Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Il Dio in cui non credo


di Dario Culot


Creazione di Adamo - Michelangelo - Cappella Sistina - immagine tratta da commons.wikimedia.org 

•Non solo non posso credere alla dottrina eteronoma dei due mondi paralleli, ma non posso neanche credere a un Dio onnipotente come si recita all’inizio del Credo (Ap 1,8), cioè a un Dio che può fare tutto ciò che vuole (art.26 Catechismo Pio X), perché così ci è stato spiegato il significato del termine ‘onnipotente’[1]. Del resto già la Bibbia chiedeva con elegante insolenza rivolta ai dubbiosi: «C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore?» (Gn 18, 14). Lo so che, anche di recente, è stato detto che qualsiasi concezione teologica che getta dubbi sull’onnipotenza di Dio deve essere considerata sbagliata. Eppure non posso crederci perché un Dio onnipotente lo si comprende necessariamente a partire dal potere, dal trono,[2] dalla forza che impressiona, dall’autorità che si impone e che comanda, dalla minaccia che intimorisce e fa paura;[3] Questo è il Dio spiegato dalla religione, ed è esattamente il contrario del Dio-Abba spiegato da Gesù.

Forse i più neanche sanno che né nell’Antico Testamento, né nei vangeli, Dio viene definito onnipotente. In Gn 17, 1 ad Abramo compare “El Shadday” (dio della montagna o dio della steppa, come correttamente annota la Bibbia di Gerusalemme). Eppure in quasi tutte le altre Bibbie si continua a tradurre “El Shadday” con “Onnipotente” anche se ormai tutti gli studiosi sanno che non vuol dire onnipotente. Nella Bibbia originale Dio non è onnipotente. L’onnipotenza viene dalla traduzione latina (errata) della Bibbia dei LXX scritta in greco, dove il termine pantokràtor - che già non corrisponde più a “El Shadday” – non significa che uno può fare tutto quello che vuole, ma che con la propria mano sorregge il tutto; dunque già la traduzione dall’ebraico al greco dei LXX ha manipolato il termine ebraico “El Shadday”, che era inizialmente un vero e proprio dio autonomo e non certamente un attributo di Yhwh, diventato poi unico Dio d’Israele.

Ma è sempre il Vangelo a confermarci che Dio non è affatto l’Onnipotente. Leggiamo, ad esempio, il racconto della donna piegata (Lc 13, 10-17):[4] la donna si trova nella sinagoga, ma è come se non ci fosse essendo là muta e invisibile agli occhi degli altri. Gesù invece la vede, la chiama, la cura e la slega da ciò che le impediva di muoversi; avendo però agito di sabato suscita la violenta reazione del capo della sinagoga. Il racconto evangelico, che, come tutti i passi evangelici, è sempre attuale, sì che sta ponendo noi tutti di fronte a una scelta; dobbiamo decidere da che parte stare, ed è ovvio da subito che siamo davanti a due strade che non potranno incontrarsi mai:

a) si può stare dalla parte della Legge, come fa il capo della sinagoga, e rendere culto a Dio senza renderci conto della donna sofferente che sta accanto a noi. Il capo della sinagoga spera di meritare l’attenzione di Dio proprio perché osserva scrupolosamente le leggi divine. Al pari di noi, il capo della sinagoga non riesce a credere che, senza merito personale, la misericordia di Dio possa comunque salvare. Ma il merito non fa mai parte dell’annuncio di Gesù[5].

b) oppure si può stare dalla parte di chi vede, si prende cura e usa le proprie mani per alleviare questa infermità/sofferenza. In questo caso si è come Gesù, Figlio di Dio. E tutti possiamo essere figli di Dio. Ma il racconto ci fa anche chiaramente intendere che, senza di noi, Dio non può fare nulla (altro che onnipotente): ha bisogno della nostra carne per fare, come dimostra appunto l’uomo Gesù. Dio passa attraverso la carne della nostra umanità per manifestare il divino che sta in noi e far sentire a tutti la sua voce che chiama alla vita.

