Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Inferno

di Dario Culot


Plastico, in tre sezioni, che si trova nel palazzo di Erode a Gerusalemme, dell’orografia della zona di Gerusalemme, priva di edificazioni; il primo avvallamento nord-sud (a sx) è la valle della Geenna; il secondo avvallamento centrale è la valle Tiropeion (trasformata nel cardo da Adriano e ancora oggi via principale della città vecchia); il terzo avvallamento (a dx), che alla fine s’incrocia con la valle Tiropeion, è la valle del Cedron (Gv 18, 1); attraversando la valle del Cedron  e proseguendo ancora verso est (a dx) s’inizia la salita al Monte degli ulivi (Gv 18, 1)i; scavalcato il Monte degli ulivi comincia il deserto. Il Tempio sarà costruito a est, sopra la valle del Cedron, su un terreno acquistato da re Salomone. - (foto di Dario Culot) 

Dell’Inferno, di Satana e della differenza fra diavoli e demoni avevo già parlato qualche anno fa su questo giornale. Vorrei però tornare sull’argomento con qualche ulteriore ragionamento, fermo restando che la dottrina cristiana imperterrita parla di giudizio, di condanna con conseguente precipitazione nel luogo di dannazione: un abisso di fuoco e fiamme dove si paga in eterno anche per un solo peccato mortale (n. 1035 Catechismo).

Vediamo però come i testimoni di Geova negano con notevole razionalità l’esistenza dell’inferno, richiamandosi sempre alle Scritture,[1] e ricordiamoci che per papa Benedetto XVI il vangelo è l’unica identità autorizzata per i cristiani, aggiungendo opportunamente che essa va ripulita di ciò che solo apparentemente è fede, mentre è mera convenzione e abitudine[2]. Quindi non è possibile costruire una dottrina sull’inferno magari attingendo a visioni di santi o visionari.

Certamente, dicono i testimoni di Geova, Dio punirà i malvagi (Is 3, 11), ma già san Paolo (2Ts 1, 9) non parla di fuoco eterno, bensì di una rovina (distruzione), che non dà alcuna prospettiva di vita futura; siamo alla seconda morte di cui parla più volte l’Apocalisse (Ap 20, 6; 20, 14; 21, 8)[3]. Nella Genesi poi, quando Dio proibisce ad Adamo ed Eva di mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male, cosa minaccia in caso di disobbedienza? Forse l’inferno eterno? No, la morte (Gn 2, 16-17). Quando un genitore proibisce qualcosa al figlio, lo avverte di quale sarà la punizione in caso di disobbedienza: “Se fai questo, ti arriverà uno sculaccione!” Eppure Dio non li ha mai preavvisati che con la loro disobbedienza avrebbero condannato l’intera razza umana a nascere nel peccato, mentre loro stessi sarebbero bruciati all’inferno per l’eternità. Neanche dopo la loro disobbedienza Dio menziona la condanna dell’inferno, ma dice solo che torneranno ad essere polvere (Gn 3, 19), esattamente com’erano prima della creazione: la punizione è chiaramente la morte, la scomparsa definitiva. Ma allora Dio avrebbe imbrogliato Adamo dicendogli che tornava nel nulla da cui era uscito, quando invece lo aspettava un bell’inferno infuocato che mai l’avrebbe consumato e l’avrebbe fatto soffrire per l’eternità. Anche nel Salmo 37, 9 Dio proclama che i malfattori saranno stroncati, mentre i buoni vivranno per sempre. Stroncare vuol dire sempre distruggere una volta per tutte, non farli torturare nel fuoco eterno.

Vi sembrano del tutto insensate queste considerazioni dei testimoni di Geova? A me, no.

Vediamo ora la dottrina cattolica: al pari dei primi esseri umani (Adamo ed Eva) che non hanno accettato di essere creature dipendenti da Dio, così – in precedenza - sarebbe avvenuto anche per un bel po’ di angeli. Il grande poeta inglese Milton ha descritto un Satana,[4] il capo di questi angeli ribelli, che preferisce essere re dell’inferno piuttosto che servo in paradiso:[5] siamo davanti a una scelta consapevole e orgogliosamente superba.

