Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org










6. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



6. Ma visto che Lei afferma che non possiamo conoscere il Trascendente, il quale sta al di fuori della nostra portata, come può poi affermare che Dio esiste? Non si sta contraddicendo da solo?

L’obiezione è legittima, ma non coglie nel segno, perché non c’è contraddizione. Quando usiamo le parole “mare” o “montagna” e abbiamo visto il mare o la montagna, ognuna di queste parole ci dice qualcosa di preciso in forza dell'esperienza che abbiamo fatto in concreto. Se un genitore dice al figlio che un certo frutto “lega la lingua” il figlio non capisce: il giorno in cui il figlio mangerà un caco non maturo capirà cosa significa “legare la lingua”. Ha fatto l’esperienza, e quando si fa l’esperienza non occorrono molte parole.

Invece “Dio” resta sempre per noi un nome[1] senza volto, perché la parola non rimanda ad alcuna esperienza sensoriale specifica e concreta, sì che questa parola “Dio” resta una parola vuota, senza contenuto reale, per cui ognuno la può riempire a modo suo proprio perché non conosciamo il contenuto. Per questo nel mondo ci sono tante religioni, ciascuna condizionata dalla cultura di quel tempo[2] e di quel luogo determinato. Per questo ci sono tante immagini di Dio, e lo stesso termine Dio ha una tale varietà di significati che finisce per non assumere mai un significato preciso e condiviso; ed è anche da tener presente che un concetto di non semplice definizione può venire facilmente strumentalizzato.

Si può così capire perché la nascita dell’ateismo è spesso solo una reazione all’immagine sbagliata di Dio che magari i credenti presentano a persone che hanno un forte senso critico[3]. L’ateo vuole capire con la propria testa, e quando si trova di fronte a certe immagini di Dio per lui inaccettabili, giustamente le rifiuta.

Però, come ha ben spiegato il teologo Carlo Molari, è anche vero che:

- ogni volta che pensiamo, avvertiamo che la Verità in azione nella nostra mente è più grande delle nostre idee;

- ogni volta che amiamo ci rendiamo conto che il Bene che ci attira supera di gran lunga quello che possiamo offrire;

- ogni volta che progettiamo la giustizia sappiamo di non poter mai realizzarla pienamente: la Giustizia con la G maiuscola è sempre più esigente e ben al di là delle nostre limitate capacità realizzative.

Insomma, come dice Schillebeeckx, l’uomo è cosciente di un “fuori” sicuramente più grande di lui[4].

Allora questa è l’esperienza della trascendenza che poi noi chiamiamo Dio[5].

Il rozzo boero, nel deserto, era riuscito ad esprimere con semplici parole questa sensazione al suo accompagnatore ben più istruito: “Quando vi trovate solo in una immensità come questa, non vi sembra che qualcosa parli? Non si tratta di ascoltare con l’orecchio, ma è come se voi siete infinitamente piccolo, e tutto il resto infinitamente grande. Allora le piccole cose del mondo sembrano nulla”[6].

La sproporzione che c’è fra la nostra limitatezza e inadeguatezza di fronte alla smisuratezza dell’universo, tra le cose e le loro cause, mi fa intuire il Trascendente, che resta ovviamente un mistero e che per noi è continua ricerca. È anche chiaro che una sola cultura non può esaurire il mistero Dio, per cui non si può pretendere che tutti i popoli del mondo esprimano la fede in Dio secondo la cultura europea cristiana.

Dio è un mistero che neanche Gesù ha potuto sciogliere. Gesù ha sicuramente vissuto nella sua coscienza umana una relazione interpersonale unica col Padre, e vivendo nella sua coscienza umana la propria identità di Figlio di Dio in questa relazione unica col Padre è stato sicuramente capace anche di esprimere il mistero divino in parole umane in modo superiore a qualsiasi rivelazione precedente, ma neanche il suo intelletto (proprio in quanto umano) ha potuto esaurire il mistero divino né rivelarlo nella sua pienezza. Infatti la rivelazione divina è limitata anche in Gesù Cristo perché la coscienza umana di Gesù era limitata, e nessuna coscienza umana può esaurire il mistero divino[7].

Parlare allora del timor di Dio è semplicemente riconoscere la grandezza e la potenza fuori di noi, chiaramente superiore alla nostra, che noi attribuiamo a Dio, inteso come Trascendente Assoluto rispetto alla nostra relatività e limitatezza. Intuiamo che nell’Assoluto non vi può essere pluralità, né molteplicità; non vi può essere uguaglianza, né disuguaglianza. Però questi sono tutti criteri di misura che vengono da noi umani. Intuiamo anche che l’Assoluto, per essere tale, deve essere Uno: non c'è che un Dio, una sola Divinità, perché la molteplicità implica imperfezione, limitatezza. Nella tradizione cristiana l'Assoluto è chiamato normalmente Padre e Dio, ma anche questi sono nomi umani con i quali lo designiamo. Egli è nostro Padre, nostro Dio, ma indipendentemente da noi, in sé e per sé, che cosa è Egli? Non lo sappiamo. Resta innominabile, perché i nomi che gli diamo sono semplici designazioni che derivano sempre dall'uomo[8] che è limitato. Da noi c'è sempre il bisogno di spiegare le cose scientificamente, ma Dio non lo possiamo spiegare scientificamente.

