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La fronte abbassata


di Stefano Sodaro


L’ammonizione liturgica – solitamente di competenza diaconale – “Inchinate il capo per la benedizione”, prevista nel Rito Romano al termine delle liturgie solenni, non è, diciamocelo, l’invito più seducente ed attrattivo che sia possibile immaginare. Gli ordini se li tenessero per sé preti e gerarchie varie. Ad esempio, il sottoscritto estensore di questo povero editoriale di inizio anno ha pervicacemente pressoché sempre opposto un capo per nulla inchinato, ma ben eretto, per ricevere la sacra benedizione, presbiterale o episcopale che fosse.

Epperò, però, qualcosa fa problema.

Nel celeberrimo film di Steven Spielberg (accantonando qui critiche e commenti, tutte sempre auspicabili e tutti sempre possibili), il protagonista Oskar Schindler, raggiungendo in cantina l’internata Helene Hirsch, che il Comandante nazista del Lager – di cui mi secca persino ricordare il nome – tratta come oggetto personale, come divertissement e ammennicolo, vuole riconsegnarle, sì a lei, a quella donna, la sua propria soggettività negata, repressa, umiliata, offesa. E Schindler è anch’egli membro, autorevole, del Partito Nazionalsocialista.

La scena in inglese, su Youtube, può essere rivista a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=7mJ0HSLMba0

E risalta, anzi giganteggia, una particolare immagine, ed un particolare dialogo, di quella scena così intensa e straziante.

Helene si ritira istintivamente quando Schindler si avvicina per baciarla: ancora una volta il gesto così bello, semplice, immediato e vero, dell’amore, trasformato in sopraffazione, tramutato nel suo orrido capovolgimento? Ancora una violazione, una violenza?

Fa bene Helene a cercare di scansarsi, siamo tutti con lei e per lei temiamo trattenendo il fiato.

Però Schindler la tranquillizza: “It’s all right! It’s not that kind of a kiss!”, “Va tutto bene! Non è quel genere di bacio!”

Un bacio sulla bocca è “quel genere di bacio” che Amon Göth, l’aguzzino padrone – mi tocca nominarlo – ha trasformato in una mostruosità omicida.

Il bacio di Schindler sulla fronte abbassata di Helene Hirsch è la verità del bacio, proprio mentre esclude altre implicazioni. E la ragazza risponde “Grazie”. E piange lei, e piangiamo noi – io di sicuro – davanti a quella scena.

Il bacio sulla bocca ha un pudore che non può essere offeso con la costrizione. Il bacio sulla bocca è lasciato agli innamorati che si salutano alla Stazione.

Ma anche il bacio sulla fronte abbassata – pure di lui, non solo di lei, perché mai non dovrebbe anche lui abbassare la fronte? – pronuncia la stessa Parola di Verità del bacio violentato e non più redimibile, perché abbruttito, banalizzato, persino, in certo modo, commercializzato: se vuoi salva la vita, baciami sulla bocca.

Dunque l’invito del diacono ad inchinare il capo per la benedizione è un poco più problematico del suo algido rubricismo rituale. Può contenere una ricchezza antropologica insospettata.

Da quando, proprio in questa settimana, qualcuno me lo ha fatto notare, ho iniziato, da ieri dunque (non certo da più in là), ad abbassare anch’io il capo obbedendo alla voce dei liturghi.

La liturgia dei baci ci è ignota. Riconosciamolo serenamente.

Anche papa Francesco deve abbassare la fronte per farsi sistemare sulla testa quel singolare copricapo liturgico che si chiama mitra, o mitria. E la stilizzazione del gesto cerimoniale – sia detto senza offesa, ma è difficile che i Cerimonieri di chiese e cattedrali facciano trasparir tenerezza nei contesti di loro specifica attività – rinvia alla ferialità dei nostri gesti, al pudore del nostro volerci bene, quello di casa, anche di una casa lassù in alto, sotto il tetto di un antico palazzo del 1914.

Sempre proprio in questi giorni ci si chiedeva: cosa mai si può rispondere a chi ti dice di volerti bene? “Grazie”? Non pare proprio! Eppure scontiamo un’assenza che non sappiamo in alcun modo riempire. Perché l’amore non è tutto già detto e già fatto, tutto già noto e arcinoto. No. Davvero no.

Possiamo anche pensare a Gesù di Nazaret, che, quel 14 del mese di Nisan, abbassa la fronte per prendere tra le sue mani i piedi degli apostoli e lavarli.

Ci manca un’intera teologia dei piedi, fra l’altro.

Come ci manca un’intera teologia dei baci.

Ci manca una teologia dei gesti laici, fuori dalle didascalie edificanti dei riti, appunto.

Il primo versetto del Cantico dei Cantici viene costantemente eliso in ogni devota predicazione e proclamazione.

“Mi baci con i baci della sua bocca”? Anche no, grazie, non è cosa, ma scherziamo?. Niente passaggi osè all’orecchio sensibile delle nostre assemblee, che non ne restino scandalizzate.

Eppure la fronte abbassata sta lì ad indicare – come se spuntasse un dito indice da quel capo inclinato – che il bacio, il piede, la tenerezza tutta del nostro corpo ha un linguaggio d’amore che non ancora interamente conosciamo, che è di là da venire, anche quando sembra tutto perfettamente chiaro ed incasellabile. Tassonomie dell’amore non esistono invece. Gerarchie neppure.

Vorrebbe essere questo l’augurio per il nuovo Anno, dopo che il 29 dicembre scorso, su iniziativa del nostro settimanale e dell’Associazione Culturale “Casa Alta”, abbiamo ascoltato Claudia Milani, insigne ebraista, e Miriam Camerini, straordinaria interprete e studiosa, parlarci, dai loro diversi angoli visuali, del “Magnificat” e del “Benedictus”: qui il link Youtube dell’intero incontro, https://www.youtube.com/watch?v=gjeV_bs1mv8

La fronte abbassata che accoglie bacio, benedizione, ed anche – ad esempio – l’imposizione delle mani che abilita al ministero, sta lì, a magnificare per benedire, con la semplicità del suo abbandonarsi indifeso, per smontare, destrutturare, mettere in crisi, ogni violenza.

Sia benedetta, dunque, quella fronte abbassata.

Sia benedetta, dunque, quella bocca che bacia.

Buon Anno di cuore!