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Compianto sul Cristo morto - Guido Mazzoni, 1492 - Napoli, Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi 


Pasqua: la Risurrezione di Gesù



di Dario Culot

Il racconto biblico della consegna delle Tavole della Legge sul Sinai (Es 24 e 34), e il racconto della Trasfigurazione dell’evangelista Matteo (Mt 17, 1-9), che – è bene ricordarlo - scrive per gli ebrei, i quali ben conoscevano la Bibbia,[1] sono due racconti paralleli, ma con messaggi religiosi talmente diversi da risultare contrapposti. Sul monte Sinai si rivela un Dio temibile, che impone obblighi, minaccia e turba le persone. Sul monte della Trasfigurazione si rivela un Dio che elimina la paura, che si separa da Mosè e da Elia, che non infonde alcun turbamento, ma solo pace; per di più, l’evento si conclude parlando della risurrezione (Mt 17, 9), cioè di una vita senza alcun limite. Ossia, mentre il Dio del Sinai è il Dio del timore, delle imposizioni e delle minacce, il Dio della trasfigurazione è il Dio della vicinanza, della vita e della speranza. Due immagini di Dio contrapposte e inconciliabili. Tanto per dirne una, è evidente che la parola "risurrezione di Cristo" sta a significare innanzitutto che l’uomo Gesù non è finito in polvere, annientato per sempre dalla morte fisica, come invece aveva minacciato il Dio biblico (Gn 3, 19). Ovvio allora che, quando cambia la nostra idea di Dio, cambia anche la nostra vita[2].

Va subito detto che la risurrezione non è un'idea innovativa del cristianesimo. Se ne discuteva già nell’antichità e le opinioni erano molteplici e discordi: si andava dalla reincarnazione a chi credeva che tutto sarebbe finito con la morte biologica. Va anche aggiunto l’abbinamento morte-risurrezione è talmente radicato nella nostra cultura che neanche ce ne accorgiamo: pensiamo solo alle favole di Cappuccetto Rosso o di Biancaneve o della Bella addormentata nel bosco, che terminano con la morte della protagonista e la sua pronta risurrezione. Ormai sappiamo che dobbiamo rivolgerci alle Scritture in modo duttile, consapevoli che esse ci offrono nuovi significati che si dipanano davanti a noi proprio perché il pensiero, la cultura e l’esperienza degli uomini continuano a modificarsi nel tempo.

Nonostante tutto questo, la morte resta comunque per noi occidentali un ossimoro[3] insolubile, e difficilmente viene accettata come un fatto naturale, come avviene in altre parti del mondo. Si deve dar atto che il cristianesimo ha cercato di superarlo appunto con la risurrezione, ma è altrettanto chiaro che oggi la risurrezione così come spiegata al catechismo non può essere verificata e quindi accettata facilmente dall'intelletto, non avendo nessun uomo mai assistito al ritorno in vita sulla terra di persone defunte. Non essendo la risurrezione di Gesù Cristo controllabile storicamente è normale che se ne dubiti. Anzi, oggi è ancor più difficile credere a un evento tanto importante per la nostra vita soltanto perché questo ce lo hanno insegnato al catechismo o per la pretesa autorità di chi ce lo insegna. Sicuramente oggi non fa minima presa su di noi l’affermazione di Tertulliano secondo cui la risurrezione va creduta perché è impossibile[4].

Ma non dobbiamo sentirci in colpa se inarchiamo dubbiosamente le sopracciglia quando ci parlano di risurrezione, perché è il caso di ricordare che perfino uno degli apostoli (Tommaso) non aveva creduto ai suoi compagni che pur gli avevano raccontato di aver visto con i propri occhi Gesù risorto. E, per consolarci, va rimarcato che nelle cd. apparizioni Gesù non ha ammonito o minacciato chi avanzava dei dubbi in proposito; mica se l’è presa con Tommaso quando questi aveva detto di non credere alla sua risurrezione (Gv 20, 27). A differenza di quanto farebbero con sadica gioia gli odierni soldati di Cristo, Gesù non si è mai sentito offeso da chi faceva fatica a credere e arrancava tortuosamente tra mille dubbi. Anzi, l’evangelista Matteo, richiamando Isaia (Is 42, 3), attribuisce proprio allo stesso Gesù l’affermazione che il Messia non avrebbe mai spezzato alcuna canna fessa e non avrebbe spento alcun lucignolo fumante (Mt 12, 20).