Come ci fa ben intuire il boero, la nostra fede in Cristo, che poi noi esprimiamo con diverse formule (chiamandolo ora Messia, a volte Signore, Figlio di Dio, Dio incarnato, Salvatore,[9] ecc.), nasce dunque da un’esperienza, non da una dottrina e men che meno da un dogma. Invece succede spesso che noi ci riferiamo a delle formule dottrinali che abbiamo imparato, come se queste fossero il dato originario. Ma il dato originario non sono le formule, bensì l’esperienza di fede che compiamo; è un dare fiducia, come Gesù che si è sentito attratto e amato da questo Assoluto.

Gli atei criticano questo significato di fede, perché vuol dire credere sulla speranza, indipendentemente dalle ragioni logiche che si è in grado di presentare. Non hanno tutti i torti. Se però per fede s’intende una credenza profonda che dà senso e valore alla propria esistenza, allora anche l’ateo ha fede[10]. Infatti alla domanda «Credi in Dio?» l’ateo risponde di no con facilità. Ma se gli si chiede: «Qual è il dio del tuo mondo? Cioè qual è la cosa che, nella tua vita, tu poni a principio direttore sì che la divinizzi?» anche l’ateo non riesce più a sbarazzarsi tanto facilmente della domanda. La verità dell’ateismo lo obbliga a non divinizzare neanche l’ateismo; ma se non deve divinizzare niente, tanto meno sé stesso e la sua opinione, deve necessariamente accettare di non avere neanche lui l’ultima parola. Ecco perché, come si è detto nella risposta sub 1, il pensato non è mai terminato di pensare.

È un dato di fatto che noi cominciamo l’esistenza dando fiducia, perché da subito, appena nati, ci siamo abbandonati con fiducia perché l’amore degli altri ci stimolava, cioè stimolava in noi questo atteggiamento di abbandono fiducioso. Questo stesso atteggiamento, pian piano nel corso della vita si sviluppa, e può giungere ad esprimersi come fede in un progetto di vita, in un’autorità; all’inizio, ovviamente, quella dei genitori; poi piano piano si amplia e può giungere ad essere fede in Dio, ma solo perché abbiamo fatto esperienza di un suo testimone o in una persona autorevole che ci conduce ad abbandonarci con fiducia in Dio. Noi non sappiamo cosa è Dio, però sappiamo cosa significa dare fiducia a quella forza di vita che alimenta la nostra esistenza, la quale può condurci a forme nuove di fraternità, a forme nuove di giustizia, a modalità nuove di offerta di vita agli altri, a capacità di guarire, di perdonare, di esprimere misericordia. Se riusciamo a entrare in questo circuito è sicuramente più facile credere in Dio.

Mi richiamo qui a quanto spiegato sempre da Carlo Molari[11]. L’esperienza del trascendente significa quell’atteggiamento per cui scopriamo la validità di una scelta, che conseguentemente ci orienta la vita in quella direzione[12]. Ad esempio, l’aspirazione alla giustizia nasce dall’esperienza dell’ingiustizia e dalla sofferenza che questa causa. E possiamo abbracciare quella scelta con fiducia, anche senza avere una prova al 100% che si stia imboccando la via giusta. Scoprire che è possibile vivere meglio, per tutti:[13] scoperta questa via siamo certi di aver fatto la scelta giusta.

Rubo le parole dell’amica Grazia Santin, prima di tornare a Molari: o prima o dopo succede quasi a tutti di sentire un bisogno prepotente di superare la limitatezza del nostro essere creature, per trovare conforto ed energia in un “fuori” più grande di noi, in chi o qualcosa che è Fonte della vita. Potremmo descrivere questo bisogno con una metafora: come una gran sete[14]. Del resto, quando un bambino nasce, non sa cosa vuol dire mangiare, eppure cerca da subito qualcosa che nemmeno sa che esiste (il latte della mamma), e quando l’ha trovato si acquieta. Questo ci fa pensare che quando c’è un bisogno istintivo ci deve essere parimenti una sorgente reale, e non meramente illusoria.

Dunque, l’inizio del nostro reale cammino di fede sta nell’esperienza che facciamo, nella possibilità di pervenire a delle forme di relazione profonda con le persone, a delle capacità nuove di esistenza, di armonia. Riusciamo così a mettere in circolo dinamismi e forze vitali che fanno crescere sia noi che gli altri. Quando diciamo a una persona: “io ti amo”, “io ti voglio bene”, esprimiamo un dinamismo che nasce da un atteggiamento di fiducia e si esprime in queste dinamiche di attenzione, di servizio, di amicizia.

Se non si fanno esperienze di questo tipo, se non sentiamo questa spinta, quel dinamismo che ci indirizza verso gli altri, questa forza di vita, quell’energia che ci conduce a compiere atti positivi capaci di dar vita attorno a noi, a esprimere tranquillità e pace,[15] giungere a perdonare, succede che: o la fede manca del tutto, o comunque la nostra impressione di aver fede presto languirà per poi scomparire, perché la pratica religiosa non è mai sufficiente per poter continuare una vita di fede. Questo è il motivo per cui si constata normalmente che la maggior parte dei ragazzi, appena dopo la cresima, abbandona la Chiesa: è mancata questa esperienza e hanno vissuto solo la religione.

Sfortunatamente molti di noi identificano ancora erroneamente la fede con la pratica religiosa, e agganciano questa pratica a delle formule, a delle dottrine, a dei dogmi, che di per sé non ci fanno sicuramente pervenire a forme nuove di umanità. Così non cresciamo di un millimetro e non siamo di aiuto agli altri. Crescere è un processo, per il singolo e per la collettività. Una volta che affermo di credere che Gesù è vero Dio e vero uomo, ho forse portato più vita nel mio piccolo mondo attorno a me? Chi mi sta accanto si sente forse rincuorato? Se la risposta è negativa, sto solo praticando una religione.

