi non negoziabili può trasformarsi in tragedia (greca[13]) e distruggere perfino la comunità. Dimostrarsi intransigenti sui propri principi non è necessariamente dimostrazione di coerenza, saggezza e forza. Oggi, più che mai, viviamo tempi in cui è indispensabile dialogare e comprendere la ragioni degli altri per poter tenere insieme sensibilità diverse; altrimenti, prima o poi, si arriva allo scontro violento che fa male a tutte le parti. Diceva l’economista Keynes, ma l’idea vale in tutti i campi, anche in quello teologico: “Le difficoltà non risiedono nelle nuove idee, ma nel sottrarsi alle vecchie che ramificano in ogni angolo della mente.” Occorre uno sforzo di tutti per cambiare registro e arrivare al dialogo.

Comunque, per risponderLe appropriatamente, servirebbe di più un sociologo o un filosofo ed io non sono né l’uno né l’altro. Ricordo che questa questione del denaro che, si dice, serve al progresso era stata affrontata in una conferenza dal prof. Galimberti, una decina di anni fa, e cerco di ricordare e riassumere quello che questo acuto filosofo aveva detto.

Però prima, come sempre, occorre essere d’accordo sulla definizione che diamo ai termini. Progresso viene dal latino progredior che vuol dire ‘andare avanti’. Ma Lei cosa intende per progresso, quando lo collega a scienza e denaro? Avere più beni materiali? Avere una vita più lunga? Ma è vero progresso il fatto che la medicina ha di sicuro allungato la vita, ma non la qualità della vita, per cui oggi – almeno in occidente, - portiamo i nostri vecchi, che vivono troppo a lungo,[14] nelle case di riposo, e spesso li abbandoniamo là? Bisognerebbe interpellare questi vecchi ricoverati per sapere cosa pensano del cosiddetto “progresso”. Una volta, questo non succedeva, vuoi perché si moriva prima, vuoi perché i vecchi morivano in famiglia.

Se invece per progresso intendiamo il miglioramento dello stato di felicità dell’umanità, abbiamo veramente progredito? La generazione dei nostri figli è forse più felice di quanto eravamo noi alla loro età? Ho i miei dubbi. Mai il tenore di vita dei giovani occidentali è stato così alto, economicamente, ma anche socialmente e culturalmente[15]. Eppure, il loro futuro non si presenta più roseo rispetto a quello che si presentava a noi: un orizzonte di promesse, di speranza, di ampio respiro; invece questo loro futuro si presenta piuttosto incerto, più come fonte di angoscia e minaccia (come è stato accentuato in questi tempi di coronavirus, che ha messo in luce tante nostre false sicurezze), per cui vediamo che il meccanismo evolutivo psicologico del giovane si blocca sul presente, si arrende facilmente al primo ostacolo e perfino s’incaglia davanti a ostacoli che la generazione precedente considerava irrisori. E questo blocco ha portato – dicono, - a un maggior numero di suicidi fra i giovani. Temo che in questo secolo noi occidentali finiremo facilmente subordinati ai popoli asiatici, che sanno studiare con una fatica che noi occidentali neanche immaginiamo, che sanno impegnarsi così duramente da raggiungere più competenze di quelle che i nostri giovani (parlo mediamente) riescono a raggiungere. I nostri giovani invocano il diritto personale al relax, al divertimento, alle vacanze. Senza queste si sentono stressati, ‘distrutti’. Gli orientali no, perché per loro prima viene il benessere della società, poi i loro diritti individuali. E questo non succedeva neanche alle nostre generazioni che ci hanno preceduto: pensiamo alla fatica mostruosa che facevano i contadini in montagna, alle fatiche sopportate dai nostri soldati nella prima guerra mondiale: noi, al loro posto, moriremmo di fame, di stenti, di malattie perché le mamme ormai disinfettano tutto, e il sistema immunologico dei nostri giovani neanche si forma. E cosa succederà quando dovremmo competere con altri popoli determinati nel migliorare il loro tenore di vita avendo noi esaurito le nostre scorte di ricchezza?[16] Ha visto in qualche documentario che razza di calcoli matematici riescono fare a memoria i bambini cinesi già alle scuole elementari? Ha visto come vivono in Italia i cinesi che lavorano a Prato nelle fabbriche di tessuti?[17] Ha visto gli orari dei negozi cinesi che sono già qui? Sempre aperti, sette giorni su sette. E lo stesso avviene con gli indiani, che in India perfino dormono nelle loro baracchette trasformate in negozi. Non intendo affatto dire che la loro vita sia migliore della nostra, credo però che il loro sarà un modello vincente sul nostro perché s’impegnano e si sacrificano molto, ma molto più di noi. Esattamente come, sul medio e lungo termine, i sistemi repressivi sembrano riuscir a prevalere sulle ragioni di chi invoca la democrazia (vedasi la Cina a Hong Kong che ha violato impunemente il trattato che doveva assicurare due regimi fino al 2047; e in Siria: qui, dieci anni di guerra civile, milioni fra morti e emigrati, e Assad è sempre lì. Una sola cosa è chiara: la democrazia non si esporta con le armi: vedi Libia, Afghanistan o Siria. Curioso che non s’impari nulla dal passato: le crociate avevano fatto un sacco di morti, e nel 1227 Federico II di Svevia era stato perfino scomunicato perché continuava a rimandare la crociata che aveva promesso di organizzare per liberare Gerusalemme; però, conoscendo anche l’arabo, era poi riuscito a trattare in loco e senza spargimento di sangue era riuscito ad ottenere via libera affinché potesse proseguire il pellegrinaggio dei cristiani in Terra santa). Di nuovo la domanda: avrebbe avuto senso dimostrarsi intransigenti e arrivare a una guerra per ottenere lo stesso risultato? Solo l’arte del dialogo toglie la paura e l’odio.

Cosa intende poi per valori? I valori sono sicuramente fattori di coesione sociale, ma sono anche frutto di valutazioni umane, e quindi sono necessariamente mutevoli. Assurdo pensare che i valori di una società di duemila anni fa possano durare in eterno.

