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Apostoli



di Dario Culot



Visti i dubbi che ho esternato all’inizio di questo mese su Giuda, mi è stato chiesto se io abbia dubbi analoghi anche sulle figure degli altri apostoli. La risposta è senz’altro positiva.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che non tutto quello che è vero è anche storicamente avvenuto. I vangeli non ci raccontano sempre cose realmente accadute, ma vogliono prospettarci una verità teologica, vogliono trasmetterci un messaggio. Per noi è difficile pensare che senza oggettiva verità storica si possa parlare di verità, ma basta un esempio per capirci: a Washington, nel Lincoln Park, c’è una statua che ritrae il presidente Abramo Lincoln nell’atto di liberare l’ultimo schiavo fuggitivo, tale Alexander Archer catturato in base al Fugitive Slave Act del 1850. Una statua che raffigurasse il presidente mentre firma la legge che pone fine alla schiavitù sarebbe vera e anche corrispondente alla realtà storica. Invece non risulta che mai il presidente abbia spezzato veramente le catene di uno schiavo, né che abbia incontrato in vita sua Archer Alexander: storicamente è un falso, una fake news; realmente non è mai accaduto, eppure è indubbio che la statua trasmette un messaggio vero, perché fu il presidente Lincoln a far dichiarare l’illegalità della schiavitù negli Stati Uniti e a porre fine alla schiavitù dei neri.

È importante anche tener presente che, nella maggior parte dei popoli antichi del Mediterraneo, la geometria e gli stessi numeri erano sacri, assumendo un significato simbolico[1]. Non c’è perciò da stupirsi se anche nei vangeli i numeri assumono un significato meramente simbolico, figurato[2]. Pertanto non dobbiamo pensare che le cose siano realmente accadute come se i numeri indicati corrispondessero alla realtà storica.

Quando i vangeli ci parlano di dodici apostoli, noi siamo portati a pensare a un gruppo privilegiato di dodici uomini veramente esistiti. Però dobbiamo innanzitutto sapere che il termine greco ‘apostolo’ non indica affatto un titolo, una carica, ma è un’attività, una funzione. La parola greca apostolo significa semplicemente inviato[3]. Quando Gesù manda i 12 in missione sono apostoli (Mc 6, 7), ma quando ritornano non sono più apostoli, sono normali discepoli che hanno terminato la loro missione (Mc 6, 30-36). E che i 12 apostoli siano discepoli è confermato negli altri vangeli sinottici che riportano lo stesso episodio: infatti Matteo (Mt 14, 15) parla di loro come discepoli, mentre Luca (Lc 9, 12) parla di apostoli. Quindi, i due termini – apostoli e discepoli,- sono da considerarsi sinonimi. L’ipotesi che gode di maggior credito afferma che il numero dodici ricorda semplicemente il mitico numero delle tribù d’Israele: il gruppo dei dodici - l’unico su cui ha messo l’accento la dottrina ufficiale,- sta solo a indicare che questi discepoli provengono dalla tradizione ebraica (Mt 10, 1; Mc 3, 14; Lc 6, 13: “chiamò a sé i suoi discepoli, ne scelse dodici”); ma non sono stati solo questi dodici gli individui che Gesù ad essere mandati in missione (Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 2 missione dei dodici). Ci sono i dodici, ma ci sono altri gruppi di discepoli: ad esempio esiste un secondo cospicuo gruppo di discepoli composto da settanta (Lc 10, 1-12) non provenienti dall’ebraismo, pure essi mandati in missione parallela, e quindi apostoli. In questo caso si vede proprio nitidamente che neanche i 70 (o 72 nella versione greca dei LXX)[4] era il numero reale dei discepoli non ebrei: infatti il numero 70 corrisponde al numero dei popoli conosciuti della terra, perché in Gn 10, 1-32, si racconta come sono nate tutte le nazioni del mondo, e si arriva a 70 per indicare quindi ‘tutto il mondo’. Evidente allora che 70 non è un numero reale, da prendere alla lettera. Lo stesso discorso vale per il numero 3, che indica la completezza. Quando l’evangelista dice che Pietro tradì Gesù 3 volte, significa che il tradimento è stato totale. Anche qui siamo sempre davanti a un numero simbolico, per cui il rinnegamento di Pietro potrebbe essere avvenuto in realtà anche con un solo fermo diniego. Perciò i 70 potrebbero essere stati di più o di meno, esattamente come i dodici. Dunque, dopo aver mandato i 12 in missione (Lc 9, 1) col solo potere di curare le malattie e cacciare gli spiriti maligni, Gesù manda anche i 70 non ebrei (Lc 10, 1) e solo questi ultimi riescono a cacciare gli spiriti maligni (Lc 10, 17; Lc 9, 6 e soprattutto 40). Come mai? Proprio perché i discepoli provenienti dalla religione giudaica, non essendo ancora liberi, non riescono a liberare. Mentre cioè gli ebrei fanno fatica a riconoscere l’innovazione liberatoria portata da Gesù (Mc 6, 3),[5] a credere che gli altri popoli sono uguali a loro e non masse d’impuri destinati alla perdizione, a convincersi che il Messia tanto atteso non è venuto per renderli ricchi e padroni del mondo (Is 14, 2; Is 60, 5-6; Is 61, 5-6), i pagani recepiscono e accolgono la novità assai più facilmente, privi come sono dei pregiudizi degli ebrei (vedasi anche Mc 7, 30).

