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La parabola del Buon Samaritano - Giacomo Conti - Messina, Chiesa della Medaglia Miracolosa, Casa di Ospitalità, Collereale - immagine tratta da commons.wikimedia.org




Vorrei un Dio che mi regalasse più fede


di Dario Culot

Il vescovo Tonino Bello diceva: “Se uno non sa nuotare e sta naufragando e qualcuno gli passa accanto, gli si aggrappa, lo abbraccia, lo afferra. Ma quello non è un allacciamento d’amore, non è un abbraccio di tenerezza, è prodotto dalla paura. Invece c’è chi si abbandona, si lascia andare, e noi dobbiamo abbandonarci a Gesù; a Lui, la fonte che ci somministra un'acqua, l'unica capace di dissetarci. Chi ha sete va e beve; chi è stanco e sudato va a lavarsi e refrigerarsi. Ecco chi è Gesù Cristo. Cosa dice Gesù? Ecco lo straordinario. Tu hai dato un bicchier d'acqua ad uno che aveva sete? Con un semplice bicchier d’acqua sei entrato in questo grande processo di crescita, hai fatto un passo e sei entrato nel regno dell'amore che vince la morte comunicando vita”.

Per entrarci non ci vogliono grandi cose, ma è indispensabile l’amore. Se uno dà un bicchier d’acqua perché sente di poter e dover prendersi cura di chi è in difficoltà non vuole sapere se l’assetato è credente o no; ma agendo così è già entrato nel regno di Dio. Se invece uno con due Bibbie sotto il braccio passa e non si cura di chi chiede un po’ di aiuto, perché sta meditando su alcuni passi interessanti e profondi delle Scritture, va alla dannazione. “Io spero – aggiunge questo vescovo - che l’amore di Dio salvi tutti. Non ho nessuna voglia di mandare all’inferno i cattivi. Gesù ha detto questo parlando del giudizio finale (Mt 25, 31ss.) e quindi, in qualche modo, collocando la sua parola nel punto omega della storia. Io non voglio adesso giustificare chi non crede, dico che non è quello che mi preme. Se prendiamo sul serio la parola di Dio, con questo Vangelo, la disputa fra atei e credenti non significa più nulla perché la pietra di paragone non è Dio, ma è un uomo assetato”.

Diceva un saggio del Medio Evo: «Quando incontri un povero non ti domandare se Dio esiste perché Dio ce l’hai davanti a te»".

Il fondatore di Bose Enzo Bianchi ha aggiunto: «i peccati di omissione (nda: cioè non fare nulla anche se ci rendiamo conto che chi è davanti a noi è in difficoltà) sono i capi di accusa contro di noi nel giorno del giudizio finale. Benedizione per chi ha saputo prendersi cura, con la sua carne, della carne dei fratelli e delle sorelle; maledizione per chi è passato oltre, magari bisbigliando preghiere, ma non vedendo, non riconoscendo, non avvicinandosi all’altro che era nel bisogno. Il giudizio finale di Matteo 25 è un grande insegnamento per chi pensa di poter amare il Dio che non si vede, senza amare il bisognoso che si vede. E noi cristiani – confessiamolo – non siamo tra i benedetti: c’è chi ha fame all’entrata dei supermercati, e noi gli diamo solo le monete che appesantiscono le nostre tasche; c’è chi è straniero, e noi pensiamo a lui dando qualcosa di superfluo alla Caritas, ma mai lo invitiamo alla nostra tavola, a casa nostra, perché questo ci provoca troppo disagio. Siamo ipocriti! Il giudizio finale lo mostrerà».

Abbiamo avuto uomini politici che si definivano cristiani ed hanno lottato per la fraternità del mondo, ma poi non sapevano essere fraterni nemmeno con la propria moglie. Hanno trasformato degli ideali in forme di compensazione delle loro inadempienze quotidiane. Invece, stando agli esempi di Gesù occorre cominciare dal quotidiano per raggiungere l’universale. È questa probabilmente la singolarità dell’evangelo. Non serve pensare in grande, ma occorre agire almeno in piccolo. Non occorre neanche strafare, esaurirsi mirando a grandi risultati, ma fare. E per fare occorre prima vedere ed essere mossi dalla compassione. Quindi più ortoprassi che ortodossia, perché il vangelo non si annuncia tanto con le parole, ma piuttosto con la vita.