Se guardiamo al nostro medioevo, il nostro mondo occidentale era tutto organizzato attorno all’idea di Dio. Basta guardare all’arte: in ogni quadro vediamo un richiamo a Dio, al sacro, al religioso. Lo stesso avveniva nella letteratura: basta pensare all’Inferno-Purgatorio-Paradiso di Dante. Se togliamo Dio non capiamo nulla di quell’epoca. Naturalmente non sto dicendo che allora tutto era meglio e che oggi tutto è male. Allora, anche se sembrava che il male prevalesse (come oggi), si pensava che tutti quegli elementi negativi restavano comunque sotto il controllo di Dio. Per fare un esempio concreto: nelle cattedrali gotiche le impressionanti gargolle, cioè quei doccioni che terminano in orribili demoni, alla fine servono all’opera di Dio che tutto controlla (nel caso specifico servono per raccogliere l’acqua delle grondaie, e quindi servono alla cattedrale, e quindi a Dio). Qualche secolo più tardi, questa idea di onnipotenza di Dio già diminuisce, i demoni acquistano più potere, e gli uomini ritengono di doverlo aiutare: nasce così la caccia alla streghe, il che ovviamente – nell’ottica di oggi,- fu una tragedia.

E oggi? Per molti sicuramente Dio è ancora un valore. Ma se oggi togliamo Dio, riusciamo a capire il nostro tempo? Io credo proprio di sì. Se oggi togliamo la parola onore, riusciamo a capire il nostro tempo? Credo di sì. Se invece togliamo la parola denaro? No. Potere e denaro sono accumulati da molti senza sosta e senza stancarsi mai[18]. Se togliamo la parola tecnica? No. Dio non fa più il mondo, che nel suo insieme non si esprime più dall’idea di Dio. Il nostro mondo oggi è fatto dal denaro e dalla tecnica. Solo con questi parametri comprendiamo il mondo occidentale di oggi. Non parlo del mondo musulmano[19] e del mondo asiatico che purtroppo non conosco a sufficienza. Mi sembra cioè che oggi in occidente si sia avverata la profezia di Nietzsche, il quale aveva affermato che Dio è morto, noi l’abbiamo ucciso e precipitiamo verso un infinito nulla[20]. Il suo nichilismo affermava un tramonto dei valori tradizionali senza che fossero sostituiti da altri. Nel medioevo Dio viveva, ma oggi si può dire che in Occidente è morto[21].

Cosa è poi oggi il denaro? È ancora un mezzo per produrre beni e soddisfare bisogni? Denaro e tecnica sono ancora mezzi in mano all’uomo, che resta al vertice di tutte le cose, come insegnava la Bibbia? Non credo.

Certamente il denaro serve, ma già nei vangeli si distinguono i trenta denari (circa un mese di stipendio normale) dati a Giuda per il tradimento (Mt 27, 3) e i trecento denari di nardo del vaso della donna (Mc 14, 5). Un denaro è identico all’altro, ma nella sostanza i denari sono diversi. Dobbiamo imparare a riconoscere i denari di Giuda e della donna, e a non scambiarli[22]. Già Marx aveva evidenziato che il denaro non era più un mezzo, ma lo scopo primario, perché solo dopo aver accumulato tanto denaro si comincia a decidere se e cosa produrre e quali bisogni soddisfare. E neanche la tecnica ha uno scopo suo, perché si limita semplicemente a chiedere all’uomo la perfetta esecuzione dei propri compiti, quelli del proprio mansionario, senza interrogarsi su altro: l’uomo è ormai ridotto a una rotellina di un ingranaggio enormemente superiore[23]. La morale dell’intenzione, caratteristica del cristianesimo che guarda nell’intimità dell’uomo, è irrilevante per la tecnica. Ad esempio chi lavora in una fabbrica di armi non si pone il problema del fine: dove e per quale motivo verranno usate. Il vescovo di Iglesias ha ricordato che non è cristiano costruire in loco le bombe per venderle poi all’Arabia per la guerra in Yemen. Ha anche aggiunto che si deve studiare la possibilità di un diverso lavoro dignitoso per gli operai attualmente impegnati in tale attività, ma purtroppo sappiamo benissimo che se questi decidessero di non lavorare più nella fabbrica d’armi, per motivi di coscienza, uscirebbero dal ciclo produttivo, essendo difficilissimo in quella zona trovare un altro lavoro. E allora, l’operaio è colpevole dell’uso di quelle armi che ha costruito? Così il pilota che aveva sganciato la bomba atomica su Hiroshima non si era chiesto lo scopo finale dell’operazione, si era limitato ad eseguire bene il suo lavoro di pilota. Quel che è peggio, è che neanche gli organizzatori dei campi di concentramento nazisti si chiedevano qualcosa all’infuori del fare bene il loro lavoro obbedendo agli ordini: se dovevano eliminare velocemente 1000 persone internate e trasformarle in saponette entro mezzogiorno perché poi arrivava un altro carico di persone lo facevano, perché quella era il loro compito in base alla tecnica che avevano a disposizione e agli ordini ricevuti.

E del resto, oggi, in vari Paesi occidentali (compresi gli Stati Uniti) uno straniero può ottenere presto la cittadinanza se porta con sé un bel po’ di denaro, non perché è un uomo. In altre parole, l’immigrato senza un soldo viene cacciato; l’immigrato carico di soldi viene accolto a braccia aperte. Ma allora non è morto solo Dio; è morto anche l’uomo, perché l’uomo non è più un valore in sé. Come ha scritto papa Francesco: le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani[24]. L’uomo è diventato un mezzo in vista della produzione[25] che non si può fermare. È progresso questo?

Sono sicuro che la gente, in tutto il mondo, se potesse non vorrebbe produrre più PIL[26] ma solo essere più felice (tant’è che i suicidi sono più numerosi nei Paesi ricchi che in quelli poveri), per cui la produzione dovrebbe essere solo un mezzo, mai il fine. Invece non è così.

