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Molo Audace, Trieste, estate 2022 - foto di Sara Sodaro
Quando non riesci a dire «ti amo»
di Stefano Sodaro
Vi sono grandi firme del giornalismo, della scrittura, della poesia, dell’arte che – pur ingenerando nell’amante, maschio o femmina che sia, la sensazione d’essere amato/a da tale autorevole interprete culturale – non riescono, però, ad esplicitare il loro sentimento.
Anzi, sembra quasi – e qualcuno persino lo teorizza – che dire “ti amo” sia tradire la potenza d’amore che non abbisogna di traduzioni verbali esplicative.
Che sia più intellettualmente chic astenersi da espressioni inflazionate, buone piuttosto per canzoni e riduzionismi emotivi?
Però, così, magari compare anche qualche dubbio in chi molto afferma di sentirsi amato, e amata, ma mai si sente dire d’esser tale (e ne soffre).
Forse, in questa estate, con i 40 gradi battenti, continui e addirittura spesso superati, l’amore fatto parole rischia di aumentare ancor più la temperatura percepita e, dunque, il refrigerio del risparmio d’energia è comunque causa importante di silenzio. Ma rischia d’essere una comoda scusa.
Insomma: dire “ti amo” bisogna, costi quel che costi, oppure no?
Probabilmente dipende molto dal contenuto di quelle due parole. Che significa “ti amo”?
Qui, in effetti, la faccenda si complica ed anche se la cosa viene detta – la Cosa, sì -, il suo senso permane misterioso.
Si può spiegare l’amore?
Esiste di certo la possibilità che il silenzio pronunzi un “ti amo” chiarissimo eppure non verbale.
Ma il problema allora è un altro. Quel problema dei problemi stupendamente enucleato dal Poeta: “amor ch’a nullo amato amar perdona”.
Chi viene toccato dall’amore, quand’anche non corrisposto, è impossibile che ne resti indenne. E se anche non compare parola, l’imbarazzo occupa il silenzio.
Che fare davanti ad un “ti amo” pronunciato? E che fare davanti ad un “ti amo” non pronunciato?
“Amor ch’a nullo amato amar perdona” saprà suggerire che fare, basterà lasciarsi guidare, basterà restare accoglienti davanti alla forza della sua docenza.
L’amore non è questione metafisica, di retta dottrina, di “ortodossia”, ma è questione di gesti, di ortoprassi dunque e piuttosto, di sguardi, di sorrisi, anche di silenzi, appunto, ed anche di parole, spesso esitanti perché folli, esagerate, persino sconvenienti, ma mai – mai – violente.
Non riuscire a dire «ti amo» può essere un’omissione violenta di cui pentirsi anche molto amaramente.
Oppure può essere promessa di futuro appuntamento, magari in autunno, quando il calore sorgerà da dentro e non, meteorologicamente, da fuori, bloccando ogni parola.
Infatti d’estate, a Trieste, la Bora non c’è.
Attende che scenda la temperatura per lasciar parlare l’amore.
Ed il suo linguaggio resta intraducibile ed allo stesso tempo necessario. Ossigeno per le nostre vite.
Buona domenica.
Buona settimana.