Poi, noi pensiamo che Pietro sia l’apostolo più importante, ma se leggiamo il vangelo di Giovanni il discepolo più importante è indubbiamente Tommaso perché il suo nome viene ripetuto per ben sette volte, e il numero sette significa, per l’appunto, ‘completezza’.

I dodici apostoli, lo ripeto, ci ricordano semplicemente le 12 tribù israelitiche ormai scomparse, e rappresentano il nuovo Israele, gli appartenenti al popolo d’Israele che abbandonando la vecchia alleanza hanno scelto di andare dietro a Gesù e aderire alla nuova alleanza; tant’è che Giovanni nemmeno si cura di darci tutti i nomi, e oltre agli ormai arcinoti Pietro, Giovanni e Giacomo, parla solo di Tommaso (Gv 20, 24) e ovviamente di Giuda Iscariota (Gv 6, 71). Ecco perché non possiamo essere sicuri che il numero dodici rappresenti necessariamente dodici uomini ben individuati, selezionati e scelti ad uno ad uno da Gesù, per essere gli unici ad avere il privilegio di seguirlo da vicino. In effetti, se guardiamo con una certa attenzione questa lista dei dodici nei Vangeli sinottici, essa ci viene normalmente rappresentata così: ci sono tre che sono i più tenacemente ambiziosi e testardi, che vogliono essere i leader del popolo e sono: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono quelli che Gesù prende sempre in disparte[6] con sé nelle sue iniziative, perché, se riesce a convincere questi, il resto seguirà. Poi, l’ultimo è sempre Giuda, il traditore. Gli altri formano la massa degli otto, praticamente anonima, perché, anche se hanno un nome, salvo qualche marginale eccezione, non compiono nessuna attività degna di nota. Meno importanti di Maria Maddalena, non più importanti di Cleopa (uno dei due discepoli che vanno a Emmaus: Lc 24, 18). Eppure la Chiesa c’insegna che solo da questi dodici deriva la successione apostolica, senza ovviamente saper chiarire cosa ha predicato Taddeo e cosa Simone lo zelota.

Poi non si possono dimenticare neanche le numerose donne (Lc 8, 3), invece presto dimenticate dalla Chiesa, forse perché non chiamate espressamente discepole; ma ai tempi di Gesù non esisteva neanche il termine per discepola, solo il maschio poteva essere discepolo[7]. Se dunque le donne non vengono chiamate discepole è perché in aramaico non esisteva la parola al femminile; non esisteva cioè ancora un linguaggio adeguato, anche se Gesù le ha trattate come tali. Ad esempio, anche Maria Maddalena viene inviata direttamente da Gesù: «va’ e di’ ai miei fratelli che sono risorto» (Gv 20, 17), e per questo incarico san Tommaso d’Aquino, appena 1200 anni dopo Cristo, ha riconosciuto a Maria Maddalena il titolo di apostola degli apostoli (apostolorum apostola)[8]. Papa Giovanni Paolo II ha ripreso l’appellativo di “apostola degli apostoli” [9] e anche papa Benedetto XVI è ritornato sul titolo di apostola degli apostoli[10].