La globalizzazione, che ci ha ulteriormente secolarizzato, di per sé è un’astrazione. Dovremmo ognuno chiederci: “dov’è la mia frontiera? Dov’è il mio muro oltre il quale c’è invece mio fratello?” Insomma, dovremmo pur porci qualche domanda all’infuori di quelle economiche per indirizzare il nostro futuro nel migliore dei modi.

E allora ecco che necessariamente la scienza e la tecnica non bastano per dare tutte le risposte. Perché mai siamo inquieti, e quando pensiamo di aver raggiunto tutto, ci accorgiamo che manca sempre qualcosa? Da cosa dipende il fatto che, nonostante la compagnia, si avverte la solitudine? Nonostante la sincerità di certe amicizie e l’intimità di tanti amori, ci accorgiamo che l’altro ci sfugge? Nonostante i soldi, i piaceri e gli amori giovanili, ci ritroviamo poveri, spregevolmente vuoti? Secondo il compianto vescovo di Molfetta,[27] “È Dio che ci manca,” e né la scienza, né la tecnica riescono a riempire questo vuoto.

Quando la Genesi dice che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gn 1, 26), significa che in qualche misura Dio si riconosce nell’uomo per cui l’immagine che ha creato è un dono per l’uomo; ma la somiglianza a Lui è compito nostro, dipende dal nostro comportamento. Facendo l’uomo, Dio si è in qualche modo ritirato, vuol dire che non occupa il tutto, ma lascia spazio anche per l’uomo. Dio ha dato la materia grezza, ma poi è l’uomo che deve fare il resto. Per somigliargli, l’uomo dovrebbe fare come ha fatto Dio: non può continuare egoisticamente a espandersi senza fine, cercar di prendere tutto e occupare il tutto. L’uomo potrà mangiare di tutto nell’Eden, ma non tutto perché se gli uomini consumano tutto finiscono col distruggere la terra e alla fine distruggono anche sé stessi. Questo significa accettare i limiti della propria creaturalità. Però, egoisticamente, gli uomini tendono a espandersi senza lasciar niente agli altri; vogliono avere il potere su tutto, sono bulimici e fanno fatica ad accettare l’idea che la cura e il servizio sono fondamentali per gli altri, ma anche per loro stessi.

Già nella Bibbia si levava ogni tanto qualche voce profetica contro questa bulimia di chi aveva in mano il potere, anche se cercava di presentarsi sotto la maschera del mite, perché in realtà non si accontentava mai: «Gridano “Pace!” quando i loro denti hanno qualcosa da mordere, ma dichiarano la guerra santa contro chi non mette nulla nella loro bocca» (Mic 3, 5). Noi non ci comportiamo ancora così, quando sovvenzioniamo in Africa guerre e guerricciole per poter impossessarci più facilmente delle materie che lì ancora abbondano?

Il vero credente, perciò, è il buon samaritano (Lc 10, 25ss.), il quale non pensa a Dio ma si guarda intorno e si pone la domanda: dov’è e cosa fa mio fratello? Se ci guardassimo attorno, anche noi vedremmo che aumenta a dismisura il numero dei poveri (abbiamo ormai invertito il trend durato qualche decennio che faceva diminuire la povertà), e aumenta in contemporanea anche il numero dei ricchi: 2500 persone al mondo posseggono quanto possiedono 4,7 miliardi di persone, ben più di metà dell’umanità.

Anche qui il papa mette in rilievo che la religiosità verticale (io e Dio) è egoistica e sbagliata; la religiosità non può essere disgiunta dal rapporto orizzontale (io e gli altri uomini). E pure papa Benedetto XVI aveva sostenuto lo stesso principio. Nell’Enciclica Deus caritas est del 29.6.2009, §55 aveva detto che il mondo è attraversato da culture che non impegnano l'uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale. E lo stesso pensiero era stato ripreso ed approfondito anche nel suo secondo volume su Gesù di Nazareth: “la premura per l’altro, non è un secondo settore del cristianesimo accanto al culto, ma è radicato proprio in esso e ne fa parte. Nell’Eucaristia la dimensione orizzontale e quella verticale sono collegate inscindibilmente”[28].

Mi fermo qui, perché potremmo discutere per mesi, e come vede, non sono in grado di darLe una risposta, ma solo spunti su cui meditare.

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35. Semplicemente volevo dire che questa visione che Lei ci ha proposto, che a me sembra nell’insieme accettabile, non è molto diffusa nella Chiesa. È vero che gli eventi che hanno cambiato la Chiesa e l’umanità sono spesso avvenuti al di fuori della Chiesa, sono stati eventi esterni (pensiamo solo a come si sono imposti la libertà di coscienza, di parola, la possibilità di cambiare religione), in contrapposizione ai principi formulati dalla Chiesa, con la solita pretesa di eternità. Ecco ho l’impressione che, nella formazione cristiana normale, ci sia ancora poca consapevolezza della libertà di cui dovremmo godere, e ci sia ancora molta dottrina, molta disciplina. Proprio a livello di Chiesa, intesa come popolo di Dio, ci vorrebbe più coraggio e più uso di questa libertà; solo così avremmo più presente la possibilità di aprire gli occhi sulla realtà. Lei condivide?

Sì, condivido. Se fin lo stesso papa Benedetto XVI ha creato, all’interno della Chiesa, una struttura nuova, che si chiama della nuova evangelizzazione, e che sembra quasi contraddittoria col voler mantenere immobile ed eterno tutto l’impianto dottrinale del passato, vuol dire che anche lui si è reso conto che l’istituzione fa problema, i dogmi fanno problema, la dottrina così come ancora oggi viene normalmente spiegata fa problema. E perché? Perché i passaggi culturali veloci degli ultimi tempi hanno ormai reso insignificanti e logorate dall’abitudine tante espressioni utilizzate abitualmente in passato quando, comprese o accettate senza essere comprese, avevano comunque un significato condivisibile per tutti.