Certamente anche la versione di Matteo non ci aiuta a credere, e sembra di primo acchito un controsenso: Gesù muore e risorge a Gerusalemme, appare lì alle donne, ma poi ordina loro di dire ai suoi discepoli di andare in Galilea dove lo vedranno (Mt 28,7ss.). Uno si chiede giustamente: ma perché devono fare tutti quei chilometri a piedi per vederlo? Se Gesù è risorto a Gerusalemme, se anche i discepoli sono a Gerusalemme, non era più ovvio che fosse lui ad andare da loro? E in effetti così avviene nel Vangelo di Giovanni (Gv 20, 19). Per Matteo invece bisogna andare in Galilea. Perché? Ovviamente siamo davanti a una indicazione teologica. Ancora una volta è chiaro che i vangeli non vogliono trasmetterci delle cronache storiche, ma delle verità teologiche. La Galilea è il luogo della storia quotidiana dove tutto è cominciato. Quindi, un invito a tornare all’inizio e cominciare a vivere il vangelo: solo così si potrà fare esperienza del risorto.

Se allora occorre prima vivere il vangelo, non è un caso se la risurrezione non è raccontata da nessuno dei 4 vangeli canonici nelle sue modalità. I vangeli canonici si limitano a parlare solo delle manifestazioni accessorie alla resurrezione, ma non spiegano l’evento nel suo svolgimento. Gesù è morto, fu sepolto, fu resuscitato, si diede a vedere (1Cor 15, 3-5): si tratta di una proclamazione della morte, risurrezione e apparizione di Gesù come Lieto Annuncio[5]. Ma dove si vede un Lieto Annuncio in questi quattro termini? Nel fatto che si annuncia che la morte in croce non è stata la sconfitta definitiva come immaginavano tutti, ma al contrario un successo vittorioso e la nascita di un nuovo mondo[6].

La risurrezione, questa azione creatrice di Dio che accoglie Gesù nel suo mistero insondabile è un evento che oltrepassa la struttura di questa vita e si sottrae a qualsiasi esperienza che possiamo avere. Non possiamo rappresentarla adeguatamente con nulla; per questo nessun evangelista ha osato narrare la resurrezione di Gesù[7]. Siamo chiaramente davanti a una interpretazione,[8] a un'affermazione di fede,[9] secondo cui Gesù - avendo fatto propri i valori di Dio - ha tanto amato nella sua vita terrena, che è potuto risorgere, cioè rinascere; ha potuto superare indenne la soglia della morte biologica venendo a trovarsi nella pienezza della vita umana.

E la Buona Notizia è che quest’uomo straordinario ha assicurato che assomigliando al Padre tutti noi umani possiamo diventare figli di Dio[10] e passare come lui indenni la soglia della morte:[11] «Se uno osserva la mia parola non morirà mai» (Gv 8, 51). Come ha detto san Giovanni della Croce[12] la morte, allora, non può essere amara perché non spoglierà la vita di quanto possiede, ma le darà il compimento dell’amore che desidera. Questa è indubbiamente una Buona Novella. Ma ne siamo assolutamente certi? Ovviamente ‘No’. Chiaro che questa promessa di salvezza che viene da Dio e di una vita che continua sotto un’altra forma non può essere una certezza comprovata documentalmente o scientificamente, ma è solo una speranza, perché tutto ciò che sta dopo la morte fa parte della trascendenza che non possiamo conoscere veramente. Rettamente è stato detto che non si può pretendere di fornire prove fisiche per una realtà che è trascendente[13]. Noi aspiriamo all’idea che il male (e la morte è il peggiore dei mali) siano vinti e questa salvezza venga da Dio, e per noi cristiani c’è un germe di salvezza proprio in Gesù: se neanche lui ha conosciuto per primo la risurrezione come potremmo sperare anche noi? Giustamente san Paolo dice: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra» (1Cor 15,17).

