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Presidente Priore, ti sposiamo


di Stefano Sodaro


Proprio il giorno successivo all’elezione di Sergio Mattarella, per la seconda volta, a Presidente della Repubblica Italiana, una comunità monastica italiana del tutto singolare – per storia e per identità -, quale quella di Bose, elegge il proprio Priore nella persona del monaco Sabino Chialà, indiscussa autorità nello studio scientifico della cultura siriaca, in particolare.

Il secondo settennato di Mattarella assomiglia molto ad un mandato abbaziale monastico, non senza un retrogusto conclavario. Essere stati del tutto incapaci di scegliere un nome ed un cognome diversi da quelli di chi aveva esplicitamente richiesto di poter terminare il proprio lavoro istituzionale facendo spazio ad altre figure porta con sé un clima, un’aura, chiesastico-clericale. Una ricerca spasmodica, cioè, di sicurezza, di comfort, un ritenere che si possano consolidare “luoghi comuni” nazionali in grado di esonerare dalla fatica quanti invece – Senatori, Deputati, Delegati Regionali, Segretari e Responsabili di Partito – all’impegno dell’elaborazione politica avrebbero dovuto dedicarsi dalla mattina alla sera, in un’occasione così importante – sostanzialmente “fondativa” – della vita del Paese, portando a casa risultati nuovi e freschi.

Il problema serio, dunque, è che la politica non è più una passione, non scava dentro, non fa innamorare, non turba, non inquieta e distrugge, com’è invece proprio di ogni amore. La politica, piuttosto, fa addormentare, quasi inebetisce. Non si è più in grado di far nulla se non di ripetere la scena di ieri nella beata illusione di poterla replicare all’infinito, così da non smuovere ed alterare neppure un sasso di una costruzione ben chiusa dall’interno.

Certo: l’abate, il priore, è soluzione ottima per mettere in sicurezza la comunità, sia essa corrispondente ad uno Stato o ad un gruppo religioso. Anzi, il priorato è stato creato apposta, per evitare che gli scossoni dei progressivi assetti di una storia comune – e perciò politica, del tutto a prescindere dagli scenari ideologici – distruggano una storia ed un progetto di vita assieme.

Ma vi è anche qualcosa d’altro. Molto dell’elaborazione non diremo strettamente politica, ma latamente culturale di certo sì, della vita del nostro Paese è transitato da Bose. Tutta la storia italiana del post-concilio si è trovata a dover intersecare quella particolare, per alcuni “stranissima”, Comunità Monastica della Serra d’Ivrea.

Perché lì, appunto, il monachesimo – grande realtà politica, solo un ignorante potrebbe disconoscerlo – è stato (ed è) passione amorosa, culto dell’innamoramento per una vita bella e possibile a tutti, ansia di discernimento di segni di speranza per ognuna ed ognuno di noi, cattolici, laici, d’altre fedi, di nessuna fede.

Ed il Capitolo di Bose, a differenza dell’Assemblea di Montecitorio, ha eletto a propria guida un volto del tutto nuovo.

Che cosa può aver pensato Sergio Mattarella dell’oggettiva incompetenza di chi avrebbe dovuto scegliere un altro Presidente? Ne avrà avuto compassione, senso di pietà, sincera – e non sdilinquita – commiserazione. E per non vedere il nostro Paese andare in malora, ha accettato una sua seconda elezione.

Che cosa pensano l’osservatore e l’osservatrice appena un po’ attenti dell’elezione del nuovo Priore di Bose? La storia recente della Comunità purtroppo è stata segnata da una polarizzazione dirompente seguita alla Visita apostolica disposta dalla Santa Sede, eppure tutto questo tormento, tutta la sofferenza ed anche l’incertezza di capire bene – esternamente – che cosa sia accaduto, testimoniano di una vitalità presente, che non è venuta meno, di una liturgia dell’esistere che non ha già pronunciato il suo amen conclusivo.

A Bose l’innamoramento trasuda anche dalle foglie d’erba. La nuzialità, la sponsalità – dimensioni assai diverse dalla mera registrazione matrimoniale nell’anagrafe dello stato civile – coinvolgono alle radici la scelta del monaco e della monaca.

Ma non diversamente da ognuno ed ognuna di noi. Chi non vorrebbe trovare un volto da guardare, occhi davanti ai quali potersi confidare, una bocca da baciare, una mano da stringere teneramente, una carezza inaspettata e rispettosa? Chi?

E la politica dovrebbe saper garantire a tutti e a tutte il compimento di bisogni basilari – non più di sofisticati desideri – propri di ogni essere umano in quanto tale. Lo fa? Non pare proprio.

E i monasteri lo fanno invece? Non è possibile generalizzare – anzi sarà proprio il caso di evitarlo, perché mala tempora currunt -, ma il Monastero di Bose certamente lo fa.

Proviamo a dire con altro registro. Da oggi a Bose si prega per Mattarella e si prega per Chialà, nell’unica preghiera liturgica della Comunità – sempre stupendamente cantata e sapientemente ordinata -.

Lo ripetiamo: da oggi a Bose si prega congiuntamente per il Presidente della Repubblica e per il nuovo Priore.

Ecco, dalle nostre parti – nella nostra laicissima ferialità quotidiana -, tradendo l’ingiunzione di Karl Barth che raccomandava di leggere assieme Bibbia e giornale, noi non sappiamo né cosa sia la preghiera, né come si possa esserne innamorati sino a dedicarvi la vita, né quali coinvolgimenti assai più ampi del dato giuridico o di cronaca comporti l’elezione alla prima carica dello Stato e l’elezione di una guida comunitaria.

Mettiamola in altro modo: a chi mai verrebbe minimamente in mente di ritenere che il vincolo di socialità che ci unisce tutti e tutte nell’unica cittadinanza, con i suoi diritti ed i suoi doveri, sia in fondo un vincolo “nuziale”, “sponsale”, ma sì diciamolo, “matrimoniale”?

Noi temiamo che la comunità depotenzi, fagociti, sino a farla sparire, la mirabile potenza nucleare dell’io, o, al massimo – ma proprio massimo massimo – della coppia. Dopo la coppia, oltre la coppia, intorno alla coppia, nulla, il vuoto, il buio. Salvo io e salva tu, o salva io e salvo tu, il Mondo può naufragare.

Il Presidente Mattarella ed il Priore Chialà di Bose indicano invece una diversa forza, un’alternativa di progetto per le nostre vite tutte: mettere “noi” prima di ogni “io” e di ogni “io/tu”. Altroché il “coraggio di dire io”, come intitolava l’ultimo Meeting di CL! Abbiamo bisogno – estremo – del “coraggio di dire noi”, faccenda completamente diversa

Dovremmo anche avere il coraggio di innamorarci della nostra provvisorietà, di non rincorrere l’esclusione ma di prediligere l’ “elezione”, non tanto con il voto, quanto con il sapere del cuore e la chiarezza appassionata della mente. Scopriremmo di avere “eletto” molti presidenti e priori dentro di noi, a guida di ciò che siamo e vogliamo, di avere “sposato” molte cause impersonate da nomi e volti precisi.

Se – nel silenzio di un luogo simile a quello dei boschi di Bose – avvertiamo l’importanza decisiva delle nostre “elezioni”, allora non disperdiamo al vento, non gettiamo via, simile patrimonio interiore, ma facciamone la leva per una rivoluzione dell’essere che ci attende, urgentissima, a partire da domani.

Auguri, Presidente.

Auguri, Priore.

Auguri a noi tutte e tutti.