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Il vescovo maya, la messa di nozze, il talamo della croce


di 

Stefano Sodaro

 

La presenza del Papa in ospedale, così intensamente familiare e feriale, umile, semplice, prossima alla comune ordinarietà di ognuna ed ognuno di noi, scevra da ogni paludamento di ritualismo autocompiaciuto – sino a battezzare un bambino con quella immediatezza che accompagna, appunto, l’irruenza amorosa di ognuna ed ognuno di noi -, questa desacralizzazione di qualunque, peraltro blasfemo, trionfalismo pontificale ha gettato nella disperazione le folle (ahinoi, sono tali, sì) di suoi oppositori e avversari. Sono in tanti e in tante, sì. A destra e a sinistra. 

A destra perché ha liquidato il “Vetus Ordo”, a sinistra perché sarebbe occultamente artefice di non si capisce bene quale congiura antiprogressista, dagli abusatori non sufficientemente puniti – con il massimo della pena, forse anche capitale, chissà – alle mancate riforme intraecclesiali. 

Tutti hanno qualcosa contro Francesco. Va così.

Eppure, se solo si seguisse un attimo con meno strepito le vicende di questo passaggio della storia della Chiesa, ci si accorgerebbe che, da qualche parte, lontano o anche piuttosto vicino a noi, stanno germogliando novità impensate, decisamente primaverili.

Ad esempio, i Vescovi messicani stanno per presentare proprio al Papa un documento, ben articolato, che inserisce elementi della cultura indigena maya nel rito della Messa. Se si conosce un po’ lo spagnolo e si vuole avere un’idea di che cosa ne pensino gli antifrancescani si può leggere qui. Se invece si vuol rimanre al dato oggettivo – sempre masticando almeno un po’ di spagnolo -, ci si può fare un’idea qui.

Una delle foto che compare sopra il testo del presente editoriale fa riferimento, a propria volta, a questa notizia.

Si tratta dell’ordinazione di sette diaconi in Perù, avvenuta ormai quasi un anno e mezzo fa, ma che dà il senso profondo di come possano parlare la liturgia ed il ministero ordinato nei contesti concreti di vita delle persone, dei popoli, dei territori e delle comunità. Sette diaconi del popolo Achuar, che verosimilmente poco sembrano avere in comune con una certa leziosità cerimoniale che invece sovente accompagna le presenze dei nostri diaconi, permanenti o transeunti, dentro gli spazi celebrativi.

Peraltro un’altra foto, sempre posta qui sopra, raffigura un diacono che, issato sopra ad una processione, non si capisce se stia seguendo “autorevolmente”, per così dire, la statua della Vergine Maria o se sia una statua anch’esso, essendo, in tal caso, ad ogni modo assai singolare che di un diacono si tratti, come attesta la stola indossata obliquamente.

E le donne maya che offrono l’incenso? Appartengono proprio al nuovo rito della celebrazione eucaristica elaborato, in particolare, dalla Diocesi di San Cristobal de las Casas – quella cui fu impedito dal Card. Ratzinger di procedere a nuove ordinazioni diaconali, visto l’alto numero già presente, di molto maggiore a quello dei presbiteri, di diaconi indigeni, fino all’arrivo al soglio di Pietro di Francesco, che fece venire meno il divieto. E, le donne turiferarie, somigliano molto, almeno così pare al sottoscritto, alle monache di Bose quando compiono il medesimo ministero, circondando l’altare della chiesa monastica con l’offerta rituale, quasi danzante, del soave profumo.

Ancora.

È di poco più di un mese fa la notizia che la celebrazione della Settimana Santa in Guatemala è stata riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità.

Ma le novità avvengono anche a casa nostra. 

Abbiamo dedicato lo scorso numero all’ordinazione del nuovo vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che entrerà in diocesi domenica 23 aprile. È la prima volta – da decenni e decenni – di un parroco che diventa vescovo del capoluogo giuliano. Nessuno dei suoi tre più recenti predecessori lo era. Qualcosa vuol dire? Pensando allo stile pastorale di Francesco, che l’ha nominato, saremmo propensi a dire proprio di sì.

E mentre il solito, qui sottoscritto, direttore di questo giornale viaggiava la scorsa settimana verso Cremona, leggeva tutto d’un fiato un romanzo di Federico De Roberto, intitolato La messa di nozze e pubblicato nel 1911, in cui – chiedendo scusa per lo spoiler – il matrimonio della donna amata con il proprio legittimo consorte diventa, apparentemente in modo del tutto assurdo ed inconcepibile, vincolo indissolubile e sempiterno anche con l’amante di lei, per determinazione fermissima di costei, il cui pensiero resta impenetrabile invece all’uomo che sperava di poter prendere il posto dello sposo ufficiale già designato. Bella storia. O brutta, dipende da come ci si pone.

Qualcuno e qualcuna, non più in tenera età, ricorderà forse un filone devozionale imperniato sulla retorica del “talamo della croce”, appannaggio di una spiritualità secondo cui il Divin Salvatore si unì ad ogni donna ed ogni uomo, redimendoli, proprio con la sua morte nel supplizio del Golgota. 

Un simile “matrimonio”, nel suo carattere paradossale, forse evoca in qualche modo – mutatis mutandis et absit iniuria verbis - quello romanzato da De Roberto. 

La dimensione “matrimoniale” della vita fuoriesce dai rigidi binari del rito nuziale, così come il battesimo si può amministrare senza riti, addirittura anche da parte di un non cristiano o non credente, nel reparto oncologico di un ospedale.

Quale “compito per la Settimana Santa” possiamo autoassegnarci dunque? Ci permettiamo un consiglio di lettura, per avviare un “processo” rigenerativo anche di questo nostro stesso settimanale, così come delle sue rubriche e degli interventi che vi compaiono. 

La lettura è quella del testo teatrale di Ignazio Silone L’avventura d’un povero cristiano, di cui ricorrono nel 2023 i 55 anni dalla sua pubblicazione.

Quel testo potrebbe diventare, per rodafiane e rodafiani interessate/i, una specie di occasione di “sacra rappresentazione”, in zona peraltro del tutto laica, con implicazioni di variabile intensità (dunque anche di eventuale “massima intensità”). Ma ci torneremo con calma.

Le emozioni pasquali, di una Pasqua ebraica che inizia alla sera di mercoledì prossimo e di una Pasqua cristiana tra una settimana esatta, sono troppo coinvolgenti per riuscire ora, adesso, a fare anche una semplice sintesi di ciò che portiamo in mente e in cuore.

In ogni caso, ci attende la Pasqua. La prospettiva è entusiasmante. Per chiunque. In particolare, per chi ama, matrimonio o no.

Ed intanto: buona Domenica delle Palme.