Oggi, nella nostra società, ci vengono chieste delle qualità di relazioni, delle capacità di amore che in passato non erano richieste, e probabilmente non erano neppure possibili. Perché? Perché anche l’umanità è in processo, e lentamente cresce. Le qualità di relazione che oggi sono chieste (la capacità di ascolto, di relazione con culture e religione diverse), in passato non erano possibili. Oggi non sono solo possibili, ma sono assolutamente necessarie. Ecco, quindi che anche il cammino di fiducia che si sviluppa, proprio nella specie umana, è un processo che cambia nel tempo. Pertanto non dobbiamo pensare che, se in passato si è sempre vissuto in quel determinato modo, anche noi dobbiamo continuare a vivere in quello stesso modo seguendo la tradizione. Per questo Gesù aveva detto che in futuro noi avremmo potuto fare cose più grandi di quelle che ha fatto lui. In passato ci sono state delle situazioni per esempio in cui, lo abbiamo purtroppo visto anche nella nostra religione, si esercitava la violenza in nome di Dio: si uccidevano gli eretici, i musulmani, non si entrava in dialogo con gli altri, come se questo fosse una necessità, un dovere; si ammetteva la schiavitù e la tortura. Oggi scopriamo che quei comportamenti erano insufficienti, inadeguati, sbagliati, perché non corrispondono alla reale crescita della persona e dell’umanità.

Ecco, in estrema sintesi, perché si può credere che esista il Trascendente, anche se non è possibile descriverlo adeguatamente, e ogni definizione di Dio è lacunosa, per non dire minimalista e quindi irriverente. Ma ripeto che il dato di base è sempre un’esperienza, non un dogma. L’inizio del nostro reale cammino di fede sta nell’esperienza che facciamo, nella possibilità di pervenire a delle qualità umane nuove, a delle capacità nuove di esistenza.

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7. Ma se manca la prova provata dell’esistenza di Dio, tanto che neanche il credente può provare che esista, come mai c’è il reato di bestemmia? Come mai si difende qualcuno che non sappiamo neanche se esiste?

Ormai oggi non esiste più il reato di bestemmia, esiste la violazione amministrativa. L’art. 724 codice penale è stato depenalizzato e ora prevede una sanzione amministrativa per chi bestemmia la divinità, ma anche i simboli religiosi, le persone venerate dalla religione (come la Madonna e i santi), e perfino tutti i defunti. E la Corte Costituzionale, con sentenza 18.10.1995 n.440, ha esteso la stessa tutela anche alle altre confessioni.

È vero quanto dicono gli atei che non dovrebbero essere tutelate giuridicamente le “persone” la cui esistenza è indimostrabile, ma qui si tutela il sentimento religioso delle persone, non Dio[16].

Ed è anche bene sottolineare che l’art.10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, Carta fondamentale del Diritto del nostro mondo occidentale, nel prevedere la libertà di espressione, prevede anche che il suo esercizio comporti doveri e responsabilità, perché anche gli altri hanno diritti. Pertanto, colpire il sentimento religioso, che è uno degli elementi tra i più essenziali dell’identità dei credenti e della loro stessa concezione della vita (pensiamo alle famose vignette satiriche su Maometto) non trova tutela giuridica da parte della suddetta convenzione. Dovremo ricordarcelo.

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8. Ma se con i genitori si comunica direttamente, faccia a faccia, come posso fidarmi di Dio che, per definizione, non posso conoscere in questa vita? Ognuno di noi può fidarsi di chi conosce, non di chi non conosce. Pensiamo solo a come siamo sul chi vive quando uno sconosciuto ci viene incontro. E visto che il Trascendente è inaccessibile come un fantasma sconosciuto, visto che c’è incomunicabilità fra il nostro ambito immanente e quello divino trascendente, – come Lei stesso ha sottolineato nella relazione,- oltre a quella vaga intuizione o esperienza di cui ha appena parlato, come è possibile fidarci di un Trascendente che possiamo intuire, ma non conosciamo e mai conosceremo in questa vita?

Beh! il discorso sulla fede sta principalmente proprio qui. Scrive con grande acutezza e lucidità Giovanni nella sua prima lettera: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20). Amare una persona che ci ama è facile, perché percepiamo il suo amore dal modo in cui ci guarda, da come ci tratta. Amare una persona che non conosciamo, di cui non sappiamo nulla, è già piuttosto difficile. Amare un Essere perfettissimo astratto, invisibile, distante e gelido, anche se ce lo descrivono come Creatore e Signore del cielo e della terra (artt.2,13,18, 22, 27, 69 Catechismo Pio X), è quasi impossibile.

In realtà, non esiste per l’uomo un rapporto con Dio che NON passi attraverso il rapporto con gli altri uomini. E gli altri sono quelli che l’intreccio del caso ci mette sulla nostra strada. Quando avviene l’incontro, e come se Dio ce li avesse messi là. E come se Dio ci dicesse: “ti aspettavo!” Ecco l’incontro con Dio, che non aspetta la nostra morte come invece tanti immaginano[17]. Ecco l’incontro con Dio che il buon samaritano fa quando inciampa nel ferito[18]. E il ferito scopre Dio nel volto di colui che l’ha soccorso, offrendogli cura e speranza, come si è visto anche nel racconto della bambina del banco delle mele (risposta sub 1). Dio non ci manda incontro degli angeli svolazzanti per entrare in contatto con noi, non ci sussurra di notte nei sogni, non usa il telefono rosso neanche col papa, ma ci manda ogni giorno altri uomini[19]. Quando uno è convinto di parlare direttamente con Dio, sta assai probabilmente parlando solo con sé stesso, perché chi è convinto di essere in contatto diretto con Dio è in realtà entrato in relazione solo con le oggettivazioni di Dio che lui stesso si è costruito nella sua testa[20].

