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Pier Paolo Pasolini nella borgata del Quarticciolo a Roma - 1960, foto de L'Espresso tratta da commons.wikimedia.org

Se Pasolini leggesse la nuova Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium”



di Stefano Sodaro


Dopo un tempo quasi infinito – ma l’infinito è la dimensione temporale normale per i cronoprogrammi ecclesiastici -, ha visto ieri la luce la riforma della Curia Romana, con la promulgazione della nuova Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium”, a firma di Francesco Papa.

Una compiuta analisi giuridica, ed un correlato approfondimento ecclesiologico, richiede altre sedi ed altri tempi – sperabilmente non infiniti però – per cogliervi le effettive novità e registrare anche, viceversa, le continuità consolidate e non innovative. Subito, ad esempio, è forse possibile annotare che la sparizione del termine “Congregazione” al posto dell’aggiornato “Dicastero” è, appunto, mera sostituzione terminologica priva di ulteriori differenze, dal momento che la struttura interna del “Dicastero” è interamente confermata, a partire dalla figura apicale del Prefetto.

Ma – scavalcando arbitrariamente ogni dotta considerazione teologica e canonistica, con un ricorso senza troppi imbarazzi alla fantasia – proviamo ad immaginare che cosa penserebbe di questa riforma della Curia Romana l’ormai centenario autore del Vangelo secondo Matteo.

Intanto criticherebbe la lingua, alquanto pasticciata e un po’ intollerabilmente cacofonica. Venendo al campo dei nostri – miei – specifici interessi di studio, l’Art. 82, relativo alla disciplina del nuovo “Dicastero per le Chiese Orientali”, dispone, al § 2: Poiché alcune di queste Chiese, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, sono di tradizione antica, il Dicastero esaminerà di volta in volta, dopo aver consultato, se necessario, i Dicasteri interessati, quali questioni in materia relativa al governo interno possano essere lasciate alle loro superiori Autorità, in deroga al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Al di là di una certa vaghezza – non proprio auspicabile in un testo che ha pure effettivi e concreti risvolti giuridici (“dopo aver consultato, se necessario…” etc etc…: e chi decide se sia necessario oppure no? E cosa succede se tale giudizio si riveli errato perché era necessario consultare un altro Dicastero o perché l’altro Dicastero è stato indebitamente interessato magari impedendo l’adozione di un provvedimento che il Dicastero per le Chiese Orientali riteneva invece necessario?), colpisce il cortocircuito linguistico, diciamo così, nell’affermare che “le antiche Chiese patriarcali sono di antica tradizione”. E già: sarebbe mai possibile sostenere, al contrario, che le antiche Chiese patriarcali non sono antiche? Pierpaolo ne sorriderebbe, forse anche ci metterebbe una sguaiata risata di qualche suo personaggio appositamente forgiato, un monsignore, un reverendo, un “borghese”.

Ma la norma di “Praedicate Evangelium” che sicuramente colpisce più di tutte è la seguente, contenuta all’interno della Parte II, dedicata ai “Principi e criteri per il servizio della Curia Romana”: 5. Indole vicaria della Curia romana. Ogni Istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi.

Qui la parola “potestà”, altrettanto cacofonicamente, è usata per addirittura tre volte di seguito. C’è una potestà ricevuta dal Papa, c’è la potestà propria della Curia, c’è la potestà di governo rispetto alla quale, francamente, risulta piuttosto arduo individuare una legittimazione di presenze laicali. Ed infatti, direbbero i giuristi, viene fatta espressa riserva di rispettare “la peculiare competenza, potestà di governo e funzione” di un Dicastero od Organismo. In ragione di tale riserva appare pressoché impossibile immaginare che “qualunque fedele”, magari anche laico e magari anche donna, presieda il Dicastero per i Vescovi o quello per il Clero.

Però la norma – pur con tutti i distinguo e le eccezioni e le riserve – ora c’è, esiste, è scritta.

Se già la sceneggiatura e la regia del Vangelo secondo Matteo gettarono nel panico assetti curiali e fervori tradizionalisti cattolici, figuriamoci che cosa potrebbe accadere oggi con l’allestimento di un’opera cinematografica – pasoliniana ma, purtroppo, ahinoi, senza Pasolini – che s’intitolasse “Praedicate Evangelium”. Eppure sarebbe il caso di pensarci. E di proporlo.

Buona domenica.