In effetti, ancora oggi secondo l’insegnamento del magistero, l’inferno è stato creato per gli angeli ribelli subito dopo il loro peccato (n. 391 Catechismo). Il libro di Enoch, testo apocrifo del I secolo d.C., parla espressamente della cacciata degli angeli ribelli al Cap. XXIX, 3-5, e al Cap. X, 1-6 parla dell’inferno, dove angeli cattivi tormentano senza pietà i dannati[6].

L’idea cattolica dell’inferno è stata fondata principalmente sui vari richiami (fatti anche da Gesù) alla Geenna,[7] ma tale collegamento è infondato come già spiegato nell’articolo sull’Inferno al n. 467 del 2018 di questo giornale. La Geenna[8] (cfr. anche foto iniziale) era semplicemente una delle tre valli su cui sorgeva Gerusalemme, ancora oggi visibile e trasformata in un giardino.

Nel secondo libro dei Re si legge che il re Giosia profanò il Tofet,[9] che si trovava nella Ge-hinnom, cioè nella valle di Hinnom (nome originario della Geenna, come spiegato alla nota 8), perché nessuno vi facesse passare ancora il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch (2Re 23,10), un elohim concorrente di Yhwh[10]. E quale brillante soluzione aveva escogitato questo re per porre fine a una tradizione antica di sacrifici umani che non si riusciva a sconfiggere col ragionamento razionale e con i decreti reali? La profanazione consisteva nell’aver astutamente deciso di trasformare la Geenna in discarica dove il fuoco e l’immondizia la facevano da padroni; e allora gli ebrei per non entrare in questo luogo che l’immondizia rendeva impuro, hanno smesso di praticare questo culto a Moloch[11].

Pertanto, già qualche secolo prima di Gesù, la Geenna era stata trasformata nell’inceneritore di Gerusalemme,[12] e lì si convogliava tutta l’immondizia. Gerusalemme per quell’epoca era una città abbastanza popolosa, e durante le presenze annuali di pellegrinaggio, raddoppiava e a volte triplicava i suoi abitanti. Tutti i rifiuti di questa città venivano buttati giù in questo burrone ed ivi bruciati per essere eliminati: ecco la “valle del fuoco” di Matteo 18, 9.

Dunque, parlando della Geenna, Gesù si fa capire, come sempre, con esempi concreti che tutti possono immediatamente intendere, perché tutti gli ascoltatori sanno cos’è la Geenna lì vicina: è il fuoco che non si spegne mai, perché viene alimentato di continuo dalle nuove immondizie. Va sottolineato che è il fuoco a non spegnersi mai, non l’immondizia a non consumarsi mai. Infatti, cosa fa il fuoco sempre acceso? Distrugge tutto quello che gli si butta dentro. Gesù non sta parlando di castighi eterni, di pene successive alla morte, di vendette divine[13]. Gesù non parla mai di un Dio vendicativo che proprio quando un uomo non si può difendere gode nel colpirlo. Gesù dà piuttosto un avviso preciso: “Guarda che se vivi per gli altri realizzi te stesso; se invece vivi per te stesso, quando muori, anziché ottenere quell’esplosione di nuova vita che solo la morte può dare alla tua esistenza (ti trasformi da chicco di grano in spiga – Gv 12, 24ss.), finisci là, nell’immondezzaio dove va a finire tutta l’immondizia; tu stesso diventi immondizia”; e ovviamente tutta l’immondizia brucia fino alla completa consumazione. Quindi, anche nel passo sopravvisto (Mt 18, 9) Gesù avverte che se certi comportamenti non vengono subito corretti portano l’uomo alla distruzione totale: l’avvertimento orale viene collegato all’immagine visiva di un fuoco inestinguibile, com’era quello che bruciava continuamente nella discarica di Gerusalemme[14].

