Natale
di Dario Culot
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/
Come facciamo ad augurarci “Buon Natale!”, a scambiarci doni, con quello che si vede in giro per il mondo? La nascita sulla terra di Gesù (cioè di Dio, secondo l’insegnamento della religione) dovrebbe essere momento di gioia, e invece attorno a noi vediamo soprattutto sofferenze, guerre, distruzioni, morte. Siamo testimoni di orrori che non si vedevano da decenni. Allora ritorna la classica domanda: ma se Dio esiste perché non interviene? Perché non fa qualcosa? Perché lascia che accadano queste oscenità? Com’è che non si vergogna di questo mondo schifoso che Lui stesso ha creato?
È cioè abbastanza comune sentire la gente che ce l’ha con Dio. Soprattutto chi è ammalato, chi è in lutto ce l’ha con Dio. “Perché mi hai fatto questo? perché hai permesso che mi succedesse quell’altro?”
La domanda è piuttosto scontata, visto che ci hanno insegnato che Dio è onnipotente, cioè può fare tutto ciò che vuole, e allora basta che voglia e può sistemare la situazione. Ci hanno insegnato che basta pregare tanto, insistere e finalmente si degnerà di farci la grazia e risolvere il nostro problema.
Ma questo significa avere un’immagine sbagliata di Dio, perché lo vediamo come un dio cui basta chiedere per ottenere. In altre parole, dopo duemila anni, ci comportiamo ancora come veri pagani. Infatti, al pari degli antichi romani ci aspettiamo che Dio risponda alla nostra offerta di prestazione rituale con una controprestazione assistenziale: in tanti sono ancora propensi a comportarsi come il popolo romano che, nell’apprendere la morte del grande condottiero Germanico, assai caro al popolo, s’infuriò, si precipitò nel tempio ed abbatté gli altari rovesciando nelle strade le statue degli dei che avevano permesso la sua morte[1]. Siamo pagani perché ancora pensiamo di influenzare Dio (come i pagani facevano con un determinato dio o demone) con la costrizione o con la preghiera.
Forse è tempo di rivedere l’immagine che abbiamo di Dio e il nostro modo di rapportarci con Lui; e i vangeli hanno cercato (inutilmente?) di spiegarcelo. Il nostro Dio è un Dio che nasce in una mangiatoia, al freddo, e non in un palazzo come si addice a un re potente o a un Dio che decide di scendere sulla Terra. Appena nato deve già scappare per non essere ucciso, e soprattutto non riesce neanche a difendere tutti i suoi coetanei innocenti, che vengono massacrati da Erode. Crescendo, dopo un primo momento di apparente successo, i più lo abbandonano e finisce la sua giovane vita inchiodato su una croce, come un criminale, lasciando i suoi seguaci in preda allo sgomento e preda di varie persecuzioni.
Che ce ne facciamo di un Dio così debole? Perché continuiamo chiamare onnipotente un Dio che non riesce a fare nulla per noi? Tanto vale buttarlo a mare, no?
Per l’appunto il Natale dovrebbe ricordarci ogni anno che Dio viene a noi come un bambino indifeso. È Lui, questo bambino indifeso, che chiede a noi: “Dove siete davanti ai mali del mondo? Cosa fate dopo aver visto quei bambini dell’Ucraina e del Medio Oriente morire di fame, di freddo o di ferite, o quei tranquilli cittadini di Valencia morire annegati per una pioggia che sembrava il diluvio universale, ora che non potete più dire di non sapere cosa succede laggiù, perché ogni giorno la televisione vi fa vedere cosa succede laggiù?”.
Certo, non è che ognuno di noi può risolvere i problemi del mondo, far scoppiare la pace in Palestina; ma qualche problemino lo può risolvere. È Dio che ci chiede a Natale: “cosa fai?” Non dobbiamo noi dire a Dio “Perché non fai?” Dio si aspetta cioè da noi la soluzione dei problemi. Non dobbiamo aspettarci che sia Lui a risolvere i nostri problemi.
E il giorno in cui dovremo rendere conto, Dio ci chiederà quanta vita abbiamo generato attorno a noi, e ci dirà che non bastano a giustificarci i libri che abbiamo letto, le dottrine in cui abbiamo creduto, o i muri che abbiamo realizzato per stare tranquilli, lasciando al di là dei muri quelli che ci disturbavano[2].