Cos’è allora che ci rende oggi cristiani? Come ha ben spiegato don Luciano Locatelli, se scegliamo la seconda strada, essere cristiani vuol dire essere persone capaci di ri-creare relazioni autenticamente umane, fondate sul prendersi cura degli altri. Purtroppo oggi sembra valere di più l’accumulo di denaro, l’ansia di emergere, il consumismo rapace, l’interesse egoistico per sé e il disinteresse per gli altri. Il ‘me ne frego degli altri’ non è solo lo slogan di chi si comporta chiaramente da non-cristiano, perché spesso anche i piissimi cristiani non muovono un dito e chiedono a Dio di risolvere Lui tutti i problemi: “Signore! Fa che il cibo non manchi a nessuno dei nostri fratelli”. Cioè, è problema tuo, pensaci tu, io me ne lavo le mani. Ma se l’episodio della donna legata dimostra che la soluzione passa attraverso la carne di Gesù, questo significa che Dio non ha altra strada che passare necessariamente attraverso di noi per prendersi cura dell’umano[6]. Quindi non è onnipotente, non risolve nulla sostituendosi a noi. Se noi non condividiamo il cibo con quello che non ne ha, l’altro muore di fame, e Dio non interviene dall’alto dei cieli per dargli da mangiare.

Del resto, se lo stesso insegnamento impartitoci sostiene che con l’incarnazione Dio ha svuotato sé stesso (kenosis), cioè si è abbassato, umiliato riducendosi a umano,[7] finendo poi giustiziato come un criminale, come si fa a sostenere che è onnipotente, in grado di esercitare un potere arbitrario su tutte le sue creature? Non ha rinunciato con la kenosis a ogni potere? Se lo stesso insegnamento impartitoci sostiene che Gesù ha rinunciato e, anzi, combattuto ogni potere, come si fa a dire che Gesù, in quanto Dio, è onnipotente?

Quanto alla legge divina, secondo Gesù, questa non si riduce a pura contabilità dare-avere, e non è neanche retributiva, come risulta chiaramente dalla parabola del debito enorme (Mt 18, 27-33). In questa parabola, il creditore (Dio) condona gratuitamente, non si aspetta niente in cambio, perché il suo debitore (cioè l’uomo) che non ha alcun merito, non è un suo nemico. Ma questo grande debitore appena condonato (l’uomo), non rimette il debito di un suo piccolo debitore (un altro uomo): sia ben chiaro che chi è stato appena condonato (perdonato) non sta chiedendo nulla di illegale al suo piccolo debitore: pretende solo il rispetto della legge. Vediamo dunque quanto è pericoloso aggrapparsi alla legge (divina o meno). Capiamo anche l’enorme differenza fra come si comporta Dio, stando a Gesù, e come invece la religione ha insegnato che Lui si comporta: un giudice severo, rigido come un meticoloso contabile, che tutto segna nel suo grande libro mastro. Ma, stando al Vangelo, così si comporta il piccolo uomo, non Dio.

Noi non sappiamo chi è Dio, ma sappiamo come si comporta da quello che ci racconta Gesù, ovviamente se crediamo in Gesù. E vediamo che Dio si comporta sempre allo stesso modo anche in molti altri episodi, e non solo in quello della donna piegata. Ad esempio, anche nella parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss), si vede l’autentico volto di Dio. Dunque, Dio si comporta come Gesù fa con la donna piegata o come il buon samaritano fa con il ferito sconosciuto. Solo comportandoci come loro oggi mostriamo agli altri chi è il Dio in cui crediamo.

Gesù passa davanti a Levi e lo invita a seguirlo, perché ama tutti, anche i peccatori (Mc 2, 14): spetta ovviamente all’uomo però accogliere quest’onda di amore (Levi si alzò, prima di cominciare a seguirlo: ecco la risposta - Mc 2, 14), e una volta che si trova in sintonia con Dio deve andare sempre con Dio (e non per Dio) verso gli altri. Con l’invito fatto a Levi di seguirlo, il Maestro rende più chiara la sua posizione di fronte a tutti coloro che avevano rinchiuso Dio nel recinto della legge. È pericoloso associare Dio all’osservanza di un codice di leggi, perché questo porta inevitabilmente a farci assumere il ruolo di guardiani delle coscienze, guardiani della religione, guardiani che indicano percorsi di obbedienza che spesso servono a mascherare la tentazione del dominio sull'altro. L’annuncio liberatorio di Gesù apre la strada alla logica del Regno, dove Dio non “comanda” attraverso delle leggi, ma offrendo il suo amore, e chiedendo a ciascuno di accoglierlo e condividerlo. Solo così si può trasmettere il vero volto del Padre. 

Di sicuro non è possibile dire chi è il Dio in cui crediamo ripetendo quanto studiato nei trattati di teologia, oppure dichiarando di aderire ai dogmi secolari insegnati dal magistero della Chiesa, e nemmeno adorando Dio con un fastoso culto liturgico o impugnando la croce mentre cacciamo gli stranieri: questo sarebbe scegliere sempre la prima delle due strade. Insomma, una cosa è parlare di Dio, un’altra mostrare come si comporta il Dio in cui si crede;[8] una cosa è dire di essere credenti, altra cosa è credere veramente. Il problema, allora, non è solo in chi crediamo, ma anche come crediamo.