Ma da dove, allora, si ricava l’idea che il fuoco inestinguibile non consumerebbe l’immondizia che lo alimenta, e quindi l’uomo-immondizia vi brucerebbe in eterno? Questo la Chiesa non ce lo spiega: si gioca sul termine fuoco eterno, che non finisce mai (Is 66, 24). Certo che il tutto è funzionale all’idea di un Dio che deve farci paura.  

Quanto al castigo di essere gettati nel lago di fuoco e zolfo di cui parla l’Apocalisse (Ap 19, 20), il testo non fa che riprendere la sorte toccata a Sodoma e Gomorra (Gn 19, 15-26: “il Signore fece piovere fuoco e zolfo e distrusse Sodoma e Gomorra con tutta la pianura e tutti i suoi abitanti”). Neanche questa, però, è una descrizione dell’inferno come l’intendiamo noi[15]. Come già sostenuto nell’articolo sull’Inferno del 2018, parlando di fuoco e zolfo, oggi sembra più ragionevole pensare che si faccia riferimento all’idea che in un simile stagno non potrà più germinare alcuna vita, per cui non c’è alcuna speranza di vita per tutte quelle persone che non hanno avuto abbastanza amore su questa terra per aprirsi loro stesse alla vita. Se uno durante la sua vita terrena ha seminato e comunicato vita, sarà questa a prevalere; se ha seminato morte, sarà questa a prevalere. Si avrà allora semplicemente la morte seconda e definitiva di cui parla più volte l’Apocalisse. L’inferno, dunque, non deve essere visto come una realtà simmetrica e negativa rispetto al paradiso, ma semplicemente come non poter aver parte alla vita che, dopo la morte biologica, continua in forma diversa. Il non esistere più è già una punizione, ed è la conseguenza del proprio comportamento, e non un atto positivo della giustizia punitiva di Dio che manda i peccatori a bruciare in un fuoco eterno.

Un ulteriore aggancio dottrinale per pensare alla dottrina dell’inferno si ha nel racconto del giudizio (Mt 25, 41.46: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli… al supplizio eterno”[16]), e in alcune lettere canoniche in cui l’inferno era la pena per gli angeli ribelli trasformati in demoni:[17] “... Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli negli abissi tenebrosi dell’inferno per esservi custoditi per il giudizio” (2Pt 2,4). Nella lettera di Giuda (Gd 6), invece gli angeli ribelli son tenuti in catene eterne, nelle tenebre, non nel fuoco. L’idea della ribellione degli angeli troverebbe dunque appoggio nella dottrina cristiana da un vangelo e dalle lettere di Pietro e di Giuda.

Del fuoco eterno si è appena parlato. E si è anche già detto nell’articolo sull’Inferno del 2018 che la seconda lettera di Pietro ha perso per strada proprio la parola inferno con le traduzioni più aggiornate. Oggi si legge: “Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giorno del giudizio.” A parte il fatto che Dio non li aveva precipitati e rinchiusi per bene, se questi ex angeli (ora diavoli) erano riusciti a evadere a loro piacimento, pur essendo incatenati come dice la lettera di Giuda, per venire a tentare gli uomini sulla terra, c’è qualcosa di ben più grave che non quadra: a differenza degli uomini che nell’inferno soffrono eternamente per il fuoco che brucia, tutti i diavoli sembrano trovarsi perfettamente a loro agio fra le fiamme, e se la spassano tormentando gli uomini dannati. Ma se l’inferno era stato creato innanzitutto per questi angeli decaduti, perché l’uomo che ha disobbedito a Dio viene castigato all’inferno con un fuoco inestinguibile che brucia e reca dolore, mentre il diavolo, che gli ha pure disobbedito e che a sua volta dovrebbe essere lì a scontare una pena, se la può godere sfogando la sua rabbia sugli uomini, e senza soffrire per le bruciature? Perché due pesi e due misure? Tanto più che la ribellione del diavolo appare assai più grave, perché – accettando obbedientemente l’insegnamento del magistero - la volontà e l’intelligenza dell’angelo sono superiori rispetto a quelle dell’uomo, e quindi anche la sua responsabilità è maggiore.

