Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Natale 2023


di Dario Culot

Trilussa - foto di Mario Nunes Vais (1856-1932) - Collezione del Fondo Nunes Vais: http://www.fotografia.iccd.beniculturali.it/inventari/fondo/57 - tratta da commons.wikimedia.org


Circa un secolo fa, finita da poco la Prima Guerra Mondiale, il poeta romano Trilussa cercava di scuotere le coscienze con questa poesia, intitolata Er presepio:

Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente...

Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.

Passato circa un secolo, alla fine di questo travagliato 2023, non sembra che siamo migliorati di molto: forse, rispetto alla grande guerra, è cambiato il fatto che oggi, nelle guerre, muoiono più civili che giovani militari. La guerra senza fine in Ucraina, l’attacco di Hamas[1] a Israele e la ritorsione israeliana su Gaza, il sommovimento in Africa (specialmente nell’area del Sahel), la tensione in Asia fra Cina e Stati Uniti (per Taiwan) e fra Cina e altri Stati che si affacciano sul Mar Cinese, l’attacco – anzi l’operazione speciale contro il terrorismo (stessi termini usati da Putin per aggredire l’Ucraina) - dell’Azerbaigian all’Armenia; per non parlare dei problemi ambientali, climatici ed energetici, e del pericolo prossimo futuro per la sempre maggior ricerca di acque potabili e di terre rare. In sintesi, sembra che ancora non siamo stati ancora capaci di ascoltare quella voce del presepio…

Se poi guardiamo all’ambito religioso, sembra che per la Chiesa ci sia sempre meno spazio,[2] che la vecchia Chiesa si stia sgretolando, ma la nuova non è ancora venuta alla luce. «Crisi» ha scritto quest’anno Martin Conway, autore del libro L’età della democrazia, ed. Carrocci, «è un termine a cui si fa ricorso quando non si riesce a vedere che cosa sta nascendo». In effetti non sappiamo come sarà la Chiesa del futuro. Certamente non bastano riti esteriori (in particolare di preghiere e digiuni) per accogliere il regno di Dio, non basta fare il presepio;[3] si richiede un profondo cambiamento di condotta che forse neanche il sinodo riuscirà a far valere. Non sappiamo, infatti, se l’anno prossimo il sinodo riuscirà a rompere il clericalismo (indicato dallo stesso papa come uno dei mali della Chiesa) e il secolare patriarcato. Forse succederà come per gli altri tre sinodi generali celebrati che, “con tutto il loro sfarzo ed il loro eccessivo spreco, non hanno portato ad alcuna novità fondamentale, a nessun progresso decisivo”. In effetti, conclusa la fase del 2023 di questo quarto sinodo, nulla fa presagire che il definitivo incontro dell’anno prossimo, romperà con la radice principale dei mali della Chiesa: il clericalismo. Il clericalismo che relega la donna in seconda fila, che reprime il corpo e la sessualità in generale e l’omosessualità o le differenze di genere in particolare. Il clericalismo che si trasforma in dominio, in abusi ed aggressioni anche sessuali. Il clericalismo che divide e separa, il clericalismo che si oppone alle parole di Gesù: “Non ci siano tra voi padri, né maestri, né signori, perché siete tutti fratelli e sorelle”. Ammonimento vano, dopo duemila anni.

In effetti la frustrazione dell’ambiente femminile per il perdurare del patriarcato, gli scandali sessuali nel clero, gli scandali economici dimostrano ampiamente l’incapacità di controllare coloro che avrebbero dovuto essere i controllori del gregge. Forse il gregge oggi chiede chierici senza ricchezze, senza potere e soprattutto senza pretesa di possedere il monopolio della verità. Molti pastori, però, continuano ad essere aggrappati come cozze al passato, fermi nelle loro convinzioni secondo cui solo mantenendo le pregresse istituzioni s’impedirà il tracollo della Chiesa. Quindi “Resistere! Resistere! Resistere” senza rendersi conto che, agendo così, forse si sta resistendo allo Spirito santo. Forse la Chiesa, finalmente consapevole di non possedere più la verità, ma che continua ad escludere tanti altri, in futuro dovrà presentarsi come una semplice viandante che si fa compagna di strada di tutti, per arrivare a generare vita dentro e attorno a sé. Già il solo enorme compito di testimoniare l’amore in un mondo di individualismo egoista e di ingiustizia potrà tener pienamente occupati i cristiani per i prossimi mille anni[4].  Non credo invece che resistendo si ovvierà alla disaffezione verso le messe, al calo della partecipazione ai sacramenti, al sorgere di piccole comunità di base insofferenti alla rigida gerarchia.