• Non posso neanche credere che Dio abbia deciso di far morire il proprio figlio prediletto sulla croce per riallacciare la comunione che la prima coppia maldestra di uomini (Adamo ed Eva) aveva rotto fin da subito col peccato originale[9]. Ci hanno insegnato che attraverso la sua morte in croce (n. 603 Catechismo) Cristo ha ottenuto la salvezza di tutti gli uomini (nn.457, 571, 1741 Catechismo) redimendoci, liberandoci dalla schiavitù del peccato (nn.388, 431, 549, 1741 Catechismo) e del male (n. 2628 Catechismo).

Si può subito obiettare che, quand’anche Gesù avesse assunto tutti i nostri peccati sulla croce - come pensa papa Ratzinger,[10]- Gesù avrebbe fallito la sua missione di liberatore e salvatore, dal momento che l’uomo continua imperterrito a peccare, continua a convivere col male, e ha ottime possibilità di finire all’inferno sempre a causa di propri peccati e nonostante la crocifissione con cui Gesù ci avrebbe salvati[11]. È poi da sottolineare che, nonostante la salvezza asseritamente portata da Gesù crocifisso, in realtà il paradiso bisogna ancora guadagnarselo con fatiche e sacrifici, sì che costa caro, mentre l’inferno lo si ottiene sempre gratis, senza alcuna fatica. Dunque, se Gesù è morto per liberarci dai peccati, e l’uomo continua a peccare e a finire all’inferno, dovremmo concludere che Gesù è morto invano.

In secondo luogo si può dire che il racconto della Genesi non è il racconto della caduta di una coppia creata perfetta (ma se era perfetta, com’è caduta così facilmente, alla prima occasione? Adamo in particolare è caduto davanti alla donna, un essere che lui non considerava certamente superiore a lui). Non siamo caduti, siamo semplicemente incompleti e imperfetti fin dall’inizio. Non siamo chiamati ad essere redenti, ma – nella consapevolezza di essere limitati e imperfetti - a superare i nostri limiti e capire cosa significa essere umani[12]. La Bibbia, infatti, ci mostra che l’uomo non è entrato nella creazione come il Creatore voleva, con ordine e armonia, rispettando le diversità. Per dare spazio alla creazione, Dio si è parzialmente ritirato perché solo ritirandosi ha potuto lasciare spazio e libertà all’altro. L’uomo, invece, ha da subito pensato che tutto fosse suo, e ha voluto appropriarsi subito di tutto. Da subito Adamo, evidentemente non proprio perfetto,[13] non riconosce neanche l’alterità di Eva, e pensa che sia roba sua (Gn 2, 23), perché viene da lui, dalla sua costola. Ma solo le differenze permettono le relazioni, perché - come dice giustamente don Luciano Locatelli,[14]- la madre che non taglia il cordone ombelicale uccide il proprio figlio; se non si ritira non gli dà spazio vitale. È la nostra animalità che ci fa espandere senza sosta, per cui non realizziamo il progetto creativo, e il sogno di Dio di vedere l’uomo completo stenta ancora oggi a farsi strada: dunque, mai stati perfetti; siamo ancora in piena evoluzione, tendenti verso la perfezione che si troverà solo alla fine (se mai ci arriveremo, se non ci auto-distruggeremo prima, magari con le bombe atomiche. Del resto tutte le precedenti specie di uomini e ominidi, precedenti alla nostra, sono scomparse. Chi ci assicura che anche l’homo sapiens non farà la fine dei suoi predecessori?)

C’è anche da dire che, se per i romani solo i terroristi e gli schiavi finivano in croce,[15] e se per gli ebrei chi finiva in croce era un maledetto da Dio (Dt 21, 22-23), la triste fine terrena di Gesù mai avrebbe potuto convincere la massa delle persone che Gesù era – non dico Dio - ma un inviato da Dio. Dai vangeli risulta infatti chiaramente che la decisione di ammazzare Gesù è venuta dalle persone pie e religiose (Mc 3, 6; Gv 11, 47ss.), che facendolo finire in croce volevano per l’appunto dimostrare che Gesù non era stato inviato da Dio, ma era maledetto da Dio.