Il difficile del cristianesimo sta in questo: la parabola del samaritano (Lc 10, 30ss.), che occupa un punto chiave anche nel testo dell’ultima enciclica di papa Francesco (Fratelli tutti), non si limita a parlare astrattamente dell’amore per il prossimo, bensì della pratica di accostarsi all’altro, alla vittima, al povero, allo straniero, all’immigrato. Parla della fondamentale importanza di interrompere il nostro cammino, il nostro programma che avevamo predisposto per quella giornata per occuparci improvvisamente delle necessità di un altro che abbiamo inaspettatamente incontrato per strada. Se uno si comporta così dimostra di aver fede. Ma è del tutto evidente che comportarsi così è molto più difficile che limitarsi a credere ai dogmi, o ritagliarsi ogni sera uno spazietto per recitare il rosario. In questo secondo caso mantengo il controllo su tutta la mia giornata, e a ognuno di noi piace avere tutto sotto controllo. Nel primo caso la mia programmazione giornaliera può essere scombussolata, e devo essere pronto ad accettarlo[21].

E come si può raggiungere un simile tipo di fede? In tutta la nostra vita terrena, la fiducia viene sempre indotta da una testimonianza esterna di altri uomini, non viene mai dal proprio Io interno, e neanche dal contatto diretto con Dio. Pensiamo, come detto prima, al neonato: si abbandona fiducioso solo in quanto ha sperimentato l’amore materno[22]. Ma perfino un cane, se è stato sempre maltrattato starà in allerta quando gli si avvicina un umano; se è stato sempre coccolato si metterà con la pancia all’aria, fiducioso di ricevere altre carezze.

La fede (abbandonarsi con fiducia al Trascendente), allora, non è legata a una conoscenza razionale, anche se non va contro la ragione come si è visto alle domande precedenti. Men che meno è legata alla conoscenza della dottrina insegnata dal magistero. La fede nasce dalle esperienze che si stanno vivendo o abbiamo vissuto, fatte con altre persone, e soprattutto si trasmette per contagio; certamente non basta l’insegnamento del Catechismo e dei dogmi. Non si deve allora confondere la fede (abbandonarsi a Dio fiduciosamente, avendo in tal senso sperimentato valide testimonianze umane che ci hanno dato più vita e infuso più speranza) con la dottrina della fede (ritenere vero quello che ci è stato detto di Dio[23]). La prima è atteggiamento vitale; la seconda è solo credenza religiosa.

Dal punto di vista della fede, Gesù è stato un testimone eccezionale di Dio, perché è riuscito a indurre una marea di persone alla fiducia e alla speranza. Gesù è venuto a contatto con la realtà del mondo umano, con l’emarginazione, con la violenza, ma non è fuggito inorridito davanti a tutti quei peccatori, pensando che potevano contaminare la sua santità;[24] si è anzi contaminato con le brutture di questo mondo, ha affrontato il male cercando di disinnescarlo. Noi dovremmo cercare di fare altrettanto, non solo credere a una dottrina.

Ma replicherà il cattolico intransigente che dobbiamo credere alla retta dottrina, e la dottrina è quella degli apostoli giunta fino a noi attraverso la persona dei vescovi[25]. Bene! Nessuno vi dice che dovete abbandonare questa convinzione. Ma limitarsi a cercare Dio nella dottrina, nel soprannaturale, nell’alto dei cieli, vuol dire fuggire dalla realtà, mentre noi viviamo nel naturale, non nel soprannaturale; quindi è nell’umano che dobbiamo trovare Dio, come ci ha mostrato Gesù. Proprio con la sua vita Gesù ci ha mostrato che ciò che Dio vuole è la fraternità fra tutti gli uomini, e quando si sperimenta questo modo di vivere e si vede che funziona, tutte le teorie e i dogmi passano in secondo piano perché non sono di grande aiuto nel rapporto con gli altri.

Dio, sostanzialmente inaccessibile all’uomo, può Lui entrare nell’ambito dell’immanenza. Ecco perché attraverso l’incarnazione, umanizzandosi, Dio si rivela all’essere umano. C’è un Dio che comunica con gli uomini, e lo fa utilizzando lo stesso linguaggio che l’uomo può comprendere, vale a dire utilizza gli eventi storici. Per rivelarsi occorre farsi intendere e comunicare, e Dio può fare questo solo usando mezzi umani immanenti, attraverso la parola, attraverso un avvenimento, attraverso determinate persone; sempre tramite una realtà finita come noi, perché noi non abbiamo un linguaggio divino[26]. Dio si rivela tramite e dentro l’esistenza umana, non dal di sopra parlandoci col linguaggio della trascendenza. Dio si rivela indirettamente in più modi, ma non ci parla direttamente. Sicuramente Dio non ha parlato in ebraico per far scrivere la Bibbia,[27] né in greco per far scrivere i vangeli, né in arabo per far scrivere il Corano. Dio non parla, si comunica attraverso ciò che accade[28].