Com’è possibile che allora si accettassero a scatola chiusa definizioni che oggi non accettiamo più? Le rispondo: com’è possibile che la Dichiarazione d’indipendenza americana proclamasse la libertà e uguaglianza fra tutti gli uomini, ma poi trovasse naturale la schiavitù dei neri? Oggi non riusciamo a comprenderlo. Noi oggi sosteniamo che Gesù ci ha rivelato che ogni uomo ha un valore assoluto, anche il più piccolo e il più emarginato; in passato si ammazzavano in nome di Gesù gli ebrei colpevoli di averlo ucciso. Per i musulmani la dignità assoluta dell'uomo non fa parte dell'islam, che non conosce la parola persona come le intendiamo noi; conosce l'individuo che è una cellula parte integrante della comunità titolare di diritti. La sharia protegge la comunità non l'individuo, e il bene della comunità prevale sul bene della singola persona. La democrazia presuppone la libertà di pensiero, di espressione, di religione, perfino di dissenso della singola persona. La sharia non ammette questi diritti individuali che possono minare il bene della comunità[29].

Ma il cambiamento non può essere imposto dall’esterno, deve arrivare dall’interno. Ci sono voluti secoli, nel mondo occidentale, per cambiare. Così cambia lentamente anche la Chiesa. Pensiamo solo a come l’immagine di Dio non è mai rimasta statica, tanto che Gesù stesso ci ha fatto intendere che anche l’immagine di Dio da lui offerta cambierà ancora (Gv 16, 13), anche perché ogni immagine divina è legata alla fase storica che viviamo. Pensiamo a certe immagini violente di Dio, presenti nei Salmi, che sono state censurate nella Liturgia delle ore perché sono estremamente imbarazzanti per la nostra mentalità attuale. Per lo stesso motivo, oggi nella messa si parla di un Dio onnipotente, ma non più di un Dio degli eserciti, immagine che invece nel contesto storico di un lontano passato serviva ad assicurare gli israeliti che essi sarebbero stati difesi da Dio in persona contro gli altri popoli. Giuseppe Flavio ad esempio racconta che al momento dell'assalto delle legioni romane di Tito al Tempio di Gerusalemme, 6.000 giudei erano in attesa a piè fermo, convinti che Dio sarebbe arrivato in loro aiuto sconfiggendo i romani[30]. Non è finita così: quell’immagine di Dio era sbagliata, e la si è dovuta cambiare.

Oggi abbiamo capito che i libri della Bibbia sono semplicemente un lento cammino di conoscenza del volto di Dio, ad opera degli uomini. Non siamo perciò davanti a un testo assertivo, ma a un libro che continua a interpellarci ogni giorno. La ricerca di Dio dunque è sempre continuata e continua tuttora, tranne ovviamente per coloro che pensano di possedere già la Verità assoluta e quindi sono convinti di sapere ormai tutto di Dio. Ma se accettiamo l’idea che l’uomo immanente non potrà mai conoscere il Trascendente, e che solo nel Trascendente c’è la Verità assoluta,[31] dobbiamo continuare in libertà la ricerca, anche contro coloro che non lo vogliono fare e non vorrebbero farcelo fare.

È indubbio che la nostra cultura, pur cambiata radicalmente nel tempo, non è l’unica[32] in questo mondo, e comunque richiede costantemente una riformulazione. Penso allora che, se continua questo ritmo culturale veloce di cambiamenti profondi, sarà necessario per ogni generazione riformulare la propria fede. Però sempre partendo dall’esperienza, e per questo all’inizio della relazione ho insistito tanto su quest’aspetto: occorre partire dall’esperienza di fede, e non dalle dottrine. Come ho già detto, oggi sono in molti a vivere un cristianesimo di appartenenza, di identità,[33] che nulla ha a che vedere con un cristianesimo di esperienza.

Credo che questo sia oggi il problema fondamentale dell’educazione religiosa: non si può andare avanti trasmettendo dottrine, ma solo inserendoci in una struttura di esperienza per tradurre poi con formule nuove ciò che si estrae da quest’esperienza.

E non dimentichiamo neanche che le dottrine, le regole e i dogmi spesso diventano un possente meccanismo di difesa contro gli insopportabili richiami dell’impegno cristiano. Ci riusciremo a cambiare o saremo prima assorbiti da altri? Non lo so. Comunque grazie per questa sua stimolante osservazione.

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36. Ma visto quello che pensa, mi domando e Le chiedo: come fa a restare in questa Chiesa se non accetta l’idea di dover obbedire al magistero e se non crede a tutta la dottrina e ai dogmi che il magistero ha insegnato?

Posso risponderLe in vari modi. Il primo. se per credente s’intende aderire al magistero della Chiesa e obbedire ciecamente alle leggi e regole che esso ha predisposto, è evidente che non sono credente. Se per credente s’intende aderire all’offerta che Gesù fa nei Vangeli, ai valori insiti nel suo messaggio, all’invito a collaborare per realizzare un mondo migliore su questa terra (il Regno di Dio, già qui ed ora), senza essere inquadrati e dover dire sempre “amen” a ogni precetto ufficiale della Chiesa, allora posso definirmi credente. Certo, mi ostino a contrastare ogni contraddizione (e ce ne sono tante!) che trovo nella Scrittura, ma solo perché qualcuno vuol farmi ingoiare anche una caterva di incongruenze: se per lui le contraddizioni vanno bene, pensa a Gesù nel suo modo, mi sta bene. Non mi sta bene che m’imponga di pensare come pensa lui.

Anche se sono pieno di dubbi “Io penso di essere credente, non so se molto o poco, credo comunque nel Vangelo,”[34] dove mai si dice che Gesù ha chiesto una qualche condizione preliminare di purezza, di perfezione o di obbedienza per entrare in rapporto con Lui e con l'Amore di cui tanto parla. Poi i vangeli ci dicono che la morte non è la fine di tutte le cose, e questo instilla una fiammella di speranza non dappoco[35]. Devo comunque ringraziare la Chiesa che ha fatto giungere fino a me, a noi, questi vangeli. Non li avremmo conosciuti se non ci fosse stata la Chiesa.