Ora, le prime chiese sono state fondate da Paolo prima che venissero scritti i vangeli, e Paolo, predicando nel mondo ellenistico che pur era molto aperto verso tutte le religioni, aveva per l’appunto questo problemino non dappoco: il suo Figlio di Dio[16] era finito in croce insieme a due κακουργοι (Lc 23, 32) o ληστας (Mc 15, 27) o λησται (Mt 27, 38), cioè due sovversivi (terroristi secondo i romani), da noi ridotti a ladroni, e uno innalzato perfino a ‘buon ladrone’ che è meno sprezzante di ladro[17]. Insomma, non era affatto facile far accettare l’idea che il vero Dio era un Dio condannato alla crocifissione insieme ad altri due terroristi. Allora Paolo ha dovuto spiegare perché questa nuova religione aveva un Dio crocifisso. E come ha trovato la soluzione? Ricorrendo brillantemente alla teologia della sofferenza e dell’espiazione propria del giudaismo, perché per Paolo Dio resta il Dio dei propri padri, il quale ha deciso che suo Figlio venisse ucciso per la redenzione e la salvezza dei credenti[18]. Perché Dio ha dovuto farsi uomo? Perché l’uomo ha peccato e Gesù è dovuto morire per i nostri peccati (1Cor 15, 3). Ecco allora il problema del peccato e della redenzione, il problema del sacrificio e della espiazione. È stato il Padre a consegnare suo Figlio per la nostra «giustificazione» e «redenzione» (2Cor 5,21; Rm 3, 24-26). In estrema sintesi, Paolo, senza chiedersi cosa aveva fatto di concreto Gesù nella sua vita per essere condannato da un giudice umano, si limita a dare un'interpretazione teologica al fatto storico della crocifissione. Giustamente allora il teologo von Harnack ha chiamato la dottrina espiatoria di Paolo non Evangelo di Cristo, ma Evangelo sopra Cristo[19].

Questa idea paolina, però, è piaciuta da morire alla Chiesa, che se ne è prontamente appropriata, e da qui è iniziata la teologia del sacrificio e quella dell’espiazione nella sofferenza, del resto già presenti nell’Antico Testamento (basta pensare al sacrificio di Abramo – Gn 22; basta pensare alla celebrazione dello Yom Kippur con l’espiazione del capro – Lv 16): il prezzo della redenzione degli uomini peccatori è il sangue di Cristo, e Dio esige che il proprio Figlio si sacrifichi e soffra affinché gli uomini peccatori siano salvati. Ma anche accettando che l’unica violenza di Dio è la sofferenza della croce,[20] resta abbastanza difficile, con la nostra mentalità odierna, accettare il prossimo passo: che la croce deve pure essere intesa come l’espressione di quel folle amore di Dio, che si abbandona senza riserve all’umiliazione, pur di salvare l’uomo[21]. Dunque Gesù, che per la Chiesa è Dio, offre tutto sé stesso e il gesto dell’amore[22] che tutto dona è redenzione[23].  Perciò la sua morte è stata necessaria alla redenzione perché evidentemente il regno di Dio esige sofferenza (che fa rima con violenza[24]).

Mah! Detta così, e avendoci insegnato per secoli questa storia del sacrificio e della sofferenza, qualsiasi persona normale si chiede: “Ma quest’umanità, non la si poteva salvare in modo meno cruento? Non la si poteva redimere per altre strade che non esaltassero la sofferenza e la tortura? Perché la salvezza deve essere impregnata di sangue? Se infatti la Chiesa ci dice che Dio ha salvato la Madonna facendola nascere senza peccato originale, e rendendola immune da ogni peccato durante tutta la vita,[25] non poteva fare lo stesso per tutti gli altri, senza ricorrere al supplizio di Gesù?” Perciò, ancorché il papa emerito abbia scritto che la croce è la massima espressione di amore,[26] penso che la maggior parte delle persone veda la croce come un assurdo sacrificio sado-maso: un patibolo messo al centro della fede. Il Figlio di Dio che muore per scelta del Padre sul più vergognoso dei patiboli, quello riservato agli schiavi e ai terroristi. Si fa fatica, qui, a scorgere un folle amore. Quale padre normale vorrebbe per suo figlio la sofferenza e la tortura? Solo un padre sadico e pazzo. In altre parole: un mostro come lo era il Moloch[27] dei popoli vicini agli ebrei. Io sono convinto che dobbiamo difenderci da una simile immagine di Dio, e impedire che un simile Dio violento e terrorizzante possa ancora incidere nelle nostre vite.

E in effetti, se solo leggiamo i vangeli, emerge – direi anche nitidamente - una verità piuttosto diversa da quella insegnataci dal magistero: Gesù è stato ucciso dal potere in carica, in particolare dalle persone pie e religiose. Tornerò sul punto.

