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Truppe sovietiche in Ucraina nel 1944 - foto tratta da commons.wikimedia.org


Europa, Russia e Ucraina

di Dario Culot

Dovremmo riflettere su quanto i buoni, ovviamente sto parlando di noi occidentali, siano davvero buoni, ma ancor di più su quanto i cattivi, ovviamente sto parlando dei russi, abbiano davvero paura di ciò che possono fare i buoni.

Noi ‘buoni’ sapendo di rappresentare il bene siamo convinti che nella lotta tra il bene e il male, saremo noi a vincere, in un modo o nell’altro. I ‘cattivi’ russi sanno invece che i buoni, pur spendendo nell’insieme per la difesa più di quanto spende la Russia, sono un po’ mollaccioni e perciò deboli e incapaci di reagire (hanno invece sbagliato i calcoli sulla capacità di reazione degli ucraini: gli italiani sarebbero stati capaci di resistere allo stesso modo?); per di più i russi, che pur non hanno fatto una gran bella figura col loro esercito, sanno che i mollaccioni non sono per niente ben organizzati come eserciti[1]. Ciò di cui i ‘cattivi’ hanno però realmente paura è un blocco economico-finanziario, ma che sia un vero blocco. Invece anche qui, pur minacciando sfracelli, l’Europa da una parte offre armi all’Ucraina, dall’altra finanzia la guerra di Putin versandogli per gas-petrolio (almeno a leggere i giornali) niente po’ po’ di meno che 800 milioni di euro al giorno, quando a lui la guerra costa 400 milioni al giorno. Se solo avessimo il coraggio di applicare in casa nostra una vera economia di guerra (stiamo per un po’ al freddo, come tocca agli ucraini, ma tanto la stagione calda si avvicina; quella minor energia che importiamo in Italia sia riservata in via prioritaria alle nostre fabbriche[2]) molto probabilmente costringeremmo Putin a negoziare o a dichiarare il fallimento dello Stato entro l’estate.

Parliamoci chiaro: se la Russia domani smette il suo attacco armato, la guerra finisce. Se l’Ucraina, che non ha aggredito nessuno, domani smette la sua difesa armata, finisce lei, trionfa chi ha iniziato impunemente la guerra e cominceremo a chiederci: visto che prima c’è stata la Georgia, poi la Siria, la prossima sarà la volta della Moldavia o della Finlandia? A quando il nostro turno? Perciò invocare a gran voce la pace, gridare che bisogna deporre le armi e negoziare, non basta e soprattutto non serve: la strage di Sebrenica è ancora lì a ricordarcelo. Se gli ucraini non avessero opposto una feroce resistenza armata non solo non ci sarebbe più l’Ucraina, ma non ci sarebbe neanche bisogno di gridare ‘pace! pace!” e di parlare di negoziati. Infatti, chi viene schiacciato e asservito non può negoziare, non può gridare, e al più finisce come gli uomini di Sebrenica. Mi sovvengono la parole dello storico romano Tacito “Dove fanno un deserto lo chiamano pace”[3]. Analogamente, una volta schiacciata ogni resistenza, Putin direbbe sicuramente che, grazie a lui, è tornata