Sicuramente non si può abbinare la successione apostolica al fatto che all’ultima cena avrebbero partecipato solo i dodici apostoli maschi. Se stiamo alla lettera, tutti i 12 erano anche ebrei, eppure non si chiede ai presbiteri di essere ebrei, ma solo di essere maschi e celibi, il che implica una sacralità che li separa dagli altri e soprattutto conferisce loro un potere esclusivo. In altre parole, se ci si aggrappa alla forma letterale del Vangelo (erano maschi), non si può poi credere selettivamente, accettando solo certe espressioni ed escludendo ciò che ci dà fastidio (Pietro era maschio ma sposato; perché allora i successori degli apostoli devono essere celibi?). Insomma, come sempre non ci si può attaccare alla lettera delle parole (fondamentalismo), sia perché i vangeli sono stati scritti 30-40 anni dopo che le comunità già vivevano il cristianesimo, sia perché bisognerebbe distinguere ciò che è pedaggio alla cultura del tempo[11]. La incontestabile realtà è che Gesù ha scelto i 12 rappresentanti dell’ebraismo fra i maschi, ma non ha escluso le donne dal suo seguito (Lc 8, 2s.). A chi sostiene che Gesù istituì il sacerdozio esclusivamente maschile nell'ultima cena, perché nell'ultima cena c’erano solo i 12 maschi e non c'erano donne, risponderei come la teologa Adriana Zarri ha risposto anni fa durante un dibattito televisivo, quando papa era il polacco Wojtyla, a un cardinale che sosteneva proprio questa tesi: “che non ci fossero donne all’ultima cena è tutto da vedere, ma che non ci fossero polacchi è sicuro”[12]. Giustamente osserva l’orientalista Garbini: se le donne accompagnavano Gesù e lo hanno seguito fino al Calvario, è chiaro che anche loro erano presenti all’ultima cena, soprattutto se si trattava di una cena pasquale, alla quale partecipava tutta la famiglia[13] (anche perché, altrimenti, chi avrebbe cucinato?). Era cioè tradizione che al banchetto pasquale partecipassero normalmente anche le donne. Perché allora c’insegnano che le donne avrebbero dovuto essere assenti all’ultima cena, loro che, di solito, mangiavano con Gesù? Sarebbe strano che, contrariamente alla sua abitudine di condividere la sua tavola con ogni tipo di persone, perfino con i peccatori, Gesù adottasse improvvisamente un atteggiamento selettivo e restrittivo (solo i 12 apostoli maschi per far contenta la Chiesa di oggi). E anche dopo la crocifissione, con i 12 c’è ancora una compagnia di donne (At 1, 14; 2, 1-4), Ma ancor più argutamente è stato osservato che, anche se si dicesse che in fin dei conti le donne si limitavano a servire a tavola, ricordiamo che Gesù ha detto: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 2.7): quindi chi è più grande, colui che sta a tavola o colui che serve?[14] Dunque, evangelicamente parlando, le donne che servono sono più importanti dei maschi che si fanno servire a tavola, perché parlando alla folla e a tutti i discepoli Gesù ha detto espressamente che il più grande fra di loro doveva servire gli altri (Mt 23, 12).

E parlando di folla, si può aggiungere che nei discorsi più importanti Gesù non si rivolge ai soli 12 ma all’intera folla: «Se qualcuno di voi vorrà (Mc 8, 34), rinneghi sé stesso, sollevi la sua croce e mi segua», dovendo ognuno rispondere alle condizioni che Lui sta ponendo. Qui ognuno fa una scelta personale, senza che nelle parole di Gesù ci sia una qualche costrizione, o una qualche predilezione; c’è solo una possibilità paritaria aperta a tutti, come al giorno d’oggi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me”.

Quindi molteplici sono le forme di partecipare alla causa di Gesù. C'erano, sì, i Dodici e il gruppo più ampio dei 70 discepoli. C’erano però anche degli aderenti stanziali che mettevano a disposizione le loro case (pensiamo a Lazzaro, Marta e Maria). C’erano individui che avevano aiutato in una determinata occasione, magari solo porgendo un bicchier d’acqua. Non appartenere al gruppo vero e proprio dei 12 non è affatto indizio di una discepolanza di seconda categoria. Ciascuno può contribuire a modo suo e secondo le sue possibilità alla costruzione del regno di Dio. Ognuno può e deve scegliere dove può sentirsi a suo agio e dove può dare di più alla comunità, essere sé stesso nella miglior versione possibile per star bene lui e far star bene gli altri.

E che dire di Paolo? È certo che Paolo, fariseo, non faceva parte dei dodici, eppure egli stesso si auto attribuisce la qualifica di apostolo sostenendo di essere stato chiamato direttamente da Dio (Rm 1,1; 1Cor 1, 1; 2Cor 1,1; Gal 1,1), e per di più ha inciso nella Chiesa molto più di Taddeo, Bartolomeo o del secondo Giuda, di cui non sappiamo sostanzialmente nulla. Per la Chiesa anche Paolo e Barnaba sono apostoli, ma sono apostoli mandati dalla Chiesa di Antiochia. Lo stesso Paolo chiama apostoli uomini che sicuramente non facevano parte del ristretto gruppo dei dodici, e – udite! udite! - perfino delle donne. Ad esempio, nella lettera ai Romani (Rm 16, 7) si legge: “Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me”. Piuttosto evidente – mi sembra - che, fin dagli inizi della Chiesa, siano chiamati apostoli non solo i 12 noti. Perciò, se veramente dovessimo pensare alla successione apostolica in base a tutti coloro che sono individuati come apostoli nel Nuovo Testamento, dovremmo avere coerentemente anche vescovi donne, perché anche le donne sono espressamente indicate come apostole nel Nuovo Testamento.