Così alla domanda se credo in Dio potrei rispondere solo con un ‘non so, ma credo di sì’; comunque non posso credere al Dio insegnatomi da piccolo col catechismo, perché troppe sono le contraddizioni che non hanno trovato risposta. Una delle cose, ad esempio, che non sopporto nella storia cristiana (ce ne sono tante!) è la facilità con cui i cristiani “duri e puri” hanno condannato all'inferno tutti gli altri.

Se invece mi chiedessero se sono ateo, direi proprio di no, perché il tema di Dio resta per me un tema aperto e irrisolto; e in ogni caso, come dice Maurizio Maggiani “spero comunque di aver vissuto abbastanza dignitosamente questa vita per potermi meritare qualcosa di meglio di una a-privativa”[36].

Le posso anche rispondere con le parole del teologo prof. Paolo Ricca,[37] grande teologo valdese. Affrontando questa delicata questione egli ha detto: “che cosa succede se, obbedendo alla propria coscienza, si disobbedisce liberamente e consapevolmente alla propria autorità? Succede che si esce dalla comunione che intorno a quella autorità si costituisce. In concreto, se l’autorità è quella di una chiesa (di qualunque chiesa, di qualunque segno confessionale, perché il principio d’autorità – che qui è in gioco – è operante in qualunque organismo umano), si esce dalla comunione di quella chiesa.

Per andare dove? Non c’è una meta: l’esigenza non è di andare da qualche parte, ma di uscire da un quadro nel quale ci si sente fuori posto o, semplicemente, non ci si ritrova più. È questa un’uscita dalla Chiesa di Cristo? In nessun modo, al contrario: quella uscita è possibile, come atto di fede, proprio perché si sa (ogni cristiano lo sa) che la Chiesa di Cristo è più grande di qualunque chiesa storica, grande o piccola che sia. Uscire da una chiesa non implica necessariamente entrare in un’altra. Si può anche diventare “cristiano senza chiesa”, che poi non è affatto “senza chiesa”, ma solo senza chiesa visibile.

Si può essere perfino cristiani da soli, almeno per un periodo di tempo, per quanto arduo possa essere. È accaduto tante volte. Accadde al profeta Elia che a un certo punto confessa: «Sono rimasto solo» (I Re 18, 22; 19,14), come del resto rimase solo Gesù (Gv 16, 32), e anche l’apostolo Paolo (2Tm 4, 16), e innumerevoli cristiani della diaspora in tutti i secoli e anche oggi”.

Infine posso dirLe che personalmente posso restare in questa nostra Chiesa perché, per mia fortuna, ho trovato sia preti che laici molto vicini alle mie idee, o che per lo meno mi accettano così, senza scomunicarmi.

D’altra parte, pur avendo conosciuto validi pastori e pastore di altre Chiese (valdese, battista, anglicana), non è che lì tutto fili liscio come l’olio e si possa trovare lì la piena coerenza che non si trova nella Chiesa cattolica. Per fare un esempio recente, un pastore metodista, che ha ottenuto il master in teologia alla St. Paul's School of Theology of Kansas City, negli USA, tale Emanuel Cleaver, ultimamente eletto perfino alla camera dei Rappresentanti a Washington per lo Stato del Missouri, ha scelto di chiudere la sua preghiera, recitata in apertura dei lavori per il 117esimo Congresso, con le parole «Amen» e «Awoman»[38].

Perché? Ma perché la parola Amen richiamava nella sua mente il maschio (men in inglese significa uomini), e allora lui si è sentito in dovere di dare un tocco di uguaglianza citando anche le donne (woman in inglese significa appunto donna).

Una scelta che dovrebbe far sbellicare dalle risa, perché in realtà la parola «Amen», completamente asessuale, significa “è certo”, dal verbo aman, essere stabili, sicuri[39]; appoggiarsi a qualcosa di solido;[40] quindi, in un certo senso, anche credere: ‘Sì! Credo’. Questo pastore,[41] nel seguire una foga femminista, ha tragicamente frainteso l’origine e il significato della parola, ed è come se quel pastore leggendo la parola italiana truce pensasse all’inglese truce che significa tregua; oppure leggendo la parola spagnola balde ritenesse un’assonanza con l’inglese bald, anche se la prima significa secchio, e la seconda calvo. O come se un italiano, leggendo in inglese la parola sever pensasse a severo, quando vuol dire recidere. Ecco perché, come diceva Mark Twain, “è meglio tener la bocca chiusa e sembrare stupidi, piuttosto che aprirla e togliere ogni dubbio”[42].

Ecco, se cambiando Chiesa dovessi raffrontarmi con simili pastori del gregge, avrei da ridire come ho da ridire con tanti ‘pastori’ cattolici. Quindi non potrei restare neanche in quella Chiesa.

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Con questa risposta concludo questa lunga serie di Domande e Risposte ben sapendo che ci saranno sempre altre domande, e che ci saranno sempre degli scontenti alle risposte ricevute: in effetti non è detto che le mie risposte siano state sempre esaustive e convincenti. Come detto all’inizio, sono sempre e solo un cercatore di Dio, e non ho in tasca nessuna verità assoluta da offrire.

Anche se, con le mie risposte, non ho colto la completa verità, è pur sempre vero che, per essere accettabile, un’interpretazione non ha bisogno di esaurire la verità né di escludere tutte le altre[43].

Jean-Marie R. Tillard, nel suo libro “Siamo gli ultimi cristiani?” (il titolo già dice tutto), ci ricorda che viviamo un cristianesimo di appartenenza, di identità (ci sentiamo superiori e ci distinguiamo dai fedeli delle altre religioni), che nulla ha a che vedere con un cristianesimo di esperienza.

Perciò il vero cristianesimo del NT non esiste ancora. Il cristianesimo come l’abbiamo visto e vissuto ha emarginato il Vangelo per cui ci troviamo in un bozzolo costruito dai sedicenti cristiani che ci evita di dover adeguare la nostra vita alla Parola di Dio espressa in Gesù. Ecco perché porsi domande e cercare risposte, iniziare un dialogo senza accettare come oro colato quello che abbiamo sentito in passato, è già positivo, ed è uno stimolo per continuare nella ricerca.