Ora, partendo dalla storia dell’angelo decaduto,[18] ci hanno insegnato che finisce all’inferno l’uomo che non ama Dio, che si ribella a Dio o che ne nega l’esistenza di Dio[19]. E questa pena eterna dell’uomo perché è avvenuta? Semplice. Avendo perduto l’originaria posizione di grande autorità e sapendo di essere ormai irrimediabilmente sconfitto, Satana odia e si oppone a Dio. Egli cerca di ostacolare in tutti i modi, sfigurare e distruggere le opere di Dio, ed odia vedere Dio onorato e servito. Siccome l'essere umano è il coronamento della creazione di Dio,[20] proprio per questo motivo Satana ha indotto il primo uomo e la prima donna a peccare (il cd. peccato originale), ribellandosi anch’essi a Dio, e fino ad oggi continua a tenere l’uomo schiavo del male (art. 407 Catechismo) con l’obbiettivo di distruggerlo, rovinarlo, e impedirgli di amare e conoscere Dio. Ma qui viene aggiunta dalla dottrina, senza però darne un’adeguata spiegazione logica, un ulteriore chiarimento: l’azione del diavolo e i danni che esso causa sono sempre permessi da Dio[21]. Ciò allora significa che, se solo Dio avesse voluto, nessun diavolo avrebbe potuto trascinare nessun uomo all’inferno. Ma non è stato detto che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi? (cfr. ad es. 1Tm 2, 1-4)[22]. E allora per salvare tutti, non era più semplice impedire ai diavoli di poter uscire dall’inferno e tentare l’uomo?

E poi, non sono incompatibili anche le due immagini forniteci dell’inferno? Se ci sono fiamme, non ci può essere ovviamente il buio delle tenebre. Allora all’inferno c’è chiaro o buio?

E da dove ci sono arrivate le immagini paurose sulle pene infernali? Beh! Per questo non occorre cercar lontano. Basta probabilmente pensare alle condizioni dei detenuti di allora.

Quando san Giovanni Crisostomo paragonava l’inferno alla peggiore delle miniere, ben sapeva delle polveri, degli odori gassosi, della sete che tormentava i condannati ai lavori forzati. E siccome nessuno sopravviveva a lungo in quelle situazioni terribili, parlarne come se quelle sofferenze avessero dovuto durare per l’eternità, doveva creare grande terrore.

Lo stesso Gesù, nei vangeli, fa più volte riferimento al buio, al pianto e allo stridor di denti. Ma se l’inferno è il regno delle fiamme l’ambiente e rischiarato e non ci può essere buio. E poi solo col freddo, non col caldo, si battono i denti. L’inferno è forse un passaggio continuo dal caldo al freddo e viceversa? In realtà queste idee del buio e del freddo (non delle fiamme) potevano nascere facilmente da quelle che erano le carceri di una volta: la gente che finiva in carcere finiva incatenata in stanze prive di finestre. Non si parlava all’epoca della dignità della persona umana e dei diritti dei carcerati. Dunque questa idea dell’inferno corrispondeva esattamente all’idea molto concreta del carcere di allora: buio, freddo, dove non si aveva neanche una coperta per coprirsi. La prigione era già l’inferno. Di sicuro i detenuti non avevano a disposizione docce e gabinetti, per cui vivevano fra i propri escrementi e presto erano infestatati da parassiti. Probabilmente da qui l’idea che nell’inferno saremmo tormentati anche dai vermi.

Evidente, dunque, che tutto quello che ci è stato insegnato è funzionale all’idea di un Dio che deve fare paura. Non a caso, fino alla mia generazione, la religione era un misto di certezze (legate ai chiari principi insegnati: la nostra condotta in terra ci avrebbe portato o in paradiso o all’inferno), speranze (per l’aldilà) e timori (per i peccati che minacciavano di farci precipitare alla fine all’inferno). Dunque, la paura legata al castigo eterno era la regola.