Altro elemento che dovrebbe farci venire qualche dubbio sull’esistenza storica di 12 uomini privilegiati: i sinottici non concordano con precisione neanche sui 12 nomi, il che appare inconcepibile visto lo specialissimo rilievo che è stato poi dato loro dalla Chiesa. Di nuovo sembra che il numero simbolico conti più dei nomi: Marco e Matteo indicano fra i 12 Taddeo e Simone il cananeo (Mc 3, 18; Mt 10, 3), mentre Luca non indica Taddeo ma indica un secondo Giuda figlio di Giacomo (come anche At 1, 13), e al posto di Simone il cananeo c’è Simone lo zelota (Lc 6, 13-16). Ora, mentre si può sostenere che vi è identità fra Simone il cananeo e Simone lo zelota (perché anche cananeo può significare zelota, ma Marco – che scriveva per i romani - preferisce non dire espressamente che fra i seguaci di Gesù c’erano dei terroristi, per cui usa il termine più ambiguo di cananeo non conosciuto dai romani a differenza del termine zelota), più difficile è affermare, come invece fa san Girolamo, che Giuda di Giacomo, in un altro vangelo chiamato Taddeo, siano la stessa persona. È vero che la stessa persona può essere chiamata con più nomi,[15] ma è strano che nessun evangelista, sempre così oculato nell’uso delle parole, dica che Giuda di Giacomo era detto Taddeo o viceversa, quando invece si specifica che Simone era detto Pietro (Mc 3, 16; Mt 10, 2; Lc 6, 14), che Giacomo e Giovanni erano soprannominati Boanèrghes (Mc 3, 17), che Simone era soprannominato zelota (Lc 6, 15), che Tommaso era detto Didimo[16] (Gv 11, 16), che Giuseppe era stato soprannominato Barnaba dagli stessi apostoli (At 4, 36). Attraverso questo schema sembra che gli evangelisti vogliano semplicemente dire che l’Israele, che ha seguito Gesù, è composto da un piccolo gruppo di seguaci condizionati soprattutto dalla loro ideologia: comunque tutti, da buoni israeliti, pensano all’inizio di seguire il Messia trionfatore, tant’è che litigano in continuazione su chi di essi sarà il più grande, e avrà il posto d’onore accanto a Gesù.

Né è determinante che i 12 abbiano un nome e i 70 no: anche molte delle donne che seguivano costantemente Gesù hanno un nome, ma questo non è bastato alla Chiesa per prenderle in seria considerazione. Anche molti apostoli e molte apostole indicati da Paolo hanno un nome ma, di nuovo, non per questo la Chiesa li ha messi alla pari con i 12.

Che la sequela di Gesù non sia un’esclusiva o un privilegio dei soli 12, come se tutti gli altri fossero personaggi secondari, è però confermato da un’ampia serie di episodi. Solo per metterne in evidenza qualcuno (oltre al clamoroso fallimento già visto nel cercar di cacciare i demoni da parte dei 12):

(a) i 12 stanno litigando, come sempre, su chi di essi è il più importante. Una volta a casa Gesù, che li precedeva, chiede loro di cosa stessero parlando lungo la strada. È interessante analizzare questo versetto: Gesù, il quale già si trova in casa, li deve chiamare. Si chiama chi non sta accanto (Mc 9, 33ss.). Vuol dire che questi apostoli sono (mentalmente) lontani, non stanno vicino a Gesù: se fossero vicini, non avrebbero avuto bisogno di essere chiamati. Vuol dire che Gesù li deve distogliere da quella strada che stanno percorrendo da soli, per riportarli sulla sua. Il piccolo ragazzino, che invece Gesù mette al centro, già si trova nella casa: Gesù non lo deve chiamare, né deve andare a prenderlo. La vicinanza simboleggia la sua adesione incondizionata a Gesù: dunque Gesù indica come modello un ragazzino che non solo è l’ultimo di tutti per l’età, ma soprattutto per la sua giovane età è anche servitore di tutti, posto che la parola greca usata (paidìon) significa sia garzone, sia piccolo servo, sia bambinello[17]. Va sottolineato che Gesù non prende un bambino inteso nel nostro senso sentimentale, affettivo, romantico, mentre così erroneamente spesso pensano in tanti leggendo il vangelo. Prende uno che nella società dell’epoca era considerato all’ultimo posto: una persona senza diritti, una persona senza importanza, una persona che veniva presa a calci nel sedere da tutti gli adulti, e fa vedere che questa è la persona più importante e più vicina a lui,[18] anche se in quella società è la più vulnerabile e la meno importante. Eppure il piccolo è più importante dei 12 apostoli adulti litigiosi.

