Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Virgilio Giotti (1885-1957) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

L’onnigamia, che non va più via

di Stefano Sodaro




Confesso di avere pensato, per un po’, iniziando l’anno, ad un video-editoriale in occasione del presente numero del nostro settimanale, come accaduto in primavera.

Mi sembrava adatto ed opportuno, tanto più a motivo del nuovo lay-out de Il giornale di Rodafà.

Ma mi sono fermato ed astenuto.

Le videocomunicazioni a distanza hanno raggiunto un’intensità ed una quantità probabilmente mai prima registrate e, se è vero che abbiamo sempre più necessità quanto meno di “vedere”, “guardare”, persino “contemplare” volti, corpi, mani, sorrisi, occhi, è anche sicuro che man mano che il tempo passa e l’emergenza sanitaria non s’attenua, tutto questo non ci basta più. Abbiamo bisogno di incontri, di “sentire” toccando, accarezzando, sfiorando, stringendo, di condividere effettivi spazi fisici, di provare il contatto sulla pelle, nella carne, della nostra prossimità.

In questo dover necessariamente ricorrere alle piattaforme virtuali per parlarci, nella speranza di non ridurci ad esse ed in esse esaurirci, sta un po’ anche il dramma stesso del nostro vivere. Sintetizzabile forse in un’unica domanda: che vita vogliamo vivere? Che senso ha il nostro vivere? Senza naufragare in complicazioni metafisiche, la domanda può essere anche declinata in altro interrogativo: quanto ci importa delle altre e degli altri?

In giro, dappertutto, c’è una sofferenza enorme. Di chi sta negli ospedali – primariamente, senza dubbio – e di chi sta fuori. Di chi ha paura, di chi non vede “in presenza”, come si dice ormai, i propri cari. Di chi vuole amare non solo “a video”, a distanza, per chat, email, pc e smart.

E tuttavia guai se non avessimo almeno la possibilità di ritrovarci in spazi virtuali. Guai se, in nome della “natura”, rifiutassimo l’innaturale relazionarci senza corpi che stanno vicini.

Si stanno sempre più nitidamente delineando esigenze, bisogni, urgenze che chiedono di trovare luoghi, occasioni, dove ci siano persone capaci di accogliere confidenze, parole, emozioni, intuizioni così vere, sincere, profonde da non potersi mettere in piazza, fosse anche una piazza tornata alla piena normalità d’affollamento.

Piove e nevica in questi giorni. Tutta l’Italia in zona rossa ancora questa domenica.

Il restare a casa sapendo che anche le altre case sono abitate, da qualcuna, qualcuno, che come noi avverte un desiderio ormai straziante di relazioni, scambi, incontri nella totalità effettiva del nostro essere, ci fa sognare progetti che vogliamo tradurre in pianificazioni concrete, in occasioni precise, da calendarizzare, da segnarci in agenda, in appuntamenti precisi.

Il nostro giornale partecipa della complessità di questo momento, che però – come ha affermato il Presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno – “non è una parentesi della storia”.

Sono fiorite in questi mesi, in quest’intero anno quasi ormai, reti relazionali che non solo si sono spiegate a centinaia e centinaia di chilometri gli uni dagli altri, le une dalle altre, come un immenso mare da cui trarre pesci gustosi per il nostro desiderio di mangiare – cioè di stare – assieme, ma che si sono anche allacciate più forti, se prima s’erano allentate o addirittura erano cadute, s’erano lacerate, e che si sono tessute poggiandosi su nuovi pali posizionati ovunque dentro le nostre abitazioni.

Nel 1921 ricorrono cent’anni dalla nascita di Stelio Mattioni (https://www.corriere.it/cultura/18_settembre_07/stelio-mattioni-scrittore-musil-kafka-kubin-trieste-claudio-magris-fca73038-b2c9-11e8-af77-790d0c049f1d.shtml), che fu narratore della vicenda umana e letteraria di Umberto Saba. 

Nella pagine finali della sua Storia di Umberto Saba – pubblicata da Camunia nel 1989 - Mattioni parla con grande passione dei rapporti tra Saba e Virgilio Giotti, che definitivamente s’incrinano. «Quale la causa prima?» – si domanda a pag. 174 -. «Forse davvero qualcosa di impalpabile: una profonda differenza di carattere e di poetica, che col tempo e l’età si era accentuata fino a spezzare il filo che li univa. L’abbiamo già detto che il misurato, metodico e paziente Giotti era capace di improvvise, violente reazioni. Eppoi, nel 1946, da una parte Saba, trionfante e come uomo e come poeta, accusato di eresia nei confronti del mondo triestino, che pur era il suo, e dall’altro Giotti nel suo francescano appartamento di via La Marmora, con la moglie Nina sempre ammalata e i due figli maschi morti in guerra, piccolo impiegato amministrativo in un ente pubblico per vivere, con il fagottino in giro a far la spesa, ma col suo orgoglio e la sua dignità. Causa un po’ di tutto, dunque? Non lo sapremo mai.»

Ecco, di quel “suo francescano appartamento di via La Marmora” il nostro giornale, assieme all’Associazione Culturale “Casa Alta”, condivide il medesimo pianerottolo, all’ultimo piano del civico 34, a Trieste.

Lì, nell’appartamento di fronte, non sappiamo se altrettanto “francescano”, anche se, indubbiamente, Francesco di Assisi è uno dei riferimenti ideali preziosi e decisivi di quel luogo – mentre Francesco vescovo di Roma compare in alcune foto alle pareti -, si sta definendo un “progetto di vita”, in cui la concretezza di ogni giorno, il cosiddetto quotidiano, qualunque esso sia ed in qualunque forma si estrinsechi, è pronto a diventare liturgia, laica o credente non importa. Ma liturgia innamorata, ciò che è davvero decisivo, vale a dire poesia

E parafrasando Mattioni – ma nella ricerca di ristabilire contatti sempre più intensi invece che di diradarli o lasciarli sfumare - osiamo bisbigliare: “innamoramento di un po’ di tutto dunque? Non lo sapremo mai.” L’onnigamia – neologismo di cui fu inventore niente poco di meno che Charles Fourier - è tema classico dell’anziano Rodafà, tema che avverte come infinitamente liturgico.

Buona domenica, buon Anno.