Com’è che il magistero è più interessato ad aspetti che riguardano la natura di Gesù (due nature in una sola persona, la transustanziazione nell’eucarestia, ecc. ecc.), di cui lui non ha voluto mai dire niente, e trascura invece il messaggio di cui lui ha voluto dirci il più possibile, accettando perfino di morire per questo messaggio? Avete mai pensato che Gesù non è morto per aver proclamato di essere la seconda persona della Trinità, o per aver proclamato che a Roma, non più a Gerusalemme ci sarebbe stato il prossimo magistero infallibile, o per aver proclamato che solo attraverso i sette sacramenti si sarebbe conseguita la salvezza eterna o per aver proclamato che sua madre era la sempre vergine Maria? Gesù è morto per aver affermato che Dio ama tutti a prescindere dal tipo di vita che conducono, e non tollera che qualcuno possa sentirsi indegno del suo amore. Gesù è morto perché ha semplicemente chiesto ad ognuno di accettare il suo amore e di ritrasmetterlo agli altri, affermando che in questo modo si diventa figli adottivi di Dio e si passerà indenni attraverso la morte biologica. Questo è il messaggio per cui Gesù è morto, e questa è la Buona Novella.

Se invece fosse stato veramente Dio a decidere la sofferenza e la morte di Gesù, chiaramente saremmo davanti non a un Dio buono e amorevole (come pure c’insegnano particolarmente dopo il Concilio), ma a un Dio malvagio che ha bisogno della sofferenza[28] e del sangue per placare il suo smisurato senso di onore offeso dagli uomini; saremmo davanti a un Dio sadico perché richiede una morte fra atroci sofferenze. Avrebbe ragione Nietzsche[29] quando parlava del Dio cristiano come di un terribile vampiro che ha bisogno del sangue umano (anche quello di suo figlio) per placarsi. Se questo Dio dei cristiani fosse vero, sarebbe difficile credere in Lui, e sarebbe comunque impossibile amarlo. Come si potrebbe amare e lodare un Dio di fronte alle tante sofferenze che vediamo attorno a noi, sapendo che stante la sua onnipotenza poteva evitarle tutte?

Una simile teoria teologica è oggi assolutamente inaccettabile perché chiaramente poco etica, e la Chiesa dovrebbe spiegarci quale madre potrebbe accettare un marito-padre che deliberatamente manda a morte il proprio figlio, sia pure per un buon scopo.

È un dato di fatto che queste due interpretazioni della morte di Gesù, quella dei vangeli (è stato il potere a volerlo morto) e quella di Paolo (l’ha voluto Dio), non si sono mai integrate debitamente nella teologia cristiana, e alla fine ha prevalso la tesi paolina, forse perché la Chiesa – già a partire da Costantino,- è diventata a sua volta un centro di potere.

•Non posso nemmeno accettare l’immagine di Dio inteso come sposo (Is 54, 5; 62, 5; Os 2, 21-22) e il suo popolo come sposa (e l’immagine viene ripetuta per Dio e la comunità Chiesa), visto che ci viene spiegato che, mentre lo sposo è sempre fedele, la sposa è spesso infedele (Ger 2, 23-24; 3, 2-3; Ez 16, 1ss.). Usando infatti simile metafora, per parlare dell’Alleanza fra Dio con gli uomini, siamo davanti a un rapporto d’amore non paritario, oggi difficilmente accettabile nel nostro ambiente culturale; siamo davanti a una Scrittura pensata al maschile dove se Dio è maschio, lo sposo è la controfigura di Dio per cui il maschio diventa Dio; lo sposo (il maschio) diventa santo, diventa onnipotente, diventa lontano e quando si fa prossimo incute timore,[30] diventa superiore;[31] e in questa disparità insidiosa cade anche Paolo che oggi sarebbe un pessimo consulente matrimoniale. In effetti, oggi, fedeltà al matrimonio significa crescere insieme, perché se uno cresce e l’altro resta fermo si arriva sicuramente al divorzio. Tutti dobbiamo crescere, perché nessuno nasce compiuto e chi si ferma non matura[32].

Teniamo poi presente che l’umano senza la femminilità non è umano. Le culture androcentriche e maschiliste ci hanno trasmesso in maniera predominante rappresentazioni maschili della divinità: Dio come “Padre”, non come madre; come “Re”, non come regina; come “Signore”, mai come signora, ecc. Tuttavia, nella condizione umana, il femminile è importante quanto il maschile, perché tutte e due le componenti sono costitutive della nostra umanità. La forte fede in Maria esprime la necessità che il comune fedele sente di integrare il femminile nelle sue convinzioni religiose.