(b) Gesù sale verso Gerusalemme per scontrarsi con l’istituzione (Mc 10, 32): l’evangelista dice che gli apostoli sono stupiti; ma gli altri che erano dietro hanno paura. Che significa? I 12 apostoli vanno dietro a Gesù, ma non sono i soli, perché altri seguono Gesù, e seguire (sequela) significa avere accettato non solo la figura di Gesù, ma anche il suo messaggio. La reazione di coloro che lo seguivano è di paura, perché hanno già capito tutto. I dodici – nonostante la specialissima formazione di cui ci ha sempre parlato il magistero - non hanno capito ancora niente, anche se Gesù ha chiaramente detto per tre volte che va a morire[19]. Quelli che lo seguono, da anonimi, ed hanno accettato il messaggio di Gesù, hanno paura perché hanno capito che, se Gesù va ad essere ammazzato, anche loro corrono lo stesso rischio. Probabilmente per questo Cleopa e l’amico, una volta morto Gesù, cercano di lasciare Gerusalemme e andare alla chetichella verso Emmaus. I dodici, ancora sordi e ciechi, si chiedono perplessi semplicemente come avverrà lo scontro, come Gesù riuscirà a prendere il potere che innalzerà anche loro ai più alti livelli di comando; non hanno le idee ben chiare per cui sono solo sconcertati. Ancora una volta Gesù separa i due gruppi. Questa volta prende in disparte tutti i Dodici (Mc 10, 32), e non solo i noti tre, e comincia a ripetere quello che sta per accadere: e quando Gesù prende qualcuno in disparte, la chiave di lettura è sempre negativa. Più volte Gesù aveva denunciato che i Dodici, come tanti altri, hanno orecchi, ma non intendono, hanno occhi ma non vedono; insomma, gli specialissimi Dodici non capiscono niente (Mc 8, 21).

(c) In Mc 14, 9 c’è l’unzione di Gesù da parte di una discepola anonima nella casa del lebbroso Simone, con gran quantità di costosissimo nardo, e questo di una donna, non di uno dei dodici, è l’unico gesto in tutto il vangelo che Gesù chiede espressamente venga ricordato a beneficio di tutti i posteri. Per la spiegazione – in linea con quanto fin qui sostenuto - rinvio a quanto scritto nell’articolo sulla Resurrezione, al n.502 del 25.5.2019 di questo giornale.

(d) Nel capitolo finale di Giovanni c’è questo gruppetto di sette individui (fra apostoli e discepoli) – rappresentativo della prima comunità che segue Cristo, e visto che il numero 7 indica completezza vuol dire che lì si trova riunita tutta la comunità, tutta la chiesa, formata non solo da apostoli ma anche da altri discepoli. Questa comunità cerca prima di pescare da sola, su iniziativa di Pietro che si erge a capo, e non pesca nulla; poi fa una pesca ricca dopo essere stata rimandata in acqua dal Risorto[20]. Dopo la pesca Gesù, che ha già preparato il fuoco, invita tutti con un: “Venite a mangiare:” Gesù non lascia mai soli i suoi. L’evangelista ci sta dando un’indicazione dell’eucaristia diversa da quella degli altri evangelisti, ma prendere il pane e distribuirlo indistintamente a tutti richiama con tutta evidenza l’eucaristia perché vengono usate le stesse parole adoperate dagli altri evangelisti per l’ultima cena. Di più: mentre nella traduzione italiana si mantiene il passato remoto (“Gesù prese il pane e lo diede loro”) per mantenere la giusta consecutio temporum ma così dando l’impressione di un fatto storico ormai passato, il testo greco passa inopinatamente dal passato remoto (Gesù disse loro: “Venite a mangiare”) al tempo presente (“prende il pane e lo dà”). Di nuovo, non si tratta di un grossolano errore grammaticale da parte di uno scrittore poco istruito come invece m’insegnavano quand’ero piccolo: non ci sono errori di questo tipo nei vangeli. L’evangelista fa presente che ogni volta che Gesù si incontra con la sua comunità rinnova gli stessi gesti; ogni volta, quindi ieri come oggi, in ogni tempo, in ogni comunità, quando Gesù si manifesta si fa pane e si comunica come alimento di vita. La sua è una vita donata totalmente agli altri. Questo è il significato dell’eucaristia: un amore ricevuto da Dio, che viene accolto e si trasforma in amore comunicato per gli altri, ma perché poi quanti lo accolgono e lo assimilano, siano a loro volta capaci di farsi pane, alimento di vita per gli altri, diventando tutti figli dello stesso Dio[21]. Chi mangia il pane senza condividerlo, tenendolo solo per sé stesso (chi va autonomamente a pesca, senza pensare agli altri), non ha ancora capito il senso dell’eucaristia. E anche in questo episodio viene rimarcata la stessa distanza dal centro del cerchio (Gesù) fra apostoli e discepoli; non c’è una gerarchia piramidale: più in alto gli apostoli, sotto gli altri discepoli. Non c’è nessun primato, neanche per Pietro che è lì presente con gli altri, e Gesù non lo mette alla sua destra, non lo fa suo vicario. La Chiesa, quindi, non è affatto fondata sui soli 12. Ha chiarito san Paolo che non c’è più differenza fra giudeo e greco, fra schiavo e libero, fra uomo e donna «perché tutti voi sono uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3, 27s.). Vengono così annullate tutte le differenze o meglio le contrapposizioni culturali, sociali, e persino sessuali; ma non è stato così per la Chiesa.