“Ma così Lei non crede che le parole della Bibbia siano di origine divina” mi obietterà qualcuno. In effetti, sono dell’idea che pensare a una dettatura divina sia da evitare; che anche ogni letteralismo sia da evitare, perché non tiene conto che le parole che oggi leggiamo scritte sono la traduzione di qualcosa che è accaduto quando si usava una diversa lingua, in una diversa società, in un diverso periodo storico: è ovvio che il contesto culturale originale della Palestina di duemila anni fa era diverso dal nostro[29]. Se stiamo alla lettera, secondo la semplicistica versione letterale del Pentateuco, quando Dio chiamò Abramo promettendogli una terra, una discendenza e la benedizione, egli rispose alla chiamata di Dio con la fede: “Abramo credette - dal verbo ebraico “fidarsi di..., rimettere la propria fiducia in qualcuno”[30] – e il Signore glielo accreditò come giustizia” (Gn 12, 1-9; 15,6). Dunque, stando alla lettera, questo patriarca ci viene presentato già come un credente nel Dio unico, al quale presta piena obbedienza dopo aver sentito una voce dall’alto. Ma è stato proprio così? Non credo.

Se guardiamo un po’ disincantati ad Abramo, a questo patriarca vissuto qualche migliaio di anni prima di Cristo (se è mai esistito, perché sono anche poche le prove storiche di una sua esistenza), e se dimentichiamo le tradizionali storielle più o meno fantasiose[31] sulla sua vita ed il suo cammino dalla Mesopotamia verso il Mediterraneo, resta più o meno questo: Abramo, beduino semi-stanziale, viveva col suo clan da pastore, curando il suo gregge nei silenzi del deserto, per cui aveva sicuramente a disposizione tanto tempo per meditare. Non è ragionevole credere che un giorno Dio abbia parlato ad Abramo ordinandogli espressamente di migrare (da notare che già Abramo era un immigrato), e lui per fede abbia obbedito, partendo alla cieca senza neanche sapere dove andava (Eb 11, 8), anche perché stando agli ebrei Dio avrebbe parlato sempre in ebraico, sennonché Abramo non parlava ancora questa lingua. Questo pastore, capo di un clan, aveva – come tutti i pastori - contatti commerciali con la città più vicina al luogo in cui si trovava; la sua era quella di Ur (Gn 15, 7). Questa antica città in Mesopotamia, abbastanza vicina alla tristemente nota (per noi) Nassirya, è stata effettivamente ritrovata sotto un tell, cioè una di quelle colline che di frequente si vedono emergere dalle aride pianure della Siria e dell’Irak e sotto le quali spesso si nascondono grandi tesori archeologici.

Sembra molto più ragionevole pensare che sono sempre gli avvenimenti terreni che, in un certo senso, obbligano ciascuno di noi a prendere decisioni. A un certo punto Abramo, probabilmente di fronte ad una siccità con pericolo di carestia o sotto la pressione delle invasioni asiatiche che in quel periodo spinsero molti altri popoli ad emigrare in contemporanea,[32] ritenne che era venuta l’ora di cambiare aria con tutto il suo clan.

La lettura che poi, in seguito, si è in grado di dare agli avvenimenti è diventa voce di Dio, parola di Dio. Non si tratta di un’obbedienza antecedente per fede (così, invece, si legge nei nn. 144s. del Catechismo), ma di una lettura a posteriori di quegli avvenimenti: con quegli avvenimenti Dio ha chiesto di fare qualcosa di diverso. Una volta partito, quando Abramo si è reso conto che la scelta di partire era stata quella giusta, fra i tanti dèi che si adoravano in quel tempo a Ur e dintorni, scelse di continuare a rivolgersi a quell’unico dio del cielo e del deserto che gli aveva fatto prendere la decisione giusta, e che ora sicuramente lo avrebbe accompagnato e altrettanto ben consigliato nel viaggio. In conclusione, la Sacra Scrittura non è la Rivelazione diretta[33] di un Dio che detta al telefono o in sogno cosa poi scrivere, parlando magari anche nella nostra lingua, ma è frutto di un pensiero che emerge dalla narrazione di esperienze vissute, utilizzando parole che questi eventi hanno suscitato, utilizzando i modelli culturali di quel tempo[34]. Solo così la Rivelazione si comprende come dono di Dio nella storia, e non più come sistema di verità[35] trasmesse. Solo così si capisce perché nella Bibbia vi sono contraddizioni, cosa che non sarebbe possibile se Dio in persona l’avesse dettata.

Attraverso questi mezzi indiretti, immanenti, noi possiamo acquisire comunque fiducia nel Trascendente, come ha fatto Abramo. Normalmente, però, più che con avvenimenti esterni è l’incontro con altri uomini che ci induce alla fiducia. Però siamo pur sempre uomini e quindi, come Tommaso, siamo destinati a oscillare fra la fede (es. Gv 11, 16: andiamo a morire con lui) e il dubbio (es. Gv 20, 24-25: se non vedo non credo)[36]. Insomma, è normale credere a momenti, e dubitare in altri momenti. Del resto, proprio mentre gli apostoli erano ancora dubbiosi (Mt 28, 17), Gesù ha affidato loro la prosecuzione della sua missione (Mt 19s.). Allora possiamo consolarci pensando che Gesù non ha affidato la prosecuzione della sua missione a uomini tutti d’un pezzo, duri nella fede e perfetti, ma a dei discepoli fragili che avevano poca fede (pensiamo solo a quante volte gli apostoli sono stati poi rimproverati per la loro poca fede: Mt 8, 26; 14, 31; 16, 8; 17, 20; Mc 4, 40; 16, 11.13.14; Lc 8, 25; 24, 11.41), che nel momento del pericolo lo hanno abbandonato, e che ancora alla fine dubitavano di riuscire comunque a seguirlo. Perciò non disperiamo; siamo in buona compagnia.