Noi crediamo di aver ascoltato il Vangelo e di sapere già tutto, e invece dobbiamo ancora far dire al Vangelo quello che e c’è scritto e non quello che sappiamo.

Libri come quello di Castillo José Maria, L’Evangelio marginado e di Collin Dominique, Il cristianesimo non esiste ancora, della Queriniana, spiegano cosa si deve cominciare a fare perché il Vangelo torni, o meglio ricominci, ad essere davvero Vangelo. Perciò il cristianesimo del futuro, che si adeguerà finalmente al Vangelo, sarà l’avvenire dell’umano, perché il Vangelo – dopo duemila anni,- non ha ancora detto la sua ultima parola, non ha esalato il suo ultimo respiro, sì che non credo che noi saremo gli ultimi cristiani.

Lo sforzo di papa Francesco va in questa direzione: al centro del Vangelo c’è l’Uomo, non la Chiesa. Se crediamo a tutto questo dobbiamo fare di più per supportarlo, ben sapendo che i tempi sono lunghi e che forse noi non vedremo ancora i frutti del cambiamento.

Termino allora con le parole con cui ho terminato il mio libro “C’è Gesù e Gesù”, ed. Vertigo, 2017:

«E allora, dopo tutte queste parole, se siete anche voi almeno un po' convinti che il cammino per incontrare Dio non è il cammino che ci porta a diventare divini, ma quello che ci fa ogni giorno più umani; se siete almeno un po' convinti che evangelizzare non è annunciare una dottrina e una serie di dogmi eterni a lungo meditati e studiati, ma aiutare ogni giorno con amorevole misericordia chi incrocia la nostra strada ed è più fragile di noi; se siete almeno un po' convinti che essere credenti non è proclamare di esserlo, magari pensando di dimostrarlo a tutti con l'osservanza ferrea della sana dottrina e della vera tradizione, perché occorre dimostrare di essere quello che si dice di essere, non resta che concludere con le parole di un medico filosofo del 1600:

Amico, basta ormai. Se vuoi leggere ancora,

va’, e diventa tu stesso Scrittura»

(Angelus Silesius, Il Pellegrino cherubico, VI, 263, Conclusione, in

http://www.pietrodeluigi.it/I_distici_di_Silesius.htm)

Insomma, leggiamo meno, svisceriamo di meno gli argomenti teologici, e agiamo di più: dice l’evangelista che si potrà vedere il risorto in Galilea (Mt 28, 7; Mc 16, 7). È un’invito a tornare all’inizio della storia per cominciare finalmente a vivere il vangelo: solo così si potrà fare esperienza del risorto. La Galilea è il luogo della storia quotidiana, e nella vita quotidiana dobbiamo vivere e fare esperienza del Risorto[44]. Per noi occidentali la verità si pensa. Invece il vangelo dice che si fa. Serve ortoprassi più che ortodossia.

Si può vivere da cristiani anche senza pensare alla natura umana e divina di Gesù, al suo preesistere come Verbo nella Trinità. Ma non si può vivere da cristiani senza prenderci cura dei nostri fratelli. La Chiesa muore se non sta vicina ai luoghi della sofferenza, non muore se smette di imporre i suoi dogmi.


NOTE


[1] Una prima secolarizzazione è avvenuta ai tempi di Max Weber, quando si era detto che si può pensare a agire come se Dio non esistesse. Il credere fa parte della coscienza intima individuale, ma non deve più interferire con la sfera pubblica. La religione è considerata (o tollerata) tutt'al più come una mera questione soggettiva, ma senza rilevanza pubblica. Siamo così entrati nel “secolarismo” (...) e anche nel “relativismo etico”.

Se per la Chiesa l’uomo è un essere personale orientato a Dio, con la secolarizzazione l’uomo è un assoluto, il padrone di sé stesso e del mondo, senza bisogno di Dio (Avvenire 18.2.2021, 3, un articolo di Sorge B.). Se la Chiesa è in crisi, dicono in tanti, è colpa del secolarismo, del mondo. C’è chi ha replicato che, se è per questo, anche la Chiesa si è talmente mondanizzata nelle strutture e nel messaggio da non sapere nemmeno lei cosa vuol dire essere cristiani.

Una seconda secolarizzazione è avvenuta con la globalizzazione, il digitale e la finanza, e il suo simbolo è l’individualismo libertario, per cui ci si può comportare come se la comunità non esistesse.

L’ipercapitalismo globale, (copyright di Branko Milanovic), sta disgregando le vecchie classi sociali e le loro rappresentanze politiche – destra/sinistra – senza conoscere regole, se non quella del profitto senza limiti. Ecco perché l’insorgenza populista non si spegnerà presto. Il Covid ha confermato che occorre una governance globale, ma al momento essa appare irrealistica. Le regole, ancora nazionali, appaiono più realistiche e a portata di mano, ma più accentuano “l’autarchia nazionale” e più l’effetto complessivo è un caos globale (http://www.libertaeguale.it/trump-sconfitto-fine-del-populismo-la-risposta-e-no/ del 15.11.2020 - Pubblicato da santalessandro.org, sabato 14 novembre 2020).

Per questo papa Francesco sta combattendo contro simili concetti, richiamando in continuazione che nessuno si salva da solo e siamo tutti sulla stessa barca. Il problema reale è che non remiamo tutti assieme e per di più, su questa barca, vorremmo allontanare rematori italiani che ci sono sgraditi e soprattutto non far salire passeggeri stranieri, quand’anche chiedano di remare insieme a noi.

[2] Cfr. risposta alla domanda n.4 al n.590 di questo giornale, inizio 2021.

[3] Intervento del 9.10.2020 alla conferenza Sociedad civil, religión y valores en el contexto de los cambios políticos en latinoAmérica, in www.religiondigital.org.