Papa Francesco ha detto recentemente di sperare che l’inferno sia vuoto. Subito c’è chi lo ha tacciato di eresia dell’universalismo: se tutti si salvano, se anche Hitler, Stalin e Pol Pot sono in paradiso perché si dovrebbe faticare per vivere seguendo l’insegnamento di Gesù? Si potrebbe però rovesciare il ragionamento: se l’unica cosa che c’impedisce di diventare feroci assassini è la paura del giudizio di Dio, forse abbiamo qualche problema anche nel come ci dichiariamo cristiani.

Sta di fatto che queste idee insegnateci dal magistero sono entrate talmente profondamente nel nostro immaginario, che ancora oggi molti credenti sono legati alla teologia del nostro sommo poeta Dante, il quale ci ha raccontato che il mondo è ripartito in tre piani: il cielo di sopra dove abita Dio, la terra abitata da noi al centro dell’universo, l’inferno di sotto dove finivano i dannati. Ma l’esistenza di questo luogo terrificante di tormenti[23] è stata già smentita da papa Giovanni Paolo II, il quale – durante una sua catechesi settimanale[24]- ha formalmente negato che l’inferno sia un luogo di pena, ma può essere inteso solo come uno stato o una situazione. Però il Catechismo non è stato ancora aggiornato per cui si parla di discesa in un luogo, come immaginava Dante.

Per di più si può ricordare come il vescovo cattolico Schillebeeckx, un’autorità nella teologia olandese, aveva già proposto come ipotesi plausibile la distruzione totale da parte di Dio degli empi,[25] anche se quest’idea era stata prontamente bollata di inadeguatezza all’insegnamento di Cristo così come è stato interpretato tradizionalmente dal magistero della Chiesa, perché costituisce verità di fede che i malvagi non siano annullati ed è eretico sostenere il contrario[26]. Ma seguendo il ragionamento del vescovo olandese, se la comunione con Dio è il fondamento della vita eterna, l’assenza di questa comunione, cioè la seconda morte (Ap 20, 6) è la fine di ogni esistenza: non avere parte alla vita eterna è già inferno, senza bisogno di essere torturati in eterno da un Dio vendicativo.

Ormai nessuno crede che Dio abiti sopra di noi in cielo e che la terra sia al centro dell’universo. Eppure continua a resistere l’idea dell’inferno, come luogo di sofferenza eterna fra i tormenti. Ma è difficile credere all’inferno quando non si crede più che Dio occupa il livello più alto (il cielo), da dove interviene a suo piacimento nel livello intermedio (la Terra), e alla fine chiederà conto di tutto a tutti, attraendo al piano più alto i buoni, e cacciando per l’eternità, al livello più basso (inferno), i cattivi. È chiaro che questo tipo di cosmologia, anche se per secoli è stata un punto fisso di conoscenza, oggi non è più credibile.

Fortunatamente anche la teologia cambia, e quello che non avevo ancora elaborato e compreso quando avevo scritto nel 2018, era contenuto nell’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris laetitia, del 19.3.2016, scritta ben due anni prima dei miei articoli. Si legge infatti al § 296: «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la richiedono con cuore sincero». E al successivo § 297 si aggiunge: «Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo».

Ora, ancorché papa Francesco non dica espressamente che – dopo che l’umanità ha preso coscienza che la Terra non è al centro dell’Universo e che Dio non abita in cielo - anche il terzo elemento (l’inferno) è abolito, mi sembra abbia giustamente osservato il presbitero e teologo Ferdinando Sudati[27] che all’inferno è stata data comunque una gran bella spallata, perché l’affermazione papale è l’esatto opposto di quanto ci è stato finora insegnato. Infatti parlando di «strada della Chiesa» e di «logica del Vangelo» significa che il papa è convinto che entrambe sono assai diverse da quanto finora ci era stato insegnato. Sicuramente, dopo aver dedicato tutto il suo pontificato a parlare di misericordia di Dio, sarà difficile per tutti continuare ad accreditare l’immagine di un Dio che ha bisogno dei ‘supplizi infernali eterni’ per punire i cattivi peccatori. Si deve concludere, afferma sempre il teologo Sudati, che sono stati gli esseri umani ad attribuire a Dio l’inferno, insieme a tante altre cose, nel tentativo di pensare a una compensazione per il male e le ingiustizie subite in questo mondo, almeno come forma di punizione per i responsabili. Se, in forza del progresso umano, morale e spirituale, si comincia a pensare diversamente di Dio e si comincia a provare imbarazzo per averlo fatto diventare il vendicativo e sadico istitutore di una pena eterna, è un buon segno.