Proprio come affermano i musulmani, l’intelletto è in grado di portarci solo fino alla porta del re; poi occorre abbandonarsi e affidarsi a Dio, che è sempre a un livello ultraformale, quindi irraggiungibile per la mente umana che ragiona secondo criteri formali. Un simile mistero non può essere superato neanche dalla scienza che usa criteri formali; anche la scienza ci accompagna fino alla soglia. Perciò la nostra Chiesa oggi non ha bisogno di predicatori che riempiano le teste della gente di parole, ma di testimoni che trasmettano, anche in modo umile, la loro piccola esperienza del vangelo.

In poche parole, fermarsi a parlare di dogmi senza mai darsi da fare, fermarsi a leggere (come stiamo facendo ora con queste domande e risposte) per cercar di capire Chi è Gesù?, senza poi muovere un dito, fermarsi quindi solo a discutere di teologia senza poi agire, significa semplicemente sprecare il nostro tempo. Come diceva, se ben ricordo don Tonino Bello, vediamo di parlare di meno, di commuoverci di meno e muoverci di più. Non servono insegnanti di dottrine, men che meno di dogmi,[37] per cui non conta tanto la verità di quello che ci dice un vescovo o un teologo, ma se quel che racconta il vescovo o il teologo riflette la loro vita. Come ha detto il cardinal Tonini, la gente ha bisogno di vedere chierici che ci credono, non che insegnano[38]. Troppo spesso si vede incoerenza fra chi parla di Dio ma poi non opera come Gesù ha fatto. E lo stesso vale per chi si proclama cristiano.

In sintesi, noi possiamo fidarci del Trascendente perché abbiamo avuto esperienza di altre persone che hanno fatto crescere in noi la fiducia, che sono state capaci di farci superare una crisi. Poi dovremmo essere a nostra volta in grado di espandere questa fiducia che abbiamo sperimentato, col nostro comportamento. Non è invece possibile conoscere Dio facendolo diventare direttamente un oggetto di speculazione, di studio. Non ci si può domandare se Dio esiste come fosse un oggetto qualsiasi; al massimo possiamo domandarci se Dio è presente nella nostra vita. Per conoscerlo è necessario scoprirne la presenza[39]. Non essendo Dio un essere materiale, la sua presenza si può percepire solo attraverso una relazione interpersonale, appunto con altre persone. Se si ha la fortuna di trovarsi in una comunità che vive nella solidarietà, nella fratellanza, nella mitezza, nella misericordia, nel reciproco perdono, è facile credere che lì sia presente la mano di un Essere superiore. Se ci sediamo sull’uscio di casa e aspettiamo di vedere un Dio che interviene in questo mondo con dei miracoli, non ne vedremo nessuno e concluderemo che Dio non esiste perché non si presenta come ci aspettiamo. D’altra parte il Dio di cui parla Gesù è quello che continua a bussare alla nostra porta, che continua a chiedere ospitalità e accoglienza, che chiede collaborazione, non certamente il dio che risolve tutti i nostri problemi dopo che l’abbiamo implorato con grande fervore.

E se guardiamo in giro quello che succede nel mondo, non sembra che gli uomini, da soli, riescano a creare quella società cui aspirano, dove si vive in pace fra fratelli. Per andare concretamente in questa direzione sembra si debba assorbire un’energia esterna a noi.

Ma la cosa che ci mette probabilmente più in crisi è che quest’incontro con Dio non è come l'incontro che si fa in una conversazione di salotto, o in un tranquillo viaggio in treno: l'incontro con Dio è sempre l'incontro con un altro uomo che ci mette in questione, che ci fa vergognare di essere quelli che siamo. Diceva frate Balducci: se stiamo a pregare in una chiesa possiamo anche compiacerci dei buoni sentimenti che si sprigionano dal nostro profondo: com’è bella quell’ora di adorazione del Santissimo in una cappella che sa d’incenso. Ma se incontriamo per strada un pezzente e lo scansiamo perché ci turba, allora dobbiamo riconoscere che non siamo in sintonia con Dio, perché abbiamo paura dell'uomo che ci mette in questione. A quel punto è chiaro che non siamo in grado di espandere quel senso di fiducia che altri sono stati capaci di trasmetterci[40].

NOTE


[1] Giustino: «Nessuno infatti può dare un nome al Dio ineffabile; e se qualcuno osasse dire che ne esiste uno, sarebbe inguaribilmente pazzo» (Apologia prima, LXI. 7, in www.documentacatholica.eu, indice autori sotto voce Iustinus).

[2] Come già detto, anche la nostra cultura è cambiata nel tempo, e perciò sono cambiati anche alcuni cardini della religione: se non abbiamo più una concezione simile a quella del concilio di Firenze, convinto che extra ecclesiam nulla salus, è perché possediamo semplicemente un nuovo concetto di umanità (Ratzinger J., Il nuovo popolo di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 1971, 358).

[3] Costituzione pastorale sulla Chiesa – Gaudium et spes, 7.12.1965 §19 ult. co.: nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e del cattolicesimo.

[4] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia,1976, 692.

[5] Molari C., Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi, 2008, 44.

[6] Rudolf O., Il sacro, ed. SE, Milano, 2009, 38.

[7] Tanto da lasciare sconosciuti molti elementi del piano divino di salvezza per l'umanità: ad esempio, il giorno e l'ora in cui la storia della salvezza sarà completata (Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014, 136s.).

[8] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi, 1989, 76ss.

[9] Abbiamo visto verso la fine della risposta alla domanda sub 1, parlando della bambina del banco delle mele, come ognuno di noi può essere veramente il volto divino per le altre persone che incontra sulla sua strada, e quindi un vero e proprio Salvatore come Gesù si è dimostrato per molti. Da questo tipo di esperienze è stato poi attribuito a Gesù il nome di Salvatore.