È stato chiesto a frate Alberto Maggi perché l’eucaristia, questo momento così bello, entusiasmante, questo momento in cui si sviluppa un crescendo di felicità e di gioia è stata imposto sotto pena di peccato mortale. La risposta è: perché l’abbiamo trasformato in una noia mortale; il sacrificio della messa è spesso in realtà un sacrificio per i partecipanti. Per cui, senza voler far polemica, frate Maggi non si meraviglia che la gente non vada più in chiesa; si meraviglia di quelli che ci vanno ancora perché assistere a certe eucaristie celebrate da freddi funzionari del sacro, che non mettono nessun sentimento, è un vero sacrificio. Quando il celebrante non mette alcuna passione in quello che fa, quando l’omelia è un insulto all’intelligenza, è legittima difesa scappare via dalla messa.

Pensare allora che basti qualche ritocco al sistema piramidale dell’istituzione è mera illusione, perché nel suo insieme il gregge non si sente più rappresentato dal sistema dei pastori (il clero), meccanismo che pur ha funzionato per secoli. La perdita di autorità da parte del clero è oggi indiscutibile, ma assai peggio è la perdita di autorevolezza.

Cosa possiamo fare davanti a un mondo così caotico, disuguale, instabile, quando ci sentiamo tutti così impotenti, privi di certezze e incerti nell’orientarsi?

Mentre tutti sono ormai concordi che in natura tutto muore, tutto si decompone assorbito dalla natura stessa, noi uomini (che abbiamo paura della morte) abbiamo appreso dal cristianesimo che non siamo soggetti a questa legge naturale, siamo destinati a durare in eterno, godendo di un trattamento particolare: beati a godere in paradiso, o dannati a soffrire all’inferno. Ma a ben vedere, anche in natura nulla muore veramente perché tutto si trasforma. La natura è il più grande tecnico di riciclaggio mai visto al mondo.

Nell’episodio del buon samaritano, Gesù ci ha detto che Dio ci è prossimo. Certo, nell’ordine ontologico Dio non è il nostro prossimo. Egli è altro, ma si approssima a noi nel nostro prossimo. Insomma, c’è da abbandonare il Dio dei miracoli, delle apparizioni. Dio sta più facilmente nel nostro prossimo, in colui che incrocia la nostra strada. Di Dio possiamo conoscere solo i tratti umani che vediamo nel nostro prossimo.

Eppure in noi prevale sempre l’augurio di non essere disturbati dal prossimo (cioè da Dio), di essere disturbati il meno possibile dagli altri (per quanto, questi altri siano stati spesso disturbati da noi in passato, da noi uomini della tribù bianca, come dice padre Zanotelli). Ma in realtà Dio non ci chiede di fare cose strabilianti, tipo fare scoppiare la pace nel mondo e far terminare tutte le guerre (dalla Palestina all’Ucraina). Ci chiede solo di prenderci cura di chi incrocia la nostra strada.

Quante volte anche noi, come Elia, vediamo attorno solo deserto. Quante volte il senso dellinutilità, dello scoraggiamento, ci fa dire: “È tutto inutile! Non cambia nulla. Non vale la pena esser profeti, non serve a niente fare i testimoni del Vangelo. C'è solo deserto” (1Re 19, 4).

Ma anche nel deserto basta a volte un po’ di pane e di acqua, il minimo. E poi continuare a camminare, senza attendersi dei miracoli. Non permettiamo che la voce preziosa del Natale si perda nel deserto silenzioso dell’indifferenza, perché l’indifferenza è peggio del male, e come diceva Marthin Luther King, non si devono temere i pochi figli delle tenebre, ma ci si deve preoccupare dell’ignavia dei tanti figli della luce, che vedono, ma preferiscono fare finta di non aver visto.

Almeno per Natale prendiamoci cura di una persona che è stata lasciata sola. Allora, soltanto allora, faremo nostri i desideri e i sentimenti di Dio.