In conclusione, non è possibile liquidare queste nuove idee dell’inferno, prospettate sia da alcuni cattolici che da non cattolici, che si scostano da quelle insegnate dalla dottrina tradizionale, come idee eretiche. Al contrario, dal punto di vista razionale sembra molto più irragionevole la tesi sostenuta dalla dottrina ufficiale, secondo cui il fuoco brucia in eterno, ma non consuma: questo non solo perché l’idea è contraria all’esperienza fisica di comune esperienza, non solo perché Dio-Amore infinito appare incompatibile con una pena infinita, non solo perché è difficile conciliare la seconda morte con una pena eterna (a proposito, avete mai sentito i preti parlare della seconda morte?), ma soprattutto perché questo tipo di punizione si aggancia a qualche parola testuale, ma non sembra proprio trovare inoppugnabile fondamento nei vangeli.




NOTE

[1]I peccatori bruceranno all’inferno?, “La torre di guardia”, 1.10.2012, 12 ss.

[2] Discorso del papa tenuto a Friburgo (Germania) nel 2011, riportato in “Famiglia Cristiana”, n. 40/2011, 34.

[3] Vedi, sulla seconda morte, quanto detto al n.467/2018 di questo giornale.

[4] Nella Bibbia satan non è un nome proprio, bensì è l’avversario; è uno che svolge una mera funzione: quella di ostacolare il cammino di chi lo incontra. Finita la funzione smette di fare il satan. Certamente non corrisponde al nemico principale di Dio, tanto che le disgrazie di Giobbe conseguono alla riunione tenuta in cielo. Lì, si dice espressamente che i partecipanti sono Yhwh, i figli di Dio e anche l’avversario o satana (Martini C.M., Il messaggio della salvezza. Corso completo di studi biblici, IV, Elle Di Ci-Leumann, Colle di Bosco (AT) e Torino, 1964, III, 536.). Se leggiamo il testo originale vediamo che sta proprio scritto che, fra i figli di Dio, c’è anche Satana (Virgulin S., Giobbe, ed. Paoline, Roma, 1980, 44s.), il che porta inevitabilmente a concludere che Satana è un angelo della corte celeste, incaricato di spiare le azioni cattive degli uomini facendone rapporto a Dio (Pope M.H., Job, The Anchor Bible, ed. Doubleday& C., Garden City (NY – USA), 1965, 10), che poi provvederà punirli.

Da dove viene l’idea del satana collaboratore di Dio (e non oppositore di Dio), che ispezionava il mondo per conto di Dio e poi fa la spia? Questa funzione di occhio del re (detto anche “l’orecchio del re” Enciclopedia storica l’Uomo e il tempo, ed. Mondadori, Milano, 1972, vol.4, 75.) viene dalla Persia, dopo che gli ebrei erano stati tradotti prigionieri dal re di Babilonia e in seguito liberati dal persiano Ciro, vincitore di Babilonia nel 539 a.C. Qui il funzionario detto “l’occhio del re” ispezionava le province e poi riferiva al suo re dei re sul comportamento dei vari satrapi, per premiarli o punirli. Questa idea amministrativa è stata in seguito trasportata dagli ebrei sul loro re: Dio (Pope M.H., Job, The Anchor Bible, ed. Doubleday & C., Garden City (NY – USA), 1965, 11),