Si è detto più volte che tutto ciò che accade dopo la morte non è più un fatto storico, ma metastorico; non fa più parte dell’immanenza, ma della trascendenza, per cui nessuno (neanche il magistero della Chiesa) può razionalmente dire qualcosa al riguardo con certezza. Come ha ben detto lo psichiatra Vittorino Andreoli, il saggio non può descrivere cosa accade con la fine del tempo, perché non lo sa, e quindi nulla dice al riguardo[14].

Don Carlo Molari[15] ha ripetutamente fatto questo bell’esempio: il feto che sta ancora nella pancia della mamma, che pur vive a pochi centimetri dall’aria e dal mondo, non può dire nulla di cosa troverà in questo mondo: non ha l’esperienza, gli mancano gli strumenti per farlo. Nella pancia della mamma c’è tutto il mondo che conosce. Il nostro mondo, che per noi è immanente, per lui è trascendente. Noi, rispetto all’aldilà, siamo come quel feto nella pancia della mamma.

Però siamo a Pasqua e non si può parlare di Gesù senza parlare della sua risurrezione,[16] che resta l'evento centrale della fede cristiana[17]. Non c’è dubbio, infatti, che il punto di partenza della predicazione cristiana, vuoi degli apostoli, vuoi di Paolo (1Cor 15, 4; 1Ts 1, 10; Rm 10, 9), sia stata la risurrezione,[18] questa irruzione di Dio nella storia umana che provoca una discontinuità di questa storia e ci immette su un altro piano[19].

Mi rendo conto, a questo punto, che quei cristiani che non accettano nessun dubbio cominceranno già a innervosirsi al sentir dire che la risurrezione non è un fatto storico, e mi replicheranno che i vangeli ci raccontano di vari testimoni che videro e sentirono parlare Gesù risorto: questi testimoni erano vivi e quindi siamo in presenza di un fatto storico. È vero. Però il fatto storico è la testimonianza di queste persone, cioè un fatto diverso dalla risurrezione di Gesù, perché le apparizioni sono esperienze individuali che gli apostoli e altri hanno fatto, e i racconti di questi testimoni sono semplicemente descrizioni di esperienze che essi hanno vissuto; ma non è detto che di per sé essi toccavano Gesù risorto con le mani o sentivano con le orecchie le sue parole[20]. Ora, in tutte le lingue non ci sono sufficienti parole per descrivere compiutamente l’interiorità (provate a descrivere compiutamente cos’è l’amore), per cui la stessa viene descritta con manifestazioni esterne (come appunto queste asserite apparizioni del risorto; o pensiamo alla descrizione della colomba che scende dal cielo al momento del battesimo di Gesù). La realtà si trova sempre oltre le parole che noi utilizziamo per esprimerci; cioè le parole esprimono il nostro rapporto con le cose, con la realtà, con le persone, ma non riescono mai ad esprimere tutta la profondità del reale, non riescono mai a tradurre pienamente la realtà. Ecco perché, ancora oggi, il silenzio riesce spesso a dire ciò che un insieme di parole non riescono a dire, e le nostre parole sono state e sicuramente sono sempre inadeguate per tradurre la realtà di Dio.