Siamo noi che facciamo brutto il mondo. Dio ha affidato la terra agli uomini, e sono sempre gli uomini che scelgono di fare le guerre, che distruggono per profitto l’ambiente e la natura si vendica con le sempre più frequenti siccità e alluvioni. Siamo noi che scateniamole guerre. Siamo noi che, davanti ai poveri, ci voltiano dall’altra parte. Siamo noi che facciamo brutto il mondo perché facciamo di solito prevalere il nostro egoismo. Il concetto che domina ancora nella nostra cultura è: l’Io deve negare il Non-Io, cioè l’alterità. Il concetto era stato focalizzato da Hegel, ma già da secoli l’Occidente aveva allegramente distrutto civiltà Non-Io perché riteneva che solo lui (cioè Io) aveva cultura, vera civiltà, vera religione, ecc. Per secoli l’Occidente ha ritenuto di essere il centro del mondo. E anche se il cristianesimo si è sviluppato in Occidente, non abbiamo ancora introitato il principio evangelico secondo cui Dio si manifestato in un uomo per dimostrare come si devono aiutare gli altri uomini, e ci dice: “Anche tu fai qualcosa; scegli la solidarietà che vuoi, ma poi fai. Sii tu prossimo di chi attraversa la tua strada”.
“Ma cosa posso fare?” si chiederà più di qualcuno.
- ad esempio, si può decidere che l’anno prossimo ti autotasserai in ragione dell’1% del tuo reddito, al fine di sostenere la realizzazione di opere di promozione umana;
- si possono sostenere delle adozioni a distanza;
- si può decidere che l’anno prossimo si dedicherà qualche ora di ogni settimana a delle attività di volontariato, nel campo che ognuno sente essere il più congeniale per lui (anziani, bambini, immigrati, ambiente),
- si possono ospitare in casa dei profughi o delle persone che hanno un parente in ospedale e non hanno soldi per stare in albergo.
La domanda, allora, va semplicemente rovesciata e non deve essere: “perché tu Dio non fai niente?” La domanda giusta è: “e tu che ti lamenti cosa fai? Sacrifichi qualcosa del tuo? T’impegni e ti fai carico di un piccolo, piccolissimo pezzetto di questo mondo?” Solo così questo diventerà un Natale vero.
È chiaro che questo bambinello nato duemila anni fa in una mangiatoia, anche se nascesse altre 2000 volte a Betlemme, ma non nascesse mai in casa nostra, renderebbe vana la sua venuta fra di noi.
Se da questo Natale verremo fuori almeno con questa convinzione ben scolpita nella nostra testa: Non ‘chi sono io?’ ma ‘per chi sono io?’, avremo celebrato un Buon Natale!
Mi piace concludere con questa profonda poesia africana, che sembra aver colto un’immagine di Dio ben superiore a quella di tanti sedicenti cristiani:
Solo Dio può creare,
ma tu puoi valorizzare quello che Lui ha creato.
Solo Dio può dare la vita,
ma tu puoi trasmetterla e rispettarla.
Solo Dio può dare la salute,
ma tu puoi orientarla e guidarla.
Solo Dio può dare la fede,
ma tu puoi essere testimonianza.
Solo Dio può infondere la speranza,
ma tu puoi restituire la confidenza.
Solo Dio può dare l’amore,
ma tu puoi insegnare a tuo fratello ad amare.
Solo Dio può dare l’allegria,
ma tu puoi sorridere a tutti.
Solo Dio può dare la pace,
ma tu puoi seminare l’unione.
Solo Dio può dare la forza,
ma tu puoi essere l’appoggio dello sconsolato.
Solo Dio è il cammino,
ma tu puoi indicarlo agli altri.
Solo Dio è luce,
ma tu puoi restituire agli altri la volontà di vivere.
Solo Dio può fare miracoli,
ma tu puoi essere quello che porta i cinque pani e i due pesci.
Solo Dio può fare l’impossibile,
ma tu puoi fare il possibile.
Solo Dio basta a sé stesso,
ma Lui preferisce contare su di te.
Buon Natale a tutti!
NOTE
[1] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano 1969, 27.
[2] Verdi L., Mendicanti di luce, ed. Fraternità di Romena Pratovecchio (AR), 2014, 56.