Sulla terra, ogni re che si rispetti aveva una sua corte formata da personaggi di spicco, per cui anche Dio, “Re dei Re” (Ap 19, 16) è attorniato da una sua corte, in cui satana ha questa funzione di spicco. Deve aggiungersi che l’Israele rientrato in Palestina dopo essere stato deportato nel 538 a.C. a Babilonia, e lì rimasto per un paio di generazioni, aveva ormai assorbito molto della cultura del popolo che l’aveva dominato, tanto che al suo rientro in Palestina si era riorganizzato secondo l'uso orientale, perché quello ormai conosceva dopo varie generazioni vissute in esilio. Trasferendo questa idea dall’amministrazione statale alla religione, ecco il satana, ministro della corte celeste, che andava a spiare gli uomini sulla terra per poi accusarli in cielo.

A conferma di questo ampio assorbimento culturale, si pensi ai geni alati babilonesi, da cui nasce l’angelologia ebraica, sì che non sarà più Dio che si rivela, ma saranno questi geni che comunicano la sua volontà. Poi, con la traduzione greca, questi geni sono diventati àngheloi, e fino a noi gli angeli sono giunti con le ali.

Nel Libro dei Numeri si trova che l'angelo di Yhwh (espressione con la quale si indica l'azione di Dio stesso) si comporta come un satana contro l'indovino Balaam inviato dal re di Moab a maledire i conquistatori israeliti: «l'angelo di Dio si pose sulla strada come ostacolo [satana]... L'angelo di Yhwh gli disse: Perché hai percosso la tua asina già tre volte? Ecco io sono uscito a ostacolarti...» (Nm 22,22.32).

E Zaccaria: «Quindi mi mostrò Giosuè, il sommo sacerdote che stava davanti all’angelo di Javhè. Satana stava alla sua destra per accusarlo» (Zc 3, 1). Evidente che satana non è l’angelo-diavolo decaduto e castigato, ma svolge la funzione di pubblico ministero nel giudizio divino. 

Quando Gesù dice "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore” (Lc 10, 18) sta dicendo che questo ruolo di accusatore, di spione, è definitivamente terminato, perché Dio è misericordia.

[5] Milton J., Il Paradiso perduto, ed. 1674, libro I, 263.

[6]Il libro dei segreti d Enoch, leggibile in italiano su internet: www.viveremeglio.org/area_volumi_e_manuali/Cristianità.

[7] “Serpenti, razza di vipere, non sfuggirete al castigo della Geenna” (Mt 23, 33); “Chi dà del pazzo al fratello sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5, 22).

[8] Ge significa valle, Hinnòm è il nome di una famiglia proprietaria del terreno, e quindi Ge-hinnom, valle di Hinnom (Ricciotti G., Vita di Gesù Cristo, ed. Mondadori, Milano, 1997, 356) (Gs 15, 8), da cui Ge(h)enna.

[9] Nella Bibbia si dice a un certo punto che hanno edificato a Baal per bruciare nel fuoco i loro figli come olocausti a Baal. «Questo io non ho comandato, non ne ho mai parlato, non mi è mai venuto in mente». Perciò, ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali questo luogo si chiamerà valle dello Scannatoio (Ger 7, 31; 19,5-6), e non più Tofet (che significa crematorio; era un santuario, di origine pagana, situato appunto nella valle di Hinnom).

[10] Cfr. l’articolo Chi è il Dio unico del Vecchio Testamento, al n.526 del secondo semestre 2019 di questo giornale.

[11] Maggi A., I vivi non muoiono, relazione tenuta ad Assisi nel 2001, 10, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze.

[12]  Virgil R., Geremia e le violenze dell’amore, in Ricordati dell’amore, ed. Paoline, Milano, 2007, 59. Pulcinelli G., Il verme che non muore, “Famiglia Cristiana”, n.7/2012, 13. Ravasi G., Il verme che non muore, “Famiglia Cristiana”,  n.45/2012, 121.