Ma vediamo anche come si è evoluto il racconto della risurrezione. Intorno al 52 d.C., Paolo scrive per primo, in 1Ts 1, 10, semplicemente che Gesù è morto e risorto. In 1Cor 15 è morto e risorto secondo le Scritture, e aggiunge che è apparso. Marco, il primo evangelista, non dice nulla oltre all’annuncio, e il suo vangelo finisce con le donne che scappano. Nel suo vangelo non ci sono apparizioni. Verso gli anni 80 Matteo scrive il suo vangelo e parla di un’apparizione. Circa dieci anni più tardi, Luca scrive il suo vangelo e parla di tre apparizioni, compresa quella di Emmaus. Intorno all’anno 100, Giovanni scrive l’ultimo vangelo e parla di 4 apparizioni, ma presenta anche un Gesù sempre più fisico. Stranamente, dunque, mentre Paolo e Marco non scrivono quasi nulla, col passare del tempo, il racconto si è ampliato, si è sentita la necessità di aggiungere parole. Paolo parlando della sua conversione sulla via di Damasco, dice chiaramente che ha avuto un’apparizione, ma cosa si è visto? Con gli occhi? Negli Atti degli apostoli (At 9, 7s.) risulta che gli altri che erano con lui sentono, ma non vedono nulla, e quando Paolo si riprende è cieco. Allora forse neanche lui ha visto con gli occhi, posto che al momento aveva gli occhi che non vedevano niente.

Nei racconti giudaici di conversioni, la conversione di un pagano alla legge giudaica viene spesso chiamata illuminazione ed è descritta secondo il modello classico della "visione di conversione": all'improvviso si è investiti da una luce violenta e si sente una voce. Anche la visione di Paolo sulla via di Damasco (At 9, 3)  è chiaramente composta secondo questo modello. Nel giudaismo "non vedere" o accecamento diventa immagine di una chiusura (colpevole) alla rivelazione di Dio; all'inverso, vedere è l'immagine dell'accesso dell'uomo alla salvezza offerta da Dio (Dt 29, 2-4; Is 6, 9; 42, 6-7; 56, 10; 59, 10; Ger 5, 21). Il simbolo della luce e della vista è stato ripreso dal cristianesimo nel senso di conversione (Rm 13, 12; Ef 5, 8; 1Pt 2, 9)[21].

Pertanto è possibile che si sia parlato di apparizioni perché non si riusciva a descrivere l’esperienza vissuta con parole diverse. Ma di per sé le apparizioni non servivano (tanto che mai si dice che Maria ha avuto l’apparizione del figlio morto).

Quale esperienza hanno realmente vissuto quelle persone non lo sappiamo. Possiamo immaginare che fra i discepoli è successo che, se prima Gesù era fisicamente in mezzo a loro, dopo lo sentono dentro di loro e riescono a interpretare meglio il messaggio che – quando Gesù era con loro - non avevano ancora capito. Sicuramente è accaduto qualcosa che ha fatto credere ai discepoli che Gesù riprendeva contatto con loro, e questo ha sconvolto la loro vita perché hanno improvvisamente ritrovato la parola, si sono sentiti tornare alla vita, esattamente come lui. Il ritorno alla vita di Gesù si è imposto malgrado la loro incredulità (avendolo visto morire), come un'esperienza di cui alla fine non potevano più dubitare. Di certo gli apostoli hanno cominciato a vedere Gesù in maniera nuova e inattesa, e la sua libertà è diventata “contagiosa,”[22] per cui i discepoli raccontano la storia di un uomo libero che li aveva resi improvvisamente liberi[23]. Teniamo infatti presente che Gesù libera senza legare, senza impossessarsi di chi ha liberato. Come si vede fin dall’inizio del vangelo di Marco, Gesù dopo averli liberati lascia andare sia l’indemoniato della sinagoga, sia il lebbroso, sia l’indemoniato di Gerasa. L’opposto di quanto aveva detto, in alcuni passi che si prestavano - se male interpretati - ad una simile visione, il temibile Dio biblico, che avendo liberato gl’israeliti dalla schiavitù egiziana, sembrava considerarli soltanto suoi servi (Lv 25,55: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese dEgitto. Io sono il Signore vostro Dio»).