(e) Nel Vangelo di Giovanni appare più volte la figura del discepolo amato. Si continua spesso a sentir dire in chiesa, ancora oggi, che il discepolo amato sia Giovanni. Lo pensavano già Ireneo di Lione e san Girolamo,[22] e hanno continuato a ripetercelo per secoli[23]. Si giustifica logicamente l’abbinamento sostenendo che i discepoli prediletti erano Pietro, Giacomo e Giovanni perché venivano spesso presi in disparte (però oggi si è capito che essere presi in disparte non è affatto una connotazione positiva, ma è indice di testardaggine e incomprensione, per cui si ha bisogno di ripetizioni supplementari). Poi si dice che Pietro non può essere il discepolo amato perché nominato nel vangelo assieme a questo discepolo (Gv 20, 2); Giacomo non può essere perché martirizzato ben prima della stesura dello stesso vangelo; resta allora solo Giovanni. Ma perché avrebbe mantenuto il silenzio sul suo nome? Mah! Forse per modestia.

Dal concilio Vaticano II in poi, si è però cominciato a sostenere che questo vangelo si è probabilmente formato per tappe successive, per cui è stato scritto dalla scuola di Giovanni e non da una sola persona, per cui verrebbe a cadere la modestia dell’unico autore. Inoltre si è sempre più dubitato che il quarto evangelista possa essere il discepolo prediletto;[24] anzi, oggi buona parte della dottrina ritiene che il discepolo amato corrisponde semplicemente al prototipo dei discepoli, nel quale ogni lettore può riconoscersi[25]. Il punto essenziale per ribaltare la vecchia convinzione è che non solo non si dice mai che questo discepolo è apostolo, ma soprattutto non ha nome, per cui non è lecito identificarlo, così come non si deve identificare nessun personaggio anonimo dei vangeli (si pensi alla prostituta perdonata in Lc 7, 37ss., o al lebbroso primo divulgatore della Buona Novella in Mc 1, 45). Ogni qualvolta manca il nome, l’evangelista vuole figurare un personaggio rappresentativo ideale, nel quale ogni lettore, ogni ascoltatore si può identificare; allora è chiaro da una parte che identificando il discepolo prediletto con Giovanni si svilisce l’importanza di questo personaggio; dall’altra, quando si dice che questo discepolo è amato da Gesù, non significa che egli è il prediletto, il cocco di Gesù. A differenza dell’islam, dove Maometto è l’amato di Dio, non ci sono nel Vangelo discepoli prediletti, visto che l’amore è la normale relazione che Gesù ha con tutti i suoi discepoli. Ad esempio, di Lazzaro, le sorelle dicono che era “amato da Gesù” (Gv 11, 3), eppure nessuno si è sognato di identificare l’anonimo discepolo amato con Lazzaro, ancorché l’espressione sia stata abbinata nel Vangelo di Giovanni solo con Lazzaro, e ancorché – come detto nell’articolo su Giuda - questo discepolo si contrappone a Giuda che sta sul versante opposto, e a Pietro che sta in mezzo. L’evangelista ci vuol solo dire che quello è il modello di discepolato: colui che accoglie pienamente Gesù, gli è intimo nel seguirlo e nel donarsi come lui.

Ma allora cosa se ne deduce? Che di nuovo non sono i 12 apostoli, seppur identificati con tanto di nome, il massimo della sequela. È triste anzi notare come i 12, che ci vengono presentati nell’insegnamento come i più intimi e veri seguaci di Gesù, tanto da elevarli a unici rappresentanti di Cristo in terra mentre si sorvola su tutti gli altri discepoli, nei vangeli collezionano una serie continua di figure meschine: i dodici non capiscono proprio il messaggio di Gesù, almeno finché lui è in vita, perché sono ancora immersi nella loro religione. Al contrario, il gruppo che proviene dal mondo pagano, al di fuori della legge mosaica, capisce per primo. È chiaro che per Gesù regnare vuol dire servire, ma i Dodici aspiravano invece a comandare, e siccome solo chi sta più in alto comanda e deve incutere timore per farsi obbedire, continuavano a litigare su chi era il più grande fra di loro.

