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Miriam Camerini a Trieste - foto di Gianni Passante



“Le nozze dell’Agnello”. A proposito di Papi



di Stefano Sodaro




In questi giorni, soprattutto in Italia, non s’è parlato d’altro che della morte e delle esequie dell’ex Papa Benedetto XVI, non più Pontefice a seguito della sua stessa rinuncia dell’11 febbraio 2013, ma rimasto – singolarmente – in Vaticano, anche dopo la nomina del suo successore, con tanto di veste bianca e nome ordinale non dismesso.

Che cosa è accaduto dal punto di vista simbolico? 

Vi è stata una evidente duplicazione delle “Loro Santità” – che proprio così avrebbero dovuto essere appellate qualora un eventuale interlocutore si fosse, secondo protocollo, rivolto congiuntamente ad entrambi i Vescovi. Fa obiettiva impressione.

Però andiamo con calma.

Chi è il Papa? Domanda da catechismo, forse però di non così immediata risposta: il Papa è il Vescovo di Roma. Punto.

E solo in quanto Vescovo di Roma gode – a norma di dottrina dogmatica cattolica – di primato universale ed infallibilità qualora si pronunci, come si dice, ex cathedra. Rimanendo inteso che tale pronunciamento non dev’essere mai presunto, bensì esplicitato chiaramente come tale. Vale a dire, in altre parole, che il Papa deve dichiarare in modo assolutamente chiaro di voler pronunciare enunciati infallibili affinché tali debbano essere considerati dalla Chiesa tutta, altrimenti l’infallibilità non c’è. Anche qui giova mettere un punto. Fine.

A capo.

Così, va da sé che due eventuali fonti di tali infallibili pronunciamenti non possono neppure concepirsi: sarebbe come dire che possa esistere una “doppia verità”, magari pure conflittuale. Qualcosa che – particolarmente nel contesto cattolico – mette orrore solo al pensiero.

Pertanto il Papa non può che essere uno e chi abbia liberamente rinunciato ad essere Papa tale non è più, sotto nessun punto di vista, nemmeno quello di un “emeritato”, che mantenga una qualche “aura pontificia”. Diversamente, infatti, da qualunque altro vescovo, una scissione tra il Vescovo di Roma ed il Papa non è possibile. Il secondo c’è in quanto c’è il primo: ed a nostro avviso, così come non può esistere un “papa emerito”, neppure può esistere un “vescovo di Roma emerito”. La – umilissima – proposta sarebbe di disciplinare piuttosto la rinuncia prevedendo la designazione dell’ex papa ad una sede titolare, senza più vesti simboliche improprie e nomi altisonanti. L’ex Papa torna ad essere un vescovo, “solo” un vescovo, come dev’essere.

Questo, tuttavia, nel nostro caso non è avvenuto e, per quasi dieci anni esatti, si è alzata una cortina fumogena, una vera e propria coltre nebbiosa, su chi fosse l’unico segno – anche e soprattutto simbolico, senza dubbio – dell’unità della Chiesa Cattolica, sottintendendo che ormai, da quell’11 febbraio 2013, essa dovesse in realtà avere un necessario, benché non troppo enfatizzato, riferimento bicefalo. E vi è un tale senso di orfananza dopo i funerali di Benedetto XVI dello scorso 5 gennaio che pare quasi si debba provvedere perché sia al più presto occupato il posto, ora vuoto, dell’Emerito. Diverso, certo, dal papa “effettivo”, ma altrettanto decisivo.

Come se ne esce?

L’uscita classica sarebbe quella di finalmente accettare un salutare “relativismo” in casa cattolica: i Papi possono essere un numero indefinito, le verità pure. Ma, come s’è accennato, il terrore assale ogni cedimento in tal senso. Proprio Ratzinger iniziatore di un “relativismo papale”? Sarebbe incredibile e persino offensivo. Dunque, niente da fare.

E allora?

Allora andrebbe individuato in un “principio gamico” il senso ordinatore della vita della Chiesa. Le nozze dell’Agnello, dell’Apocalisse.