[4] Murray J.C., Noi crediamo in queste verità, Morcelliana, Brescia, 1965 (e riedizione del 2021), un libro che ha sicuramente ispirato, al concilio Vaticano II, la Dichiarazione Dignitatis Humanae del dicembre 1965.

[5] Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 371ss.

[6] Cfr. quanto detto della sinfonia alla risposta n. 29.

[7] Ancora la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione - Dei Verbum, del 18.11.1965, al § 8, sosteneva che i vescovi, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Oggi non tutti la pensano così, e non è un caso se anche fra i vescovi le posizioni sono spesso contrastanti (vedi ad es. le reazioni al responso sul divieto di benedire le coppie omosessuali, nel marzo 2021).

[8] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.11, a.1.

[9] Tagore R., in www.latisanadelcuore.it/rabindranath_Tagore.

[10] Terzani T., Pelle di leopardo, ed. Tea-Longanesi, Milano, 2004, 175.

[11] Terzani T., Un altro giro di giostra, Longanesi, Milano, 2014, 419.

[12] Si può notare come negli ultimi anni negli Stati Uniti il cattolicesimo si è sempre più polarizzato, e “spostarsi” a destra per un cattolico americano ha significato anche prendere le distanze dal Pontificato di Francesco. Pensiamo solo alla propaganda dell’ex Nunzio monsignor Carlo Maria Viganò, che dall’agosto 2018, per oltre due anni, ha usato il martello contro il Papa, di cui ha chiesto più volte le dimissioni. Viganò ha indetto preghiere per la rielezione di Trump e ha ottenuto il pubblico appoggio di Trump in persona. Mentre con una mossa senza precedenti il Segretario di Stato trumpiano Mike Pompeo, a fine settembre, ha accusato il Vaticano di immoralità per i suoi accordi diplomatici con la Cina in materia di scelta dei vescovi.

[13] Nell’Antigone di Sofocle, la donna decide di dare sepoltura al fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe, lo zio Creonte, che l'ha vietata con un provvedimento (perché Polinice, è morto durante l’assedio di Tebe, comportandosi come un nemico: non gli devono quindi essere resi gli onori funebri). La donna sostiene che dare sepoltura è atto voluto dagli dèi e supera ogni divieto umano (vv. 450-457). L’autore affronta l’eterno problema della legittimità del diritto vigente. Per aver disobbedito, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell'indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma è troppo tardi: Antigone nel frattempo si è suicidata, impiccandosi. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte (promesso sposo di Antigone), e poi muore pure la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria intransigenza.

[14] Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi di ultrasessantenni: dunque, una persona su cinque sarà anziana World Health Organization (2011), Global Health and Aging, in http://www.who.int/ageing/publications/global_health.pdf.

[15] Culturalmente solo a livello di possibilità offerte, perché credo che – come media, - i giovani che escono oggi da molti licei siano assai meno preparati dei giovani di due, tre generazioni fa. Spesso fanno orrori di ortografia e grammatica (ormai lo si nota anche nei quotidiani: ‘pò’ invece di «po’»; ‘gli’ anche per il femminile, quando andrebbe «le»; ‘qual’è’ invece di «qual è» non sapendo la differenza fra elisione e troncamento), non sanno fare di conto, non sanno niente di geografia (provate a chiedere a dei maturandi dov’è Seattle, Seul, o come si chiama oggi la vecchia Madras), pochissimo di storia (non riescono a fissare personaggi importanti nel secolo giusto). Sembra a volte che l’ignoranza sia la scienza dell’avvenire.

[16] Quanti nonni contribuiscono oggi a mantenere figli e nipoti?

[17] A Pechino, il salario minimo di un dipendente è di €257 al mese per 72 ore di lavoro settimanali (“Specchio” 7.2.2021, 17). Lì, lavorare alle condizioni offerte in occidente da Amazon (che qui hanno portato a uno sciopero generale nel mese di marzo 2021) sarebbe accettato con entusiasmo.

[18] Mentre i desideri della nostra corporeità hanno dei limiti fisiologici, perché a un certo punto non ce la facciamo più, potere e denaro si possono accumulare senza esserne mai esausti: per chi ne viene catturato interiormente non saranno mai abbastanza e diventeranno una fonte temibile di schiavitù o, in termini più moderni, di dipendenza (Grandi G., Scusi per la pianta, DeA Planeta, Milano, 2021, 20s.).

[19] So, però, che i musulmani vogliono la nostra tecnologia, ma non i nostri valori. Essi ci vedono come ricchi, democratici, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, vuoti dentro, senza ideali, senza regole di morale. Ritengono di avere come missione da compiere venire in Occidente per dare un'anima alla nostra civiltà, convertendoci all'islam (Gheddo P., La sfida dell'Islam all'Occidente, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007,142s.).

[20] Nietzsche F., La gaia scienza, libro terzo, passi 108 e 125; libro quinto, passo 343.

[21] Forse noi oggi temiamo che i musulmani vengano a conquistarci religiosamente proprio perché loro credono in Dio, mentre noi non ci crediamo più. Però, a guardar bene, il vero problema “non è tanto nella forza dell’islam, quanto nella debolezza del cristianesimo in Europa”. A dirlo è stato il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/07/20/islam-europa-religione-cristiana-koch-schonborn___1-v-144632-rubriche_c227.htm.

[22] Bruni L., La diversa economia, “Famiglia cristiana”, n.13/2021, 97.

[23] La tecnologia è stata definita uno strumento di politica distruttiva perché cerca di far produrre non solo merci, ma individui perfettamente adatti a produrre e poi consumare quelle stesse merci. Non ricordo quale filosofo moderno (forse Herbert Marcuse) parlava dell’uomo a una dimensone, privo di forza critica, incapace di sottrarsi al dominio delle istituzioni, incapace di ribellarsi al totalitarismo narcotico dei media.

[24] §11 della recente Enciclica Fratelli tutti, del 3.10.2020.