Ciò che allora i vangeli ci stanno dicendo è che, più uno è immerso in una atmosfera religiosamente strutturata, e più gli è difficile comprendere il messaggio di Gesù e seguirlo. Più uno è lontano dalla religione inculcatagli e più e facile capire e seguire Gesù. E siccome i vangeli sono sempre attuali, questo vale ancora per oggi. In altre parole, ogni generazione ha il potere-dovere di rivitalizzare il messaggio di Gesù per rapportarlo ai nostri tempi, senza appiattirsi sull’insegnamento arrivato dal passato.

Sicuramente col tempo, e dopo la morte di Gesù, anche i 12 si sono ravveduti e sono cambiati, ma la Chiesa istituzione ha seguito la strada iniziale dei 12, mirando al potere, al comando e cercando d’imporsi con la paura. In effetti è stato giustamente osservato come è “incredibile che Gesù, questo grande uomo col suo straordinario messaggio abbia generato (non per sua volontà) le chiese dello spavento e non dell’accoglienza gioiosa; lui, che amava chiunque lo avvicinava, che dava forza ai deboli, salute ai malati, che donava il suo cuore ai più indifesi”[26]. Se l’istituzione avesse seguito da subito l’apostola Maria Maddalena, anziché i 12 e Paolo, probabilmente avremmo avuto una Chiesa molto diversa da quella che abbiamo.

f) Infine c’è un punto nel Vangelo di Giovanni che mi sembra di per sé solo tranciante per escludere la preminenza dei 12 e di Pietro. Stando sempre ai vangeli non è vero che Gesù abbia affidato i suoi seguaci a Pietro, agli altri apostoli, e quindi ai vescovi loro successori come insegna la Chiesa: nel Cap. 17 del Vangelo di Giovanni, nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato, Gesù affida tutti esclusivamente al Padre. Non li affida alla Chiesa, non li affida a Pietro, non li affida ad una dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero ecclesiale, non li affida nemmeno a sé stesso. «Affida coloro che crederanno in lui al Padre, cioè a quella realtà misteriosa che è al di là di tutte le cose, che è all’origine e al termine di tutte le cose e che noi uomini non possiamo mai nominare senza ridurlo alla nostra piccolezza mentale di uomini. “Li affido a Te, consacrali nella verità, siano una sola cosa, come Io e Te siamo una sola cosa”; e vedete, in queste parole di Cristo, egli stesso scompare: noi siamo stati affidati alla presenza invisibile del Dio vivente. E Cristo si dilegua in questa realtà del Dio vivente: io sono una sola cosa con il Padre. E anche tutti i discepoli sono chiamati a divenire una sola cosa con il Padre»[27]. Sfuma così anche la successione dei nostri vescovi dai 12 apostoli.

Ecco perché, in base a tutti questi motivi, mi permetto di sollevare più di qualche dubbio sul fatto che i 12 apostoli siano gli unici veri seguaci di Gesù, e che la Chiesa-istituzione possa giustificare il suo potere sulla successione di questi Dodici. Tanto più che anche le Chiese Ortodosse orientali vantano un’altrettanta ininterrotta successione apostolica, come del resto riconosce la stessa Chiesa romana (n.1399 Catechismo). Ma allora, se per garantire la “fedele trasmissione della fede” bastasse la successione apostolica[28] (nn.815, ult. co., 833, 1209, 1576 Catechismo), non si capisce come essa non abbia evitato nei secoli opinioni teologiche talmente diverse da impedire una completa comunione fra le varie Chiese[29].


NOTE

[1] In Armenia, nell’unico Tempio di stile greco, a Garni, una tabella spiega dettagliatamente il significato sacro che i numeri assumevano fino a quella ragguardevole distanza dalla Grecia, patria di Pitagora ed Euclide.

[2] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 75.

[3] Il Nuovo Catechismo olandese, Elle Di Ci, Torino, 1969, 167.

[4] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 80.

[5] C’è chi sostiene che Giuda abbia tradito Gesù proprio perché non accettava un supposto tradimento di Gesù rispetto alla Torah; Giuda era ancora attaccato alla Legge e il presunto superamento di essa da parte di Gesù sarebbe stato troppo per lui.

[6] “In disparte” è una connotazione negativa: queste persone hanno bisogno di ripetizioni extra, non bastando la lezione collettiva (AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, Didaskaleion. Torino, 1993, 129).

[7] Teniamo presente che nella lingua ebraica non esisteva un termine per indicare discepolo al femminile (Maggi A., I volti delle scritture – Donne fra fede e sacrilegio, conferenza tenuta a Vicenza nel 2009, in www.studibiblici.ti/Scritti/Conferenze).