[10] Bertinetti R., intervista a Lecaldano Eugenio, autore di "Senza Dio" saggio sull'ateismo, ed. Il Mulino, 2015, "Il Piccolo" 29.4.2015, 31).

[11] Molari C., relazione “Gesù chi?”, tenuta a Trieste il 27.2.2016 nella Chiesa di Santa Teresa del Bambino Gesù.

[12] Un giovane ha posto al prete questa domanda: “Ma se per ipotesi Dio non esistesse e tu avessi comunque seguito questa Buona Novella, la tua vita di prete che significato avrebbe, che esistenza a vuoto risulterebbe essere stata la tua?” “Anche se fosse come dici tu,” ha risposto quel prete “non si vive in ogni caso meglio credendo in Lui, nella sua amicizia, nel suo amore e condividere questi sentimenti con altri?” (don Vatta M., Rubrica - Trieste volti e storie, Il Piccolo 18.12.2011, 40). O in altri termini, non è forse vero che per ogni persona normale, la vita dà il meglio di sé quando si sceglie la via dell’amore, dell’armonia, della speranza, e che quando s’immette nella propria vita questo senso ci si sente meglio? Non si vive comunque meglio pensando che dopo la morte ci aspetta ancora una grande avventura?

[13] Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 24.

[14] Salmo 62: Ha sete di te l'anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz'acqua. Salmo 42: Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?

[15] Non so chi ha espresso questa massima, che ritengo verissima: ‘più anni hai, più ti rendi conto che non vuoi più conflitti inutili e sterili. Vuoi attorno a te solo persone meno tossiche e più persone che generano pace’.

[16] Fino a pochi anni fa solo l’uomo era considerato soggetto di diritti; gli animali erano solo oggetto di diritti, e non avevano diritti. Anche in questo campo, però, qualcosa sta cambiando: ad es. la Corte di Buenos Aires (Argentina) ha riconosciuto che l'orango, capace di avere legami affettivi, che percepisce il tempo, che impara, comunica ed è capace di trasmettere quanto ha appreso, è un soggetto non umano, ma pur sempre soggetto e non oggetto di diritti (vita, libertà, proibizione di tortura) (riportato nei quotidiani “Il fatto quotidiano” e “Repubblica” del 22.12.2014). È stato dato riconoscimento giuridico a quanto le scienze hanno ormai affermato da tempo: quanto meno nei primati esiste un grado di consapevolezza, ed è escluso che gli animali siano delle mere “macchine” viventi come si riteneva dai tempi di Aristotele fino all’Illuminismo (Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 71). Più recentemente, in Nuova Zelanda, al fiume Whanganui, sacro ai maori, era stata riconosciuta la personalità giuridica come un essere vivente (http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/16/nuova-zelanda-il-fiume-sacro-ai-maori-e-come-una-persona-davanti-alla-legge/3455218/). In precedenza era anche stato stabilito che la foresta Te Urewera ha una propria esclusiva identità, sì che è un essere vivente con tutti i diritti e doveri e responsabilità di una persona giuridica. Sulla stessa linea, i nativi Zuni del New Mexico (USA) cercano di far riconoscere lo status di persona giuridica al Monte Taylor, che ha attirato l'interesse di compagnie minerarie, affermando che la montagna non è una cosa inanimata, ma un essere vivente che dà vita e sostegno a molti altri esseri, per cui è importante per sé stessa, non per i metalli che nasconde nel suo ventre (Nadotti C., Quella montagna cara ai nativi è una persona giuridica, “Il Venerdì di Repubblica”, n. 1495 dell’11.11.2016, 30).

Posso aggiungere che nel nostro ordinamento ci sono altri casi in cui si tutela anche chi non è ancora persona titolare di diritti e doveri: ad es. la posizione del concepito è parificata a quella di una persona già esistente, perciò egli è considerato titolare di diritti ancora prima della nascita, quindi prima ancora di essere una “persona” in senso giuridico (Cass. Sez. Un. n.25767/2015).

[17] Tor C., C’è vita e vita, ed. EMI, Bologna, 2000, 28.

[18] E se il ferito avesse fatto finta, ed era solo un tranello per poter rapinare più facilmente il samaritano? Certo, può succedere anche quest’esperienza negativa nella vita. E per questo ci sono tante persone che non si fidano e cambiano percorso quando vedono un estraneo. Ma è anche certo che se uno vive così, vive male e con costante paura, e facilmente insegnerà ai propri figli la sfiducia totale nel prossimo. Il caso di quel giovane che a Lecce era stato accolto in casa da una coppia e poi l’ha ammazzata perché invidiava la loro felicità può essere emblematico (vedi i quotidiani del 30.9.2020)

Conosco al contrario personalmente anche persone che hanno accolto in casa propria dei drogati, delle persone sbandate, e non è successo nulla, non sono neanche stati derubati; la loro fiducia nel prossimo non è stata lesa. Hanno rischiato? Penso di sì, ma anche se avevano paura hanno donato la propria vita. Del resto, col coronavirus, anche medici e infermieri avevano paura, eppure non si sono tirati indietro.

[19] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 16.

[20] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 19.

[21] Come mia esperienza personale, in cui non mi sono comportato da cristiano (per cui potrete rinfacciarmi di predicare bene, ma razzolare male), posso richiamare l’articolo al n. 500 di questa rivista, Incontro con una schiava del 2000, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-500---14-aprile-2019.