•Gesù mai si è sognato di dire che Dio è quell’Essere infinito, perfettissimo, onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra; questa descrizione di un Essere astratto, lontanissimo da noi, gelido come il ghiaccio, viene dai teologi dell’istituzione. Gesù non si è mai presentato come teologo (e men che meno come sacerdote) perché non ha mai chiarito com’era Dio, e non ha mai dettato alcuna formula dogmatica né su di sé né sul suo Dio. Soprattutto non ha mai abbinato Dio al potere[33]. Gesù ha detto che Dio è come un papà vicino e affettuoso, che ama tutti, cattivi e buoni; e per far capire che l’amore di Dio viene riversato su tutti non ricorre a difficili formule teologiche, ma fa un paragone pratico che anche i più sempliciotti possono comprendere (Mt 5, 45): “tutti sapete cosa è il sole. Ebbene il sole, quando sorge, illumina tutti, cattivi e buoni, e non soltanto i buoni. Lo stesso fa il Padre;” oppure, per spiegare la misericordia del Padre racconta la parabola del figliol prodigo (lc 15, 11ss.); per spiegare cosa Dio si aspetta da noi racconta la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.). Veramente un’immagine di Dio e del vero credente che nulla hanno a che vedere con le definizioni del catechismo, perché l’amore nelle due parabole è sempre superiore alla legge, e solo l’amore dà sempre la vita e non la morte.

In particolare, con la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.) Gesù ha cambiato per sempre l’idea del credente. Secondo la religione il credente era (ed è) colui che obbedisce al magistero delegato da Dio a far osservare le leggi divine; ma Gesù fa notare che quando la gente preferisce la legge di Dio al bene dell’uomo il risultato è la sofferenza. Allora per Gesù il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi insegnate dal magistero,[34] ma colui che assomiglia al Padre praticando l’amore simile al suo. L’ateo lo può fare? Sì, come l’ha fatto l’eretico samaritano, e tanti atei sembrano farlo meglio di tanti sedicenti credenti[35]. Deve riconoscersi che le persone possono vivere il Vangelo anche in mondo inconsapevole, e spesso molto meglio di tante piissime persone che vanno a pregare in chiesa tutti i santi giorni. Detto in altre parole, non vero che chi si discosta dall’autorità della Chiesa in materia dottrinale dimostra di non essere credente e di avere meno fede rispetto a chi osserva ossequiosamente la dottrina insegnata dal magistero. Del resto, l’evangelista Giovanni non dice “Questa è la vita eterna: che credano” o “che accettino l’insegnamento”, ma mette in bocca a Gesù queste altre parole: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, solo vero Dio». Quindi se uno vive l’esperienza dell’amore può credere; non è detto l’inverso.

Vi rendete conto che proprio qui sta il bello del Vangelo? Questa parabola del buon samaritano ci fa capire che a Dio non interessa un bel niente se questa persona che si prende cura di un’altra appartiene al nostro Credo religioso o meno; se è stato battezzato come vuole il catechismo, o meno; se crede e professa la dottrina insegnata dai legittimi pastori che rappresentano Dio su questa terra, come vuole il catechismo; se obbedisce ai sacerdoti legittimi rappresentanti di Dio in terra, come vuole il catechismo; se vive da santo o da peccatore; se va a messa tutte le domenica o meno; se accede ai sacramenti e fa la comunione dopo essersi confessato con frequenza. Con questa parabola Gesù fa letteralmente coriandoli della definizione di credente condivisa ancora oggi dalla Chiesa ufficiale, perché certamente il samaritano non riconosce l’autorità del magistero e non si conforma alla dottrina o alla legge stabilita da nessuna gerarchia ecclesiastica; e proprio per questo, in reazione, l’istituzione religiosa lo pone fra gli eretici, fra gl’impuri peccatori che non sono graditi a Dio, e gli impedisce di entrare nel Tempio di Dio. Gesù, invece, ci fa vedere che frequentare il Tempio (andare in chiesa) come fanno il sacerdote ed il levita – che hanno evitare di soccorrere il ferito per non contaminarsi col sangue e così disonorare Dio - equivale a frequentare un luogo di idolatri (Mt 21, 13), equivale a peccare (Gv 5, 14). Dunque già Gesù ci sta indicando che non ci salveremo se non porremo al centro della nostra vita chi è in difficoltà, chi sta soffrendo. Non ci dice affatto che ci salveremo se crederemo che Dio abita nell’alto dei cieli, oppure se crederemo o rifiuteremo la dottrina eteronoma (teista) o quella autonoma.

In conclusione, mi convinco sempre di più che dovremmo smettere di sforzarci di capire qual è l’essenza di Dio, e impiegare tutte le nostre energie per cercar di comportarci come si è comportato Gesù, perché lui ci ha detto che così si comporta Dio; ed è indubbio che quando Dio si fa presente fra di noi, nel modo mostrato da Gesù, già si vive tutti meglio.