Hanno discusso fra di loro e sono arrivati a concludere che Gesù era risorto? Personalmente credo che ci sia stato qualcosa di più, perché lo shock per la morte del maestro e la paura di finire loro stessi ammazzati non può essere superata in pochi giorni da un ragionamento sia pur convincente. Se così fosse, a chi ha paura di volare basterebbe fare un bel discorso statistico, mostrandogli che l’aereo è meno pericoloso del treno e dell’auto, e la paura di volare dovrebbe svanire: ma sappiamo non è così! Credo che per superare un’emozione forte di paura occorra quanto meno una contro-emozione altrettanto forte, mentre non basta un bel ragionamento.

Come allora esprimere questa raggiunta consapevolezza che il morto è tuttora il vivente? Con la tomba vuota? No di sicuro. Per trent’anni c’è stata solo una trasmissione orale, e per trent’anni non compare nessun sepolcro vuoto. La tomba vuota non è prova della resurrezione: è una descrizione necessaria per far intendere più tardi che Gesù era vivo, ma non è costitutiva della resurrezione[24].

Un unico dato invece è certo. Quando Gesù è morto ha lasciato i discepoli delusi e scoraggiati: questo prima della Pasqua. Poi, improvvisamente, li troviamo completamente trasformati e capaci perfino di affrontare la morte senza paura. Cosa è veramente successo non si sa. Tutto quello che possiamo dire è che qualcosa di notevole e non previsto deve essere accaduto[25].

Va anche osservato che gli apostoli sono stati quasi tutti martirizzati. Ora è impossibile giocare la propria vita su un inganno ideato in mala fede, che poi non avrebbe portato agli apostoli neanche uno di quei vantaggi di potere personale cui aspiravano quando avevano seguito Gesù in vita: non sono diventati ricchi, non sono diventati potenti; invece il messaggio di amore servizievole, che non avevano accolto quando Gesù era in vita, l’hanno accolto dopo che era morto. Ora, è ben vero che chi è fanatico è disposto anche a morire per le sue idee sì che, per noi, il suo sacro zelo non è affatto prova della veridicità delle sue convinzioni. Qui, però, al momento notturno dell’arresto del loro maestro, erano tutti scappati a gambe levate, nessuno di essi aveva osato seguirlo sotto la croce,[26] e tutti impauriti e con la coda fra le gambe erano rimasti rintanati nel cenacolo per più giorni. Evidente che con la morte del loro maestro erano convinti che tutto fosse finito e che non ci fosse più alcuna speranza[27]. Poi, improvvisamente, sono tornati in pubblico disposti a dare la propria vita: dovevano essere assolutamente convinti da qualcosa di veramente eccezionale. Da cosa erano rimasti convinti?

Quello che si può dire è che, poiché Gesù non ha fatto mai altro che apparire, rendersi presente e scomparire senza che nessuno potesse trattenerlo (Lc 24, 31; Gv 20, 17), - almeno stando ai racconti - non si è trattato di un ritorno alla vita in questo mondo, non facendo egli più parte dei viventi di questo mondo[28]. I discepoli non hanno allora toccato Gesù con le loro mani, perché questo era impossibile stando Gesù al di fuori della portata dei loro sensi[29]. Se il risorto fosse stato fisicamente toccabile, se avesse mangiato con i vivi, se fosse tornato a camminare in Palestina sarebbe stato necessariamente limitato dalle leggi dello spazio, vale a dire non sarebbe risorto: saremmo davanti alla rianimazione di un cadavere.

Eppure la risurrezione viene ancora intesa da molti in questi termini: era ormai un cadavere, ma questo cadavere è tornato in vita, alla stessa vita di prima. Però oggi sappiamo che quando il cervello o il cuore si deteriorano, farli tornare perfettamente funzionanti implicherebbe una sovversione delle leggi di natura[30]. Perciò è impossibile credere a questa immagine della tomba che dopo tre giorni si scoperchia e Gesù, alzatosi in piena forma, esce dalla stessa e riprende tutto pimpante il suo ritmo precedente di vita, senza alcun danno al cuore e soprattutto al cervello che per tre giorni non ha ricevuto più ossigenazione. Ancor di più: non si capisce per quale motivo Gesù sarebbe morto per tre giorni per poi risorgere: o e risorto subito o non e risorto! Nemmeno si capisce perché questo Gesù redivivo non avrebbe continuato la sua missione fino alla vecchiaia.