[22] Se un bambino piccolo dovesse procedere ragionando, non si affiderebbe mai ai suoi genitori, perché non sa ancora ragionare. Ma anche quando incomincia a ragionare, c’è sempre il rischio che non colga il dato fondamentale del suo rapporto con la vita, che è appunto il dare fiducia per accogliere quella forza che gli è necessaria per crescere. Ora, la fede naviga in questa dimensione. Allora, quando nella Chiesa è prevalsa la riduzione dottrinale della fede, per cui si è ridotta la fede a ritenere per vere determinate verità, si è dimenticata l’altra dimensione, che è l’aspetto vitale ed essenziale (Molari C., Celebrare il Natale- Scambio, a Condino, 2006).

[23] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 197. Cfr. quanto detto sulla fede alla domanda n.1.

[24] Anzi, non è curioso vedere come Gesù non si sia mai trovato in pericolo quando frequentava persone di malaffare, sbandate, emarginate, mentre sia stato costantemente in pericolo quando si trovava con le persone pie e religiose, nelle sinagoghe o nel Tempio?

[25] Ireneo, Adversus Haereses, Libro IV, Cap.XXXIII, 8, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[26] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 45: la pluralità di linguaggi su Dio impedisce di assolutizzarne uno, di confondere Dio con ciò che diciamo di lui, di rinchiuderlo (o credere di rinchiuderlo) nel nostro discorso, nel nostro pensiero.

[27] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 37: per i cristiani, all’origine della Bibbia c’è una manifestazione divina, ma non significa che la Bibbia trascriva direttamente la parola di Dio.

[28] Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, Queriniana, Brescia, 2005, 447.

[29] Ravasi G., Le parole dure di Gesù, “Famiglia Cristiana”, n.41/2014, 106.

[30] Anche nell’Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco (www.vatican.va) si dice al § 8 che Dio parlò direttamente ad Abramo e che egli, sentendosi chiamato per nome, rispose alla parola di Dio.

[31] Anche a leggere il Catechismo (nn.59 ss., 165) sembra che da sempre Abramo credesse in un unico Dio. Secondo i musulmani, Abramo figlio di un sacerdote che costruiva idoli, tale Azar (Corano sura VI, 74) è l’iman, cioè quello che sta davanti spiritualmente, ed ha avuto contatto diretto con Dio. Avrebbe avuto una vita a dir poco fiabesca, arrivando a rompere gli idoli che anche suo padre custodiva, e lasciare la scure in mano all’unico che non aveva rotto perché su questi cadesse la colpa; venne anche lanciato nel cielo come una freccia, poté colloquiare con le forze celesti, ecc. ecc.

[32] Questa sembra l’ipotesi più accreditata se si colloca Abramo verso il 1200 (tesi meno seguita), quando le invasioni dall’Asia costrinsero molti popoli a spostarsi a loro volta: si pensi solo all’arrivo dei popoli del mare in tutto il Mediterraneo orientale.

Altri collocano la vita di Abramo molto più indietro: circa 4000 anni fa il clima si riscaldò, facendo probabilmente cadere anche l’Antico Regno egiziano (Saragosa A., Meteo-Story. Così Maya, micenei ed Egizi sono scomparsi per il troppo caldo, “Il Venerdì di Repubblica”, n.1277/2012, 66). Da qui siccità perduranti.

[33] Vedasi anche l’ultimo dei testi canonici (Ap. 1, 9), dove Dio si serve di uomini; la sua Parola arriva al mondo con parole umane: Giovanni deve essere lui a scrivere. Dio ha bisogno di collaboratori, il che dimostra che la Rivelazione è sempre indiretta.

[34] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 42s.

[35] Del Riccio R., Dio, dopo Dio, relazione tenuta al centro Veritas di Trieste il 22.4.2015.

[36] Santi Grasso, Il Vangelo di Giovanni, Città Nuova, Roma, 2008, 773.

[37] Non sarà che tanto indottrinamento ci ha avviluppato con tanti fili sottili al punto che facciamo fatica a liberarcene? Com’è che siamo storditi se uno ci dice qualcosa presentandoci una realtà non esattamente conforme a quello che ci è stato insegnato? Non ci hanno insegnato che la dottrina insegnataci coincide con l’unica realtà che esiste? E però tutte queste dottrine che minacciano castighi per coloro che vedono le cose in modo diverso rispetto all’insegnamento unidirezionale ufficiale, hanno qualcosa che non va. Un bravo genitore o un bravo insegnante fa di tutto affinché il giovane si ponga le domande importanti sulla vita, ma poi, messosi da parte, lascia che il giovane faccia la fatica di trovare da solo le risposte (Cugini P., Visioni postcristiane, EDB, Bologna, 2019, 86ss.).

[38] Così ha ben detto il Cardinal Tonini (“Il Piccolo” 29.7.2013). Conseguenza allora vuole che la vera Chiesa di Cristo debba funzionare in modo tale che le persone, vedendo la Chiesa, vedano Gesù. Si può qui osservare che i teologi cattolici hanno molto insistito sull’apostolicità del magistero, poco sull’apostolicità della dottrina; e siccome il vangelo non è semplice teoria dottrinale, è essenziale che la vita della Chiesa rispecchi la dottrina che si vuol insegnare, cioè la fedeltà alla vita vissuta di Gesù (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 70s.).

[39] Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982, 313.

[40] Non crediate che scrivendo queste belle cose, e sapendo in cuor mio che sono giuste, riesco poi a viverle coerentemente nella mia vita. Come detto nella risposta sub 1, mi si può sicuramente contestare di non essere un buon cristiano guardando il mio comportamento. Continuo però a pensare che non mi si può dire che non sono un buon cristiano perché non credo a tutti i dogmi. Ma vi assicuro che è più difficile vivere da cristiani che credere che alcune affermazioni siano vere.