[8] Tommaso d’Aquino, Super Evangelium Johannis, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[9] Lettera 15.8.1988, Mulieris dignitatem, 16, in www.vatican.va: “Maria di Magdala è stata la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, è stata anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli”.

[10] Le donne al servizio del Vangelo, udienza generale 14.2.2007, in www.vatican.va.

[11] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 310.

[12] In www.studibiblici.iti/Conferenze/Donne_fra_fede_e_sacrilegio.

[13] Garbini G., Vita e Mito di Gesù, ed. Paideia, Brescia, 2015, 13.

[14] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 257ss.

[15] San Girolamo, La perenne verginità di Maria (contro Elvidio), Città Nuova, Roma, 1988, 53.

[16] Didimo significa gemello, forse perché manifesta una doppia personalità, che oscilla fra la fede (es. Gv 11, 16: andiamo a morire con lui) e il dubbio (es. Gv 20, 24s.: se non vedo non credo) (Santi Grasso, Il Vangelo di Giovanni, Città Nuova, Roma, 2008, 773).

[17] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 97.

[18] Maggi A., Ma voi, chi dite che io sia?, incontro biblico - Cuneo il 6-8.6.2008, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze.

[19] Anche qui ritorna il numero 3. Gesù fa tre annunci della sua passione e riceve tre reazioni incongrue:

a) Mc 8, 31: Gesù dice che non potrà sottrarsi alla sofferenza perché verrà respinto dai suoi, i discepoli non capiscono e Pietro lo rimprovera, diventando Satana, perché vorrebbe che percorra un’altra strada.

b) Mc 9, 31: la reazione di tutti è di totale incapacità di capire.

c) Mc 10, 33: Giacomo e Giovanni chiedono subito dopo i primi posti accanto a un Gesù che immaginano trionfatore. Ma se Gesù ha appena detto per la terza volta che va a morire!

[20] Pietro prende l’iniziativa non in un’ottica comunitaria e di servizio, ma in un’ottica egoistica e personale: «io vado a pescare». Gli altri, il resto della comunità, gli va dietro, ma così segue Pietro invece di seguire Gesù, e quando si segue Pietro il risultato è il fallimento totale. Parlando della vite e dei tralci Gesù aveva detto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). Infatti escono in barca ma quella notte non pescano nulla. La notte, poi, non è soltanto la parte buia del giorno; la notte è l’assenza di luce, la mancanza di Gesù senza il quale non si può operare (Gv 9, 4). Ed è interessante appunto notare come nei vangeli questi pescatori, pur professionisti, non riescano mai a prendere un solo pesce senza l’aiuto di Gesù. Siccome non è pensabile che dei professionisti non sappiano pescare, la mancata pesca deve essere sempre intesa in senso teologico, e non in senso storico. Ma questo significa anche che, pur aspirando Pietro ad essere sempre il capo della comunità e a farsi seguire dagli altri, in realtà non ha ricevuto nessun incarico in tal senso; per di più se lo si segue si va al fallimento. Bisogna seguire Gesù, non Pietro.

[21] Maggi A., Commento al Vangelo di Giovanni, 14.4.2013, in www.studibiblici.it/Omelie.

[22] Ireneo, Adversus haereses III, 1, 1, in www.documentacatholica.eu. San Girolamo, La perenne verginità di Maria (Contro Elvidio), Città Nuova, Roma, 1988, 51s.

[23] Cfr. Schindler P., Petrus, SAT, Vicenza,1951, 134, e vedasi ancora ai giorni nostri il cardinal Tettamanzi, in “Famiglia Cristiana,” n.15/2012, 12, o n.15/2013, 15.

[24]Ad es. Schnackenburg R., Il Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia, 1977, P.I, 121 ss.

[25] Fabris R., Giovanni, Borla, Roma, 1992, 73; Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 109 s.; Brown R.E., Introduzione al Vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2007, 208 ss.,Wengst K., Il Vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2008, 776; Maggi A., Il mandante, Cittadella, Assisi, 2009, 37s. Ravasi G., Il discepolo amato figura del vero credente in Cristo, “Famiglia Cristiana”, n.46/2013, 116.

[26] Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 224.

[27] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 120.

[28] È stato Ireneo (nel secondo secolo) a sviluppare il tema della successione apostolica (Adv Her Libro III, Cap. 3, 3) e a sostenere che la retta dottrina degli apostoli viene solo attraverso la successione dei vescovi (Adv Her IV, 33, 8).

[29] Per fare solo qualche esempio, si pensi al primato preteso da Roma, al Filioque, al Purgatorio.


Numero 697 - 22 gennaio 2023