E allora, sintetizzando, aver fede significa credere in colui che Dio ha mandato, vuol dire comportarsi come Gesù, il quale ci assicura che operando con amore verso gli altri si assomiglia al Padre. Ce lo ricorda lo stesso Pietro, quando afferma che solo allora cominciò a capire: «Mi ricordai allora della parola del Signore quando disse: Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo» (At 11, 16). Pietro ricorda a tutti che un conto è ascoltare la parola di Gesù, un conto è capirla. Sono stati gli avvenimenti che hanno portato Pietro a comprendere finalmente le parole di Gesù e non il contrario. Aveva ascoltato per anni la parola di Gesù, anche da una posizione privilegiata stante la vicinanza; eppure tutto questo non lo aveva mai spinto ad andare incontro ai pagani. Solo quando è andato incontro ai pagani ha finalmente capito la parola di Gesù. Perciò è una vita di relazione che illumina lo scritto, è una vita di relazione che illumina le parole di Gesù. Non basta sentire le spiegazioni dottrinali date in chiesa. Si crede in Gesù quando si va incontro agli altri come Gesù ha spiegato che Dio viene incontro a noi tutti.

Questa è la fede. Non l’uomo che va verso Dio, ma essendo Dio già andato incontro all’uomo, è l’uomo che deve andare verso l’uomo. E compito dell’uomo, non è più cercare Dio, ma accoglierlo, e con lui e come lui, andare verso gli altri. Ma poi, andare verso gli altri vuol dire incontrare, non assimilare l’altro. La persona capace di uscire da sé stesso e andare verso l’altro riesce a realizzarsi in maniera pienamente responsabile.

Quindi si può dire che la fede è la risposta che noi diamo all'amore di Dio, come risulta sempre dal Vangelo e come hanno riconosciuto anche gli ultimi papi[1]. Ad esempio c'è il racconto in cui Gesù risana dieci lebbrosi. Il dono d’amore è stato per tutti, ma nove vanno via e uno soltanto torna a ringraziarlo: un samaritano, ateo e senza Dio per gli ortodossi giudei (Lc 17, 15s.). Gesù gli dice: “Va, la tua fede ti ha salvato” (Lc 17, 19). Che cosa è stata la fede? Per i pii giudei del tempo il samaritano non poteva aver fede, e probabilmente, non aveva la fede prima di essere risanato: la fede sta nel fatto che vedendosi risanato ha ringraziato, cioè ha risposto al Signore. La fede quindi non è un dono che Dio fa agli uomini in maniera capricciosa e assolutamente discrezionale, ma la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutti quanti. Ricordate Matteo? Dio fa splendere il sole su tutti, buoni e cattivi, e fa scendere la pioggia su tutti, buoni e cattivi (Mt 5, 45). Quindi è sempre Dio a prendere l'iniziativa, e la comunicazione del suo amore è sempre un suo dono. Ma la fede no. La fede non è un dono; è la risposta dell'uomo al dono di questo amore. Alberto Maggi ha più volte fatto questa netta distinzione: la religione è tutto ciò che l’uomo deve fare per Dio, la fede è l’accoglienza di ciò che Dio fa per gli uomini.

Quando per la prima volta nel Vangelo di Matteo appare il tema della fede («Vi assicuro che presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande» - Mt 8, 10), è evidente che la fede del centurione nasce come risposta alla disponibilità e all’amore di Gesù di andare a guarire il suo servo: «Gesù disse al centurione: "Vai e sia fatto secondo la tua fede". In quell’istante il servo guarì». È evidente che in questo episodio la fede non è un dono di Dio all’uomo, ma è la risposta dell’uomo al dono di Dio, perché la guarigione del servo non è opera di Gesù, o almeno non solo di lui, ma della fiducia del centurione in Gesù. Gesù non dice, infatti: “Va’ tranquillo che ti faccio il regalo di guarire il tuo servo” ma «fa’ secondo la tua fede». La fede, la risposta di un soldato pagano, di un nemico di Israele, è talmente grande che il servo guarisce.

Conclusione? Inutile pregare perché Dio ci doni la fede. Tutto dipende da noi.

NOTE


[1] Papa Benedetto XVI ha scritto nell’Enciclica Deus caritas est del 25.12.2005, §1: l’amore non è un comandamento ma è la risposta al dono di amore. E papa Francesco ha scritto nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 24.11.2013, §39: il vangelo ci invita a rispondere a Dio che ci ama.