 

NOTE

[1] Almeno nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme. Vedasi anche Maggioni B., L’Apocalisse, Cittadella, Assisi, 2012, 23.

[2] L’immagine del trono viene ripetuta più di quaranta volte nell’Apocalisse: Maggioni B., L’Apocalisse, Cittadella, Assisi, 2012, 46.

[3] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 42.

[4] Lo spiega bene don Luciano Locatelli nel suo discorso sulla cura, tenuto nella chiesa san Bartolomeo di Rivalta (RE), agosto 2023.

[5] Di più: nella stessa Bibbia Dio non usa un criterio meritocratico per legarsi agli uomini, visto che da sempre abita le famiglie imperfette (pensiamo solo a Caino e Abele; ai fratelli che vendono Giuseppe, tutto un susseguirsi di inganni, litigi, conflitti). Nello stesso popolo eletto abbondano le prevaricazioni, gli abbandoni, i tradimenti, le esitazioni. Perché nella Bibbia si parla sempre dell'Alleanza che si rinnova? Di un Dio che ritorna di continuo? Perché c'è sempre questo tradimento o cedimento del popolo che non è all'altezza della missione che Dio gli ha affidato. Eppure Dio continua ad essere fedele.

[6] Etty Hillesum, poco prima di morire nel campo di concentramento, aveva scritto: “Tu, Dio, puoi non essere Dio a meno che noi non creiamo una dimora per te nel nostro cuore” (riportato da Kerney R., Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio,  Campo dei Fiori-Fazi, Roma, 2012, 68).

[7] La lavanda dei piedi (Gv 13, 1ss.) conferma questo svuotamento.

[8] Teniamo presente che l’unica cosa che si è fatta conoscere in Gesù è ciò che accade dove è Dio. Vale a dire, cosa succede dove Dio si fa presente. E allora, se qualcosa di chiaro ci ha lasciato Gesù è che Gesù non ha trovato Dio nel Tempio e nelle sue cerimonie, né sull’altare con i suoi sacrifici, né fra i sacerdoti con le loro dignità eccelse, né nell’osservanza fedele delle norme e dei rituali di purità sacra (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 310).

[9] Sul peccato originale ho scritto varie volte: qui rinvio innanzitutto a quanto scritto negli articoli Il peccato originale nel n. 256/2018, e più recentemente in La salvezza nel n. 709/2023 (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-709-16-aprile-2023/dario-culot-la-salvezza), Gesù redentore nel n. 722/2023 (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-722-16-luglio-2023/dario-culot-ges%C3%B9-redentore), ecc.

[10] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009, 137.

[11] Pensiamo solo alla facilità con cui la Chiesa manda all’inferno tutti i conviventi non regolarmente sposati in chiesa col santo sacramento del matrimonio, pubblici peccatori da cui i veri credenti farebbero meglio a stare lontani.

[12]  Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 249.

[13] Se pecchiamo, ci dice la Chiesa, è a causa della libertà. Ma non è stato Dio a creare la nostra libertà? Allora, nel progetto originale perfetto, c’era un germe di imperfezione, che si è manifestato subito, con Adamo ed Eva.

[14]  Vedi precedente nota 4.

[15] La croce era esclusa per i cittadini romani; vi finivano solo gli “sconosciuti fra gli sconosciuti, tra i barbari, uomini posti all'ultimo posto fra gli ultimi” (Cicerone in Verrem secundae, Liber V, §166 in: http://www.thelatinlibrary.com/cicero/verres.2.5.shtml. Cfr. anche Cicerone, pro Rabirio, 5, 16. Ecco perché san Paolo, a differenza di Pietro, è stato decapitato e non crocifisso.

[16] Mai Paolo dice che Gesù è Dio, ma lo definisce solo come icona di Dio (Col 1, 15), cioè semplicemente immagine visibile di Dio invisibile. Anche Giovanni (Gv 20, 30s.) afferma che il Vangelo è stato scritto «affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio», e non ha scritto "affinché crediate che Gesù è Dio".

[17] Nell’impero romano il furto non era punito con la crocifissione (Cantarella E., I supplizi capitali in Grecia e a Roma, ed. Rizzoli, Milano, 1991, 333ss.), il che dimostra come già la chiesa primitiva si fosse trovata fortemente a disagio di fronte alla fine fatta fare a Gesù, e non avendo il coraggio di dire che solo i nemici dell’Impero romano finivano in croce, avesse trasformato un agitatore politico in un semplice ladro (eppure, nello stesso vangelo originale greco, la parola ladro è indicata con altro termine: “kleptes”: es. Gv 12, 6).

[18]Il teologo Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 56 e 85, spiega appunto che i primi cristiani dovettero cercarsi una spiegazione religiosa per giustificare il fatto che adoravano un individuo giustiziato su una croce (il che costituiva una maledizione: Dt 21, 23), visto che una simile fine difficilmente poteva essere accettata per il Figlio di Dio e come modello da imitare.

[19] Bloch E., Ateismo nel cristianesimo, ed. Feltrinelli, Milano, 1971, 211.

[20] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli , Siena, 2009, 129.

[21] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 274. Ma che tipo di uomo, poi? Dio ha salvato solo l’homo sapiens, perché ai tempi di Gesù c’erano solo questa specie di uomini. Ma tutte le precedenti specie di uomini (il neanderthal, l’heidelbergensis, ecc.) che erano ormai estinte prima dell’arrivo di Gesù, sono state salvate, o no? Accettando ciò che dice la scienza la Chiesa dovrebbe dare un’infinità di risposte che ha sempre preferito non dare. Adamo ed Eva ci sono stati presentati sempre come sapiens perché all’epoca non si sapeva di queste altre specie di uomini.

[22] Ancor più chiaramente: «Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5, 2).

[23] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 277.

[24] Così riconosce anche papa Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009, 129. Cfr. anche l’articolo Gesù rendentore, al n.722/2023 di questo giornale.

[25] È il dogma dell’Immacolata, definito da Pio IX l’8.12.1854. Per le Chiese ortodosse, invece, Maria fa parte del genere umano come noi tutti, è stata concepita come ogni creatura per un atto di amore dai suoi genitori, quindi da seme umano, e per questo è stata soggetta alle conseguenze del peccato come noi.

[26] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009,136.

[27] Se l’essenza del cristianesimo fosse da focalizzare sulla morte in croce, la precedente vita terrena di Gesù, le sue parole, il suo comportamento in vita si potrebbero anche cancellare, perché privi di vera importanza; tutto il suo insegnamento terreno si potrebbe dimenticare.

[28] Superfluo aggiungere che il primato della sofferenza è entrato a pieno diritto nella religione cattolica, diventando un punto fermo della dottrina: “La sofferenza deve essere dolce e saporosa per amore di Cristo…la sola strada che porta alla vita è quella della santa croce e della mortificazione quotidiana…Gesù è morto in croce per te…se davvero vuoi amare il Signore e servirlo, ti resta soltanto il patire…” (De imitatione Christi, Libro II, Cap.XII).

[29] In una formula: deus, qualem Paulus creavit, dei negatio (il dio creato da Paolo è la negazione di Dio) (Nietzsche F., L’Anticristo, Adelphi, Milano, 1987, 66).

[30] Maggi L., Altissimo, potentissimo, tremendissimo, “Rocca”, n.6/2012, 56.

[31] Così la teologa Mary Daly, richiamata da Sebastiani L., Coscienza, libertà profezia di fronte alla legge, in A partire dai cocci rotti, Cittadella, Assisi, 2001, 180 s.

[32] Molari C., Un passo al giorno, Cittadella, Assisi, 2006, 67.

[33] Il Padre, che ci fa conoscere Gesù, non si caratterizza per il potere, per una pretesa di obbedienza, non fa mai differenze. E non chiede che la gente si sottometta a lui, bensì che rassomigli a lui. Il Padre di cui parla Gesù resta delineato in maniera stupefacente nella parabola del figlio perduto (il figliol prodigo) (Lc 15, 11-32). È evidente che Gesù volle lasciare ben in chiaro che il «Padre» di cui stava parlando, non era il «padre autoritario», che proibisce, censura e traumatizza, bensì il «padre buono» che sta sempre vicino al figlio ed è accogliente e comprensivo, sia quale che sia la condotta di questo figlio (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 93s.). Insomma, assomiglia più a una madre che accetta il figlio per quello che è.

[34] Come si è visto sopra nel racconto della donna piegata.

[35] Se il Vangelo ci offre il buon samaritano come modello di credente e ci fa capire chi è vero seguace di Gesù e quindi cristiano, è stato sicuramente più cristiano un Gino Strada, che in vita si è sempre dichiarato ateo ma ha speso tutte le sue energie per curare gli ammalati e i feriti, piuttosto che tante persone che si dichiarano a gran voce cristiane ma poi non seguono quanto ha fatto Gesù. «Non chi dice “Signore, Signore”, ma chi fa la volontà del Padre…» (Mt 7, 21), solo costui riuscirà ad entrare, ieri come oggi.

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