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Tra Gerusalemme e Trieste, tra Magnificat e Benedictus


di Stefano Sodaro


Ricordi di Natale quando altri decidevano tutto per conto tuo. Decidevano cosa tu dovessi mangiare, dove andare, chi vedere, quante ore dedicare ad incontrare gli amici, quanto alla liturgia in chiesa, quanto al silenzio e quanto alla confusione, quanto ai regali e quanto al senso di colpa per averli ricevuti, se andare al cinema parrocchiale o a quello laico, se potessi fare tardi fuori casa oppure no.

Poi la vita prosegue, evolve, le condizioni mutano, proprio si rovesciano, cambiano del tutto e ti ritrovi, decine e decine di anni dopo, ad avere due possibili atteggiamenti, due posture: benedizione per il tempo nuovo, inedito, non già vissuto che segna il tuo presente. Oppure trasformazione di quei ricordi allocentrici in nostalgia.

C’è una grazia del presente che spesso la devozione religiosa espunge, riconducendola al passato o proiettandola in un inimmaginabile futuro.

Capita di non ascoltare quasi mai, da diversi mesi, una parola sapienziale sulle condizioni di questi nostri giorni ancora segnati dalla malattia, dalla diffusione del virus, come se i saperi religiosi fossero sprovvisti delle “parole per dirlo”, come se il nostro quotidiano risultasse liturgicamente un poco scabroso, quasi osé.

Benedire queste nostre giornate, adesso, ora, sembra quasi una provocazione, tra le tensioni negazioniste anti-vax ed il profluvio torrentizio di non discorrer d’altro che di farmaci e misure sanitarie di contenimento dell’epidemia.

Invece noi siamo sintesi di memoria, di concretezza attuale e di speranza. Viviamo di fiducia nel presente e nel futuro e, se lo vogliamo, sappiamo usare un salutare sguardo critico – i maestri e le maestre spirituali direbbero “di discernimento” – sul nostro passato, che non sempre ha preparato il nostro oggi ma che inevitabilmente lo ha preceduto.

Ed evitando di fare troppi girotondi, riconosciamo che il tema dei temi attorno al quale tutto si decide e per il quale daremmo tutto di noi stesse e noi stessi è l’amore. Ma anche qui la parola è come se proponesse una biforcazione: l’amore individualizzato, parcellizzato, atomizzato, della coppia di due persone, oppure un amore che vede in coppia niente poco di meno che il divino e l’umano, il personale e il collettivo, lo spirituale e il politico, il piacere e la condivisione, il pianto e il riso.

Il nostro settimanale e l’associazione culturale “Casa Alta” propongono, per il prossimo mercoledì 29 dicembre, con inizio alle ore 18:30, sulla piattaforma Zoom, un momento che assume i vestimenti dell’ “evento storico”, nel senso che due giovani studiose, Miriam Camerini e Claudia Milani, parleranno, nel nostro contingente esserci in questo tempo, di antichi testi di benedizione, presenti nel Vangelo di Luca, secondo due prospettive – non sempre necessariamente coincidenti e non sempre necessariamente distanti -, quella cristiana e quella ebraica.

Miriam sarà a Gerusalemme, Claudia a Trieste. Uniremo due città lontanissime, che vivono però entrambe la propria collocazione ad Oriente, laddove sorge il sole e, soprattutto, testimoniano l’impossibilità di dire “aut aut” invece che “et et” per continuare a nutrire fiducia nei nostri giorni.

Le dinamiche d’amore hanno coinvolto anche Maria di Nazaret, indicata da Luca come autrice del “Magnificat”, e Zaccaria, marito di Elisabetta, incredulo davanti ai possibili cangiamenti di quanto sembri disperatamente definitivo, eppure poi capace di intonare il “Benedictus”.

Si legge al n. 16 del documento Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50° anniversario di Nostra ætate della Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani (10 dicembre 2015): «La separazione della Chiesa dalla Sinagoga non avvenne però bruscamente, ma, sulla base di recenti conoscenze, sembra che si sia protratta fino al terzo o quarto secolo. Ciò significa che molti giudeo-cristiani dei primi tempi non percepivano come contraddittorio vivere conformemente ad alcuni aspetti della tradizione ebraica e confessare Gesù come il Cristo. Soltanto quando i gentili iniziarono a rappresentare la maggioranza e, all’interno della comunità ebraica, la polemica sulla figura di Cristo acquisì contorni più marcati, una separazione definitiva sembrò ormai inevitabile. Col passare del tempo, i due fratelli – ebraismo e cristianesimo – si allontanarono sempre più, crebbe l’inimicizia tra loro e si ricorse anche alla reciproca diffamazione. I cristiani si figuravano spesso gli ebrei come dannati da Dio e ciechi, perché incapaci di riconoscere Gesù quale Messia e Salvatore. Gli ebrei percepivano non di rado i cristiani come eretici che seguivano non il cammino originario indicato da Dio, ma la loro strada. Non senza motivo, negli Atti degli Apostoli, il cristianesimo è chiamato la "dottrina" (cfr. At 9,2; 19,9.23; 24,14.22), in contrasto con la Halachà ebraica che regola l’interpretazione normativa ai fini di una condotta pratica. Con il tempo, ebraismo e cristianesimo si sono estraniati sempre più, arrivando persino ad acerrimi conflitti ed all’accusa reciproca di aver abbandonato il cammino prescritto da Dio.»

E dai giorni dei Colloqui Ebraico-Cristiani di Camaldoli, solo due settimane fa, interrogano il modesto canonista che sta scrivendo le presenti righe, queste parole al n. 36 del medesimo Documento: «Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile.»

La salvezza di Dio, come noto, ha implicazioni canoniche, cioè istituzionali, abbastanza precise per la Chiesa Cattolica: che cosa può accadere, in tal senso, cioè dallo stretto punto di vista canonistico, per una religione di salvezza senza una confessione esplicita di Cristo? Mistero, appunto.

Ma il “mistero” pare dimensione improponibile alla razionalità tipicamente moderna e occidentale e, tuttavia, l’amore cos’altro è?

Lasciamo la domanda aperta e, dando appuntamento a tutte le nostre lettrici ed a tutti i nostri lettori, per mercoledì prossimo su Zoom, rinnoviamo di cuore i nostri più cordiali auguri.

Rinascere è importante, sempre.


Buon Natale, buona domenica.