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Adriana, il Papa, i Cattolici. E la mistica dell’eros 


di Stefano Sodaro

Davanti al Generali Convention Center di Trieste, dove si è svolta la 50ma Edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici in Italia: Marco Cavallo, simbolo della rivoluzione psichiatrica basagliana  e la tovaglia realizzata dagli studenti, di cui ha parlato mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, in apertura dei lavori - foto del direttore


Una concentrazione di croci pettorali e anelli episcopali come quella di questi giorni non s’è mai vista a Trieste. Davvero mai e poi mai, in tutta la sua storia. Si incrociano dappertutto vescovi – in città – come se fossero normali passanti delle nostre vie, abitanti un po’ singolari, se non pittoreschi, di un contesto urbano da sempre orgogliosamente, fieramente, laico. Hanno, i prelati, spesso un piccolo zaino sulle spalle, capo scoperto e camicia a maniche corte di solito grigia – perché fa caldo, anzi che no –. E hanno un incontenibile desiderio di mescolarsi alla gente d’ogni giorno, in mezzo ad una Trieste che resta feriale, ordinaria, d’animo mercantile (il capoluogo giuliano fa festa continuamente, oppure neanche una volta: dipende da come vanno e si mettono gli affari, che possono garantire anche di lunedì, e non solo di domenica, liete disponibilità di tempo e di rilassatezza, oppure possono angustiare senza sconti anche durante le feste comandate).

“Trieste ha una scontrosa grazia”, ha poetato Umberto Saba, spiegando che: “Se piace,/ è come un ragazzaccio aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo grandi/ per regalare un fiore;/ come un amore/ con gelosia.”.

La gelosia, per l’amore, è un bel problema. Secondo alcuni/e sarebbe la sua vera, sicura, infallibile, cartina di tornasole. Per Saba, invece, l’amore con gelosia rende incapaci di regalare un fiore. E non è faccenda da poco. Perché un fiore è inutile, è effettivamente poco utilizzabile come valore di scambio, inservibile come merce d’uso per un proficuo dare/avere. È troppo bello per essere utile, è superfluo come l’amore senza gelosia, appunto.

Un amore dis-interessato, privo di interesse, che appassiona solo gli/le amanti e magari stuzzica qualche smania voyeuristica - che però quel medesimo amore riesce a rintuzzare e ridicolizzare con la sua potenza, misteriosa, incontenibile, persino temibile o addirittura paurosa -, un amore così mette inquietudine.

L’amore senza gelosia fa molta, ma molta, più paura di un normalissimo amore con gelosia.

Fuori dal Centro Convegni di Trieste dove si è svolta, in questi giorni, la 50ma Edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici in Italia, ha stazionato “Marco Cavallo”, il simbolo scultoreo – in legno e cartapesta – della rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia, che proprio a Trieste riuscì a far finalmente uscire, cinquantanni or sono, ormai, più o meno, “i matti” dal manicomio, per riconsegnarli ad una vita non più segregata e alienata. E furono proprio i mattia dipingere di azzurro Marco Cavallo, a farlo proprio con le ruote al posto delle zampe e a spingerlo fuori, in città, in mezzo ai cosiddetti normali, come in un corteo di liberazione, tra lo sguardo sbalordito ma solidale della Trieste di allora. Era il 1973.

Anche quello di Basaglia fu amore senza gelosia.

Qual è l’ostacolo posto dai cattolici che viene avvertito, ancor oggi, come il più serio ed insuperato della nostra fase storica? Diciamolo senza troppi giri di parole: è la questione sessuale. Che infatti portò alle vittorie referendarie su divorzio e aborto, spartiacque della storia sociale italiana, ma anche dei rapporti tra i generi e certamente della storia della Chiesa Cattolica nel nostro Paese.

Eppure proferire “questione sessuale” - tabù assoluto per i malati psichiatrici un tempo, fino proprio alla rivoluzione di Basaglia - non significa affatto adoprare un sinonimo di “questione genitale”. Qui già iniziano a porsi interrogativi molto fastidiosi: esiste, infatti, una sessualità politica, laddove un bacio traduce un sogno di felicità, un futuro di pace, di armonia tra le diversità, di ricerca appagante ma non egoistica del piacere. Ed esiste anche una politica ripiena di proiezioni, aspirazioni, francamente erotiche, sessuali, laddove ci si rende conto che non si può essere felici da soli e da sole, ma solo con gli altri e le altre, anzi: a partire dagli altri e dalle altre.

In fondo la coloritura episcopale triestina di queste ore dà quasi l’ebbrezza di un troppo, di un eccesso, di una sovrabbondanza francamente “erotica”, perché del tutto pacifica, e tuttavia anche integralmente non violenta.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, l’Arcivescovo di Bologna Card. Matteo Zuppi, hanno pronunciato a Trieste, mercoledì scorso, parole piene di passione, civile ed ecclesiale, segno di quell’amicizia sociale di cui parla il Papa nell’Enciclica Fratelli tutti. Ed infatti alcuni politici si sono irritati a sentir parlare di una democrazia che deve fondarsi sul riconoscimento dei diritti delle minoranze.

Assumiamo il nome “Adriana” come rappresentativo di chiunque – maschio, femmina, senza identità sessuale binaria, chiunque – avverta che la svolta sta nell’amore senza gelosia, nell’amore che porta anche a prendere il mare per assicurare un futuro alla propria vita e quella delle proprie figlie e dei propri figli, nonostante qualunque rischio calcolabile. Un amore senza gelosia che sconcerta la Trieste abituata al suo, beninteso romanticissimo, contrario. “Adriana” in memoria di Adriana Zarri, ad esempio, certo, l’eremita laica del Canavese. Ma anche di Adriana Valerio, insigne storica del cristianesimo, che ha pubblicato, per il Mulino, nel 2022, Eretiche. Donne che riflettono, osano, resistono. E ipotizziamo che la nostra metaforica, universale, “Adriana” suoni il pianoforte, magari sia una concertista ora impegnata in qualche capitale mitteleuropea, tanto per restare in clima. 

Possiamo chiederci: donne appassionate, uomini appassionati, contestatrici e contestatori – pure nella Chiesa -, alternative e alternativi, in cerca di utopia che non sia chimera, capaci di un amore senza gelosia ma non per questo meno totalizzante, maestre/maestri di musica e canto, coinvolte/i in impegni totalmente laici eppure proprio per questo ricolmi di significato etico, sono maggioranza o minoranza?

Al momento in cui scriviamo questo editoriale non sappiamo ancora cosa dirà il Papa a Trieste, in Piazza Unità, la mattina di questa domenica 7 luglio 2024.

Ma intanto – sì, proprio “nel segno di Adriana” – anche la storia contemporanea del cattolicesimo italiano può, alla buon’ora, svoltare, se le innamorate e gli innamorati diverranno maggioranza. Sarà davvero resurrezione. Di un Paese, di una Chiesa, delle nostre vite.

Una suonata di Rachmaninov a Berlino, interpretata da Adriana - per dire -, ci salverà.

Buona domenica (e a risentirci nella serata di questa stessa domenica).