[25] Si chiede giustamente uno storico della nostra epoca: quando l’uomo ha cominciato l’allevamento intensivo (ammassando migliaia di animali) si sono certamente sollevate critiche a questo genere di pratiche. In seguito non ce ne siamo più interessati, evidentemente considerando irrilevante il destino di forme di vita cosiddette inferiori. Ma forse anche noi siamo sul punto di diventarlo: se e quando i software acquisteranno un’intelligenza oltreumana e un potere sconfinato, li considereremo più degli umani? Sarebbe normale per un’intelligenza artificiale sfruttare gli umani e perfino ucciderli per promuovere i propri bisogni e desideri? (Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 157).

[26] I burocrati europei misurano lo stato di salute di un Paese in termini di spread, non di occupazione, di benessere e servizi per i cittadini (Tornielli A., Intervista a Francesco in viaggio, ed. Piemme Milano, 2017, 76). Alla gente, invece, non interessa rapportare il livello di vita a quello di consumo, né paragonare la qualità della vita alla quantità delle cose comperate. Ma il mercato e la finanza prevalgono sui desideri della gente.

[27] Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 192: prima omelia da vescovo nel 1982.

[28] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano 2011, 147s.

[29] Gheddo P., La sfida dell'Islam all'Occidente, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007, 42s.

[30] Così racconta Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, 6, 285s. Come mai? Perché in 2Re 19, 35, c'è come un’azione dell’angelo del Signore che colpì ben 185.000 guerrieri di Sennacherib che assediavano Gerusalemme. Questo fatto aveva dato luogo alla certezza, che, nel momento di maggior pericolo per Gerusalemme, Dio sarebbe intervenuto. E questa convinzione veniva cantata nel salmo 46, 6: “Dio è in mezzo ad essa, non potrà vacillare”; perciò, quando Gerusalemme si troverà nel momento di massimo pericolo, il Dio degli eserciti interverrà di sicuro per sbaragliare l’esercito nemico.

[31] La nostra verità è sempre parziale. Nel nostro zaino portiamo solo un piccolo frammento di un tutto ben più grande di noi e che non conosciamo. Assolutizziamo dei frammenti

[32] Per cultura s’intende il modo di stare al mondo. La Chiesa si sta dimostrando oggi un mondo a parte, che usa parole logore per cui non svolge più la funzione catalizzante che ha avuto nel passato.

[33] Curioso come proprio la frangia conservatrice, che si sente superiore ai fedeli delle altre religioni, è proprio lei ad avere più paura dell’islam.

[34] E queste sono le parole di don Vatta M., La strada maestra, ed. FVG, Trieste, 2007, 115, che per tutta la vita si è dedicato agli esclusi e agli emarginati.

[35] Pensiamo invece alla tragicità del pensiero greco: (Iliade 24, 525) tale è la sorte che gli dèi hanno ordito per i poveri mortali: vivere nell'affanno, mentre restano loro liberi da ogni preoccupazione. Oppure, Iliade 5, 441s.: il vento spande le foglie sulla terra la foresta le germina e ne produce nuove, e la primavera viene. Così la generazione degli uomini nasce e si estingue.

[36] Maggiani M., Una fede nuda, “Fraternità di Romena” n.2/2013,19 e 22.

[37] Ricca P., Autorità della Chiesa, autorità della coscienza, “Riforma”, 19.6.2020.

[38] Potete sentire la frase incriminata in https://www.youtube.com/watch?v=xunT8PqDtDk. La notizia è finita fin su Il “Corriere della sera” del 5.1.2021, in https://video.corriere.it/esteri/amen-awoman-pastore-dem-chiude-cosi-preghiera-polemiche-usa/47e0e80c-4eb6-11eb-80d3-dd4bb2b89fab.

[39] Come il costruttore che ha eretto la sua casa sulla roccia e non sulla sabbia (Mt 7, 24ss.) (Ravasi G., ‘émet/’aman, “Famiglia Cristiana”, n.3/2021, 86).

[40] Quando è il denaro a possederci, nei vangeli prende il nome di mammona, non di diavolo. Chi è mammona? Nella lingua ebraica si scrivevano soltanto le consonanti e non le vocali: se quindi togliamo le vocali “a” e “o”, queste consonanti che rimangono "m-n", sono della stessa radice da cui proviene poi una parola che diciamo quotidianamente e che conosciamo: amen (Ravasi G., La ricchezza disonesta, “Famiglia Cristiana”, n.13/2013, 135). Amen e mammona hanno la stessa radice. Che cosa significa l’espressione amen? Significa è certo, è sicuro. Da questa radice, è certo, è sicuro, deriva il termine mammona, dall’aramaico mamon: ciò che dà sicurezza, ciò che dà certezza alle persone. Se mammona significa ciò che dà sicurezza, cos’è questa sicurezza, cos’è che dà sicurezza? Il denaro. Quindi mammona è quel che dà sicurezza nella propria esistenza. Quand’è che siamo sicuri? Quando abbiamo a disposizione tanto denaro. Il denaro, ieri come oggi, dà la sicurezza nell’esistenza, ma non è che mammona sia un altro nome di un diavolo cattivo capace di entrare di soppiatto nell’uomo avido o avaro; siamo noi che idolatriamo il denaro. La scelta è fra Dio e il denaro, fra l’essere e l’avere (Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi,1989, 61), e l’amore per il denaro è la radice di tutti i mali (1Tm 6, 10). Un po’ diverso da quello che pensa il pastore Cleaver, il quale parlerà bene in inglese, ma ignora completamente l’etimologia della parola.

[41] Che sicuramente non è l’ultimo arrivato visto che è stato nominato a Washington, alla camera bassa del Congresso, ma che lascia piuttosto a desiderare quanto a cultura generale, e lascia conseguentemente anche dubbi sulla sua preparazione teologica.

[42] In https://www.pensieriparole.it/aforismi/comportamento/frase-1465.

[43] Torres Queiruga A., L'ortodossia oggi: dall'Anathema sit a Chi sono io per giudicare?, “Concilium”, 2014, 46.

[44] Scquizzato P., Ripensare la risurrezione, Zoom 31.3.202, in www.unachiesaapiùvoci.it