In parole povere, proprio come dice il Vangelo di Giovanni (Gv 1, 5) non si tratta di combattere le tenebre, perché in tale lotta impari saremmo sicuramente perdenti. Di notte, in una stanza buia, le tenebre sono talmente spesse da sembrare invincibili; eppure basta accendere una semplice candela, e quel piccolo lumino sarà sufficiente per far sparire la grandezza delle tenebre. Inutile maledire l’oscurità, additare vari colpevoli, veri o presunti: vediamo piuttosto di accendere una candela. Perciò non occorre diventare fari nel mondo o sole dell’avvenire: per migliorare il mondo basta a volte un piccolo sforzo. Basta solo cercare di allargare di poco, per quello che siamo capaci, il cono di luce.

Buon Natale!




NOTE

[1] In Occidente si considera Hamas un gruppo terroristico perché gli artt. 2-15 del suo Statuto indicano come fine la distruzione/eradicazione degli ebrei dal territorio “perché sono nemici di tutti i musulmani e sono un pericolo per l’intera umanità”.

Hamas non difende i palestinesi, ma intende distruggere Israele, e il fatto è confermato dall’attacco del 7.10.2023, quando ha preso direttamente di mira i civili (vecchi, donne, bambini) e non solo i militari. Quando un gruppo ha come scopo quello di creare terrore in un altro Stato, uccidendo volontariamente i civili, viene qualificato come gruppo terrorista.

Curioso come Khaled Meshal, uno dei capi di Hamas residente a Dubai, intervistato dalla tv Al Arabiya, abbia spudoratamente detto che Hamas non uccide di proposito i civili, a differenza di quello che fa Israele, sebbene la tosta intervistatrice araba gli avesse anticipato che l’Occidente ha ben visto le evidenti violenze perpetrata da Hamas contro i civili israeliani (cfr. Rasha, Le domande scomode di una donna coraggiosa, “Famiglia Cristiana” n.46/2003, 20).

Non è che lo Stato d’Israele sia irreprensibile, visto che il ministro dell’attuale governo Itamar Ben Gvir ha detto pubblicamente che si dovrebbero armare i coloni israeliani (illegali) della Cisgiordania per espellere gli abitanti palestinesi (legali) di quest’ultima.

[2] In occidente sempre meno persone credono all’istituzione Chiesa. In passato quasi tutti credevano alla Chiesa, forse perché era la fonte unica dell’informazione, mentre noi oggi abbiamo informazioni multiple per cui siamo relativisti più che assolutisti. E se la Chiesa crede ancora di essere il centro del mondo, come il nucleo sta al centro dell’atomo, dovrebbe ormai rendersi conto che sempre più particelle sub-atomiche stanno fuggendo da questo centro.

[3] E a proposito, per quegli insegnanti che dicono che il presepio non va fatto nelle scuole per non offendere i bambini musulmani, ritengo che questi insegnanti dovrebbero essere dichiarati inidonei all’insegnamento perché camuffano sotto nobili principi quella che è solo una loro avversione per la Chiesa; in realtà l’islam considera la Madonna una santa e Gesù un messaggero di Dio (cfr. ad es. Corano, sura 5, 75) tra i più prossimi a Dio (Corano, sura III, 45s), e un’intera sura (la n.19) parla e magnifica Maria.

E quanti sanno della devozione mariana diffusa nell'Islam, dei pellegrinaggi di tanti musulmani ai santuari mariani eretti da cristiani in India, Sri Lanka, Vietnam? (Cfr. anche per le ubicazioni dei santuari Gheddo P., La sfida dell'Islam all'Occidente, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007,125ss.).

Quindi con il loro rifiuto, ipocritamente doloso o quanto meno dovuto a totale ignoranza della religione islamica, questi insegnanti, che si atteggiano a difensori di alti principi di convivenza, offendono sia i cristiani che i musulmani. In entrambi i casi questi insegnanti dimostrano la propria inidoneità all’insegnamento.

Trovo poi curioso vedere come da una parte, in Italia, ci sono quelli che temono di perdere l’identità italiana per l’arrivo di stranieri con le loro culture, e dall’altra sembra che siamo i primi a disprezzare le nostre tradizioni e la nostra stessa cultura. Come ha detto il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani il vero problema “non è tanto nella forza dell’islam, quanto nella debolezza del cristianesimo in Europa”, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/07/20/islam-europa-religione-cristiana-koch-schonborn___1-v-144632-rubriche_c227.htm.

[4] Sudati F., Cristianesimo senza miti, in Una spiritualità oltre il mito a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2019, 160.