Oggi perciò si può dire che tutti gli studiosi concordano nel dire che la risurrezione non è la rianimazione di un cadavere,[31] bensì è la trasformazione della vita per cui tutte le energie nascoste nella persona potranno esplodere senza più essere limitate dalla carne: il seme diventa finalmente spiga, che è qualcosa d’altro, però è anche unito al seme (Gv 12, 24). Paradossalmente la morte (del chicco di frumento) incrementa la vita del frumento (che diventa una bella spiga senza perdere l’originaria identità di frumento). Oppure pensiamo al bruco che diventa farfalla. C’è una continuità, il che sta a dimostrare che la vita continua, si trasforma, ma non muore, anche se il seme e il bruco sembrano morire. Gesù muore, ma è già il vivente entrato in un’altra dimensione (Luca parla di gloria 24, 26), qualcosa di totalmente altro.

La morte biologica, dunque, non è un incidente di percorso, e soprattutto non è la fine di tutto, ma è un passaggio necessario per raggiungere una forma più perfetta[32]. La risurrezione è passaggio dalla condizione mortale a una immortale trascendente la vita naturale, dal momento che veniamo misteriosamente resi partecipi della vita di Dio. Dunque è la vivificazione dell'essere mortale che viene elevato sopra la condizione mortale. La vera creazione di Dio culmina con la vita che supera la morte, che viene svuotata così della sua drammaticità. La morte fisica non ci toglie nulla, è una nuova nascita che ci viene incontro per regalarci finalmente la pienezza di vita e farci sprigionare tutte le nostre potenzialità. Ecco che diventa così il fulcro della Buona Novella[33].

È pacifico che la qualità di amore espressa da Gesù è apparsa ai discepoli totalmente inaudita e straordinaria, sì che hanno dedotto che era impossibile che l’uomo di Nazareth potesse aver trovato simile capacità di amore nelle povere ‘riserve’ della sua natura umana. Viste le loro stesse limitatezze ne erano pienamente consapevoli. Hanno allora concluso che questa capacità gli era venuta da Altrove, che Dio fosse in lui[34]. Se, poi, come spiegano i vangeli (ad es. Lc 20, 38) Dio è il Dio dei viventi, i primi cristiani sono giunti logicamente alla conclusione che, se Gesù sta in Dio, necessariamente continua a vivere, perché Dio è vita. Questo significa che Gesù, immagine e rivelazione di Dio, continua a vivere e quindi è il Vivente per sempre, e vive in modo da continuare ad essere anche per noi immagine e rivelazione di Dio[35].

Se la risurrezione fa sentire il resuscitato vivente e presente, essa non è un privilegio visivo concesso a qualche individuo fortunato di duemila anni fa, non è un fatto unico nella storia avvenuto allora e non più ripetibile,[36] ma è una possibilità per tutti i credenti, di ieri[37] e di oggi. In che modo?

In Mc 14, 9 (l’unzione di Gesù da parte di una discepola anonima, nella casa del lebbroso Simone, con gran quantità di costosissimo nardo) può dare un’idea verosimile sulla risurrezione intesa come vita che continua. La risurrezione non è una questione da risolvere a livello storico, non si dimostra come un problema di geometria o di matematica, ma è qualcosa che si può vedere solo attraverso la fede della comunità: come può la comunità rendere presente Gesù nella storia? Come se fosse un profumo che si espande nella casa e che tutti possono percepire anche se non vedono nulla; ma questo avverrà solo quando la comunità sarà pronta a spendere la vita per gli altri, in piena imitazione di Gesù.

Anche il quarto evangelista dice qualcosa di analogo a proposito degli apostoli: «Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20, 9). Laccoglienza della parola del Signore, il vivere questo messaggio radicale nella propria vita, operano nel discepolo una completa trasformazione, e permettono ad ogni seguace di Gesù di avere una vita di una qualità tale che gli fa poi sperimentare la vicinanza del Maestro nella sua esistenza, come se fosse lì con lui, e quindi risorto. Del resto il Vangelo di Matteo finisce con questa apertura universale: io sono con voi per sempre (Mt 28, 20), e questo voi comprende in realtà anche tutti noi.

