Con Repole, è Battaglia; with Ahoo, it’s trump; 35 años después de Ellacuría
di Stefano Sodaro
Sette giorni esatti dalla caduta del Muro di Berlino, giunse da Oltreoceano, nel novembre 1989, una notizia imbarazzante: le forze paramilitari salvadoregne avevano assassinato sei padri gesuiti e due donne all’interno della UCA, la Universidad Centroamerica “José Simeón Cañas” di San Salvador.
I loro nomi erano: Ignacio Ellacuría, Segundo Montes, Ignacio Martín-Baró, Amando López e Juan Ramón Moreno, Joaquín López, Elda Ramos e la sua giovane figlia, appena tredicenne, Celina.
Perché imbarazzante la notizia? Perché il Battaglione Atlacatl – ritenuto responsabile della strage, secondo quanto riportato con autorevolezza da Avvenire nel 2022 - era una delle formazioni latinoamericane più forsennatamente anticomuniste mai comparse nella storia del mondo.
E, dunque, mentre cadeva la cortina di ferro, il fascismo latinoamericano riscuoteva il suo orrendo prezzo di morte. Quasi a porre una specie di didascalia agli entusiasmi nell’Europa Orientale: la libertà ha un costo che si paga a Sud.
Era il 16 novembre 1989.
Gli speciali del Tg1 – chi scrive queste righe rimaneva incollato al video dell’elettrodomestico più diffuso al tempo, non diversamente da quanto accade oggi con pc e smart – improvvisavano dibattiti presenti commentatori laici e ecclesiastici che, visto il clima di frontale opposizione vaticana alla teologia della liberazione, non sapevano bene cosa dire. Qui non erano più gli atei comunisti che perseguitavano l’adesione religiosa, ma cristianissimi – sedicenti – tutori dell’ordine che straziavano corpi di inermi religiosi, e di due donne, colpevoli, evidentemente, di insegnare un sapere critico alla propria gente, una chiave per comprendere dove stesse il vero ateismo devoto e dove, invece, la passione per chi fosse più povero e povera, privato, e privata, di pressoché ogni diritto, civile ed anche soltanto umano. Una sovversione da colpire.
Trentacinque anni fa sabato prossimo.
Chi era, in Italia, a farsi tramite, portavoce, interprete, delle istanze, a quel tempo, della teologia della liberazione? Beh, ormai possiamo e dobbiamo dirlo, restringendoci, peraltro, alla citazione di un solo nome e cognome, quello del vescovo di Molfetta Tonino Bello. Il suo episcopato fu il più “latinoamericanamente” italiano in epoca di ruinismo ruggente iniziato nel 1991, due anni dopo la morte di padre Ellacuría, uno degli assassinati di San Salvador, che aveva avuto l’impudenza – tra le altre imperdonabili analisi sociologiche e teologiche nei confronti della cultura dominante – di firmare la premessa alla celebre trilogia di narrativa cristologica Un tal Jesús ritenuta inaccettabile dalle gerarchie del tempo.
Veniamo ad oggi.
Si è saputo lunedì scorso, 4 novembre, che il Papa annovererà tra i nuovi cardinali, il 7 dicembre, anche l’Arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia, il quale così aveva parlato al momento del suo ingresso, nel febbraio 2021: «Per tutti voi, cari confratelli sacerdoti, per voi religiosi, per voi laici, faccio mie le prime parole di don Tonino Bello, alla sua Chiesa: “Io il primo dei sacerdoti, assicuro fin da questo istante il mio impegno perché la nostra vita, spesso così incompresa, sofferta, lacerata, si carichi di una grande valenza di gioia e di libertà, nel servizio di Dio e dei fratelli (…). Io primo dei religiosi, prometto la mia dedizione perché (…) sappiate sempre meglio portare agli uomini il messaggio di tenerezza del Padre. (…) Io primo dei laici, comunico tutta la mia ansia perché sappiate scoprire sempre più lucidamente il ruolo che vi compete nella Chiesa, la vostra eguale dignità a quella degli altri membri del Popolo di Dio, la vostra chiamata alla santità e alla animazione delle realtà terrene, i vostri carismi, la vostra originalità incedibili, la vostra autonomia regale”.»
La nomina cardinalizia di don Mimmo, non presente nell’elenco originario dell’Angelus del 6 ottobre e seguace di don Tonino, disegna coordinate pastorali Nord-Sud all’interno della Chiesa, italiana e universale, piuttosto inedite, ricomprendendo Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, già presidente dell’ATI, l’Associazione Teologica Italiana, ma anche Dominique Joseph Mathieu, Arcivescovo latino di Teheran-Ispahan.
E da Teheran è giunto, proprio in questi giorni, il segno potente, pieno persino di pregnanza cristologica, rivelativa – una vera e propria apocalisse, alla greca, o una kénonis, un’umiliazione che è invece esaltazione – della giovane studiosa iraniana Ahoo Daryaei, che ha voluto testimoniare con il proprio corpo, privo di vestiti intenzionalmente tolti da sé, la liberazione da logiche di oppressione, non di certo solo proprie di quel regime. Mettersi in mutande e reggiseno, coprendo appena i piedi per poter passeggiare per strada davanti a tutti, è provocazione inaudita e intollerabile per chi ritiene che siano modestia, nascondimento, ignoranza dei corpi, silenzio, obbedienza, a dover insegnare come stare al mondo. Ed invero è anche segno della rivolta dell’estetica contro l’etica che, proprio perché rivoluzionaria, diviene, si fa, annuncio, sacramento, etico, smascherando un’etica massimalista e per ciò stesso falsa. Corpo fieramente denudato simbolo di altissima moralità, perché consente all’intero nostro essere di parlare, giacché noi non esistiamo senza il corpo.
Esattamente l’opposto di quanto accaduto con le elezioni presidenziali americane. Che hanno cercato di far “briscola” – “trump”, appunto – sbaragliando qualunque tensione rivoluzionaria, che sovverta od anche solo metta in cattiva luce la retorica del ricco, affascinante, potente e per ciò stesso buono e invidiabile e sicuro salvatore di noi tutti. Una retorica ben conosciuta anche in Italia, inauguratasi circa quattro anni dopo i fatti del novembre 1989.
L’imbarazzo del 16 novembre 1989 si accompagna all’imbarazzo del 4 novembre 2024, allorché si diffuse la notizia della passeggiata della giovane iraniana. Inaccettabilmente critica la postura intellettuale dei gesuiti della UCA, inaccettabilmente critica la fierezza denudante di Ahoo. Gesto intellettuale assai più che fisico.
Ed imbarazzante per i poteri più conservatori la nomina cardinalizia dell’Arcivescovo di Napoli.
Forse, però, l’imbarazzo è anche verso le nostre più intime ed inconfessabili – come chiamarle? – “culture personali”, quella microfisica dei poteri di cui parla Michel Foucault. La memoria del fascismo latinoamericano, l’abolizione del titolo di “eminenza”, la svestizione che denuncia l’impudicizia della veste sono componenti con cui difficilmente facciamo pace dentro noi stessi/e. Un “pensiero debole” che sfondi l’arroganza dei pensieri forti mette paura, ma dà anche speranza.
Dunque: mala tempora currunt, sed omnia cooperantur in bonum.
Ed allora buona domenica.
Noi ci siamo e, per quanto ci riguarda, non molliamo, e andiamo avanti.
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