Una tale diversa prospettiva fa sorgere nondimeno previi fondati sospetti nel momento in cui lo scivolamento dal simbolo alla realtà concreta possa integrare anche solo il rischio di un’orripilante discesa nell’inferno degli abusi, che molto spesso proprio tale ambiguità teorizzano, estorcendo consensi e corrompendo la linearità delle relazioni interpersonali.

Che cos’ha, però, il “principio gamico” che possa immunizzare da tale pericolo? Il capitolo 19 dell’Apocalisse canta, in forma poetica, lirica, così: “Sono giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta”. In greco: “λθεν γάμος το ρνίου, κα γυν ατο τοίμασεν αυτήν.” (si legge, più o meno: hèlthen ho gàmos toù arnìou, kài he ghynè hautoù hetòimasen heautèn).

Ebbene, non esistono nozze senza contratto. Non esiste contratto senza libero consenso delle parti che lo stipulano. E non esiste contratto che non possa e non debba divenire pubblico se su di esso si questioni o se vi siano diritti ed obblighi da far valere.

Questo aspetto “negoziale”, anzi propriamente “contrattuale”, del matrimonio è stato a lungo negletto (anche nell’approccio mentale del sottoscritto), senza capire che invece è garanzia di libertà. Senza contratto non c’è libertà, l’esatto contrario di ciò che si può pensare.

Il passaggio ulteriore è però ancora più delicato e richiede un attimo di riflessione. Ogni contratto ha infatti in sé una – chiamiamola così – “potenzialità matrimoniale” (o “gamica”, meglio), anche il contratto di fornitura dell’energia elettrica: perché le prestazioni tra esseri umani – quel “rapporto giuridico patrimoniale” di cui parla l’art. 1321 del codice civile definendo la nozione di “contratto” e rinviando inevitabilmente così ad un aspetto non patrimoniale – non possono essere mai disgiunte da un coinvolgimento meta-patrimoniale, extra-giuridico, ultra-giuridico, così come accade con ogni azione che una persona compie.

Se dunque la veste bianca del Vescovo di Roma fosse da interpretarsi come una veste nuziale – non diversamente del resto dall’anello episcopale -, bisognerebbe poi in effetti “solo” mettersi d’accordo su che cosa sia per noi, per ognuna ed ognuno di noi, un “contratto di nozze”. Con uno sposo? Con due? Con tre? Senza alcuno sposo formalizzato in tale ruolo, bensì con altri status ed altre denominazioni? Un compagno ed uno sposo?

Ancora: ma si può sposare il proprio direttore spirituale? Sì? No?

Fuori di provocazione: interpretare il diritto canonico come parabola di un diritto matrimoniale che continuamente evolve, come un “contratto di nozze” da porre sempre in verifica, e casomai riscrivere, potrebbe davvero districare la matassa, anche se con esiti che già si possono intuire assai sorprendenti.

Altro è “erotizzare” la vita, altro è “matrimonializzarla”, “gamicizzarla”.

Senza consenso, ahinoi, può comunque esserci eros, ma senza libero consenso non possono esserci nozze di alcun tipo.

Dire “nozze” è più ampio del dire “matrimonio” – appunto -, perché la parola greca “γάμος” (gàmos) ha una ricchezza semantica tale da poter descrivere con essa anche il solo banchetto festoso assieme per un legame affettivo quale che sia.

Vi sono abiti bianchi da indossare per ciascuna e ciascuno di noi.

Alla figura del Papa non ci si riferisce come ad un’autorità cui si deleghi pensiero, critica, intelligenza, approfondimento dei misteri del sacro. Il vescovo di Roma non è una figura esoterica.

Ma i Vangeli sono quattro – non uno – e gli Atti degli Apostoli presentano una pluralità di percorsi ecclesiali così intensa da richiedere un semplice “segno di unità”, che quel Vescovo è.

Tutto qui.

Spesso proprio ciò che è semplice è più ostico ai semplicisti di ogni rango e misura. Così come la complessità è aborrita da chi ama la complicazione.

Per quanto riguarda il Papato, attendiamo allora serenamente gli eventi e intanto auguriamoci: buona domenica. È il giorno delle nozze.