[13] A onor del vero, in Ap 6, 10 e 19, 2 si parla proprio di vendetta di Dio. Significativo però è che in questo scritto Dio non è il Signore (Kyrios), ma il Padrone (Despotès), il che fa pensare che l’autore dell’Apocalisse sia più vicino al Dio sacerdotale della Bibbia che al Dio misericordioso dei profeti biblici e dei vangeli.

[14] Maggi A., Parabole come pietre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 98.

[15] Maggioni B., L’apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2012, 158.

[16] Ovviamente ci si può chiedere se il racconto del vangelo di Matteo riproduce esattamente quello che Gesù ha detto, oppure se è un testo ideato dall’evangelista. Ora, sappiamo che ogni evangelista ha il suo stile, e sappiamo che all’epoca non esistevano le registrazioni tanto che anche il papa emerito aveva ammesso che i discorsi di Gesù non sono precisi come trascrizioni da nastro magnetico (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 268.). Dal punto di vista storico, pertanto, non abbiamo la certezza che una sola frase riportata nei vangeli sia stata realmente pronunciata da Gesù. Del resto, gli evangelisti canonici, pur mettendo certe parole in bocca a Gesù, quasi mai asseriscono formalmente che quelle parole lui le pronunciò veramente. Solo dall’insieme di tutto il testo si ricava come l’evangelista (o meglio: la comunità) ha accolto il messaggio di Gesù.

[17] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 38 nota 24. 

[18]  Su questa asserita decadenza degli angeli rinvio al mio articolo al n.488 del 2019 di questo giornale.

[19] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 36.  Vedasi già San Cipriano, De oratione dominica, Tratt. IV,25: “il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è strato permesso da Dio, “così che ogni nostro timore e devozione e culto si rivolgano a Dio, dal momento che nelle nostre tentazioni niente è lecito al Maligno se non gliene vien data di là la facoltà”, in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto “Cyprianus Cathaginensis”, testo inglese o greco.

Però, la cosa più sorprendente del racconto matteano del giudizio finale, è che Dio non terrà conto della relazione che ciascuno di noi ha avuto con Lui, ma solamente della relazione che ciascuno ha avuto con gli altri; vale a dire, gli esseri umani con i quali abbiamo convissuto in questa vita (Castillo J.M., Teología popular, II,  Desclée De Brower, Bilbao (E), 2013, 114).

[20] Vedi però il mio articolo L’uomo apice della creazione?, al n. 705 del 2023 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-705-19-marzo-2023/dario-culot-luomo-apice-della-creazione).

[21] Ladaria L.F., L’uomo, in Catechismo della Chiesa cattolica, ed. Piemme, 1993, 699.

[22] In 2Pt 3,9 si legge che Dio non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il magistero spiega che Dio crea l’uomo libero e rispetta le sue decisioni, sì che è sempre l’uomo stesso che in piena autonomia può escludersi volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della morte, persiste nel peccato mortale rifiutando l’amore misericordioso del Padre (n.213 Compendio Catechismo della Chiesa cattolica).Anfare o meno all’inferno è dunque una decisione autonoma di ciascuno di noi. Potremmo però anche chiederci fino a che punto l’essere umano è veramente libero? Chi è nato in una famiglia violenta, che vive di stenti in un ambiente violento e depravato ha la stessa libertà di chi è nato in una famiglia sana e affettuosa, che lo ha educato amorevolmente?

[23] L’inferno, secondo gli artt.1033-1038, 1861 del Catechismo, è un luogo ultraterreno dove sono stati precipitati tutti gli angeli ribelli (declassati a diavoli, a partire dal loro capo Lucifero o Satana), e in loro compagnia finiscono anche tutti quegli uomini che, morendo, sono in stato di peccato mortale (ne basta uno!), non avendo per tempo ottenuto l’assoluzione della Chiesa.

[24] Giovanni Paolo II, udienza 28.7.99, catechesi sull’inferno, in www.vatican.va.

[25] Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 19 ss.

[26] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 88s.

[27]  Sudati F., Cristianesimo senza miti, in Una spiritualità oltre il mito a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2019, 138ss.




Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/