In conclusione, pensare alla Risurrezione è pensare a un’altra dimensione di vita, a un ingresso in una nuova modalità di esistenza,[38] senza poter dire molto altro. Però si capisce bene che la nostra vita ha un senso ben diverso se con la morte biologica finisce tutto, oppure se la vita nostra continua seppur in un’altra forma.

Auguri di Buona Pasqua a tutti!

 


NOTE

[1] Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 127. Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 222.

[2]  Castillo J.M., omelia del 5.3.2023 sulla Trasfigurazione.

[3]Ossimoro è quella figura retorica che consiste nell’accostare parole che esprimono concetti opposti (es. ghiaccio bollente).

[4]Sicuramente è per noi inaccettabile l’idea di Tertulliano secondo cui “Cristo è certamente risorto, il fatto è certo perché è impossibile” (Tertulliano, De carne Christi, V, 25, in: www.documentacatholicaomnia.eu, versione latina).

[5]Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia, 1976, 370.

[6] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 190.

La vita di Gesù non si è conclusa sulla croce perché non è stata annientata dalla morte, ma attraverso di essa è entrata nella pienezza di Dio. Per questo Gesù è il Risorto, il Cristo glorificato al di sopra dei limiti dello spazio e del tempo. Per questo, come accade con Dio, non si può vederlo, i nostri sensi non possono percepirlo. Eppure il Risorto ha la capacità di continuare ad essere presente e agente nella storia, in modo tale che possiamo vivere la sua presenza e comunicare con la sua vita in unEucarestia a Roma o aiutando un povero in Africa. (Torres Queiruga A., Visibile o invisibile? Dialogo sulla realtà di Cristo risorto, in www.30giorni.it, n.1/2008).

[7] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 470.

[8] Penna R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo, ed. EDB, Bologna, 2012, 153.

[9] La risurrezione di Cristo è una testimonianza di fede della prima comunità cristiana, non una testimonianza di un fatto storico (Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 9).

[10] Lc 20, 36 vincola la nostra filiazione alla risurrezione.

[11] Se uno si orienta correttamente in questa vita, la sua stessa vita è già definitiva e in grado di superare la morte perché la sua è una vita senza limiti (Castillo J.M., I poveri e la teologia, Cittadella, Assisi, 2002, 239-246). Chi invece resta chiuso nel suo egoismo, chi resta chiuso nel suo bozzolo, non va al di là dello stadio di crisalide, e se non si trasforma per tempo in farfalla, marcisce dentro il suo bozzolo.

[12] Giovanni della Croce, Cantico spirituale, B, 11, 10. Vedasi anche il Finale del Cantico dei Cantici: ‘Forte come la morte è l’amore!’

[13] Torres Queiruga A., Visibile o invisibile? Dialogo sulla realtà di Cristo risorto, in www.30giorni.it, n.1/2008. 

[14] Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 199.

[15] Molari C., La fede nel Dio di Gesù, Camaldoli, Poppi (AR), 1991, 41.

[16] È stato anche fatto notare come – in Israele - si era giunti alla convinzione della resurrezione in base a un ragionamento teologico, e non per mera fede: i giudei ellenizzanti, disobbedienti alla legge, non erano stati perseguitati e non erano stati uccisi. Gli ingiustamente uccisi (per la loro obbedienza alla Torah) dovevano allora essere richiamati in vita, perché a torto essa era stata loro tolta. Con Daniele (Dn 12, 2) la resurrezione non è tanto un evento riparatorio o salvifico, ma il mezzo per rendere i morti (buoni o cattivi) soggetti vivi nel giudizio finale dove si avrà necessariamente punizione o premiazione (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 549s.).

[17]Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 9. Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 153. Vouga F., Il cristianesimo delle origini, ed. Claudiana, Torino, 2001, 32. Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 286s., 336ss.

Il fatto che il Padre sia l’agente della resurrezione di Gesù portò Paolo a riconoscere che punto specifico della dottrina cristiana è che Dio sta o cade su questo punto (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 52. Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede (1Cor 15,17).

[18] Corso audio, lezione n.4, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org. Kasper W., Introduzione alla fede, ed. Queriniana, Brescia, 1983, 69. Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 153. Ruppi C., Quali sono il senso e la portata salvifica della resurrezione?, “Famiglia Cristiana” n.29/2007, 13. Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, II parte, ed. Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2011, 269. Iovino P., L'affanno dell'uomo: chi cercate? Non è qui, in "Quale Dio, quale uomo oggi?", ed. Cittadella, Assisi, 2007, 226. Per il Catechismo, sono però punti centrali, oltre alla risurrezione (n.638 Catechismo), l’incarnazione (n.463 Catechismo) e la crocifissione (n.607 Catechismo), e per la mia generazione la croce è stata sicuramente il fulcro del cristianesimo.    

[19] Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 9.

[20] Osserva un noto vescovo olandese che le apparizioni non sono minimamente raccontate in senso storico, come prova della resurrezione, ma mirano piuttosto a legittimare la missione apostolica, tant'è che il Credo tace sulle apparizioni di Gesù (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 372).

[21] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia, 1976, 402.

[22] Idem, 131ss.

[23] Dopo aver mandato i 12 in missione (Lc 9, 1) col solo potere di curare le malattie e cacciare gli spiriti maligni, Gesù manda anche i 70 non ebrei (Lc 10, 1) e solo questi ultimi riescono a cacciare gli spiriti (Lc 10, 17; Lc 9, 6 e soprattutto 40). Come mai? Proprio perché i discepoli ebrei, non essendo ancora liberi, non riescono a liberare.

[24] Molari C., La pietra rotolata: ripensare la risurrezione, Rocca n.21/2015, 49.

[25] Van Buren P., The secular Meaning of the Gospel, SCM Press, Londra, 1963, 128.

[26] Neanche Giovanni, perché oggi sappiamo il discepolo amato è un modello di discepolo, ma non è Giovanni.

[27]Si ricorda che per gli ebrei, dopo la morte dovevano passare tre giorni per essere sicuri che non c’era speranza: (Gio 2, 1) Giona sta 3 giorni interi nel ventre del pesce, per cui si era sicuri che fosse morto; invece viene sputato fuori. (Lc 24, 21) i discepoli di Emmaus dicono che siamo ormai al terzo giorno, per cui non c’è speranza, Gesù è sicuramente morto. (Gv 11, 39) nella resurrezione di Lazzaro, quando Gesù ordina di togliere la pietra, Maria afferma che siamo ormai al quarto giorno, per cui il corpo puzza.

[28] Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 336s.

[29] Torres Queiruga A., La risurrezione senza miracoli, ed. La Meridiana, Molfetta (BA), 2006, 42 e 46.

[30] Ma anche senza le nostre conoscenze, la questione della resurrezione dei morti venne contestata in ambiente greco già dai primi cristiani (cfr. 1Cor 15, 12), i quali non laccettavano come realtà fisica.

[31] Lo stesso papa Benedetto XVI ha riconosciuto che la resurrezione di Cristo non è da intendersi in senso biologico (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 297).

[32] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 145.

[33] Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 130.

[34] Mori B., Per un cristianesimo senza religione, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 204.

[35] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB. Bologna, 2019, 389.

[36] Il papa emerito, invece, afferma che la resurrezione ha fondamento storico (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 11), senza particolari spiegazioni ulteriori.

[37] Si pensi all’incontro dei due discepoli con Gesù sulla strada di Emmaus. All’inizio non lo riconoscono. Lo riconoscono nel momento in cui Gesù spezza il pane; ma nello stesso istante nel quale i discepoli si rendono conto della sua presenza, lui diventa invisibile (Lc 24, 31) (Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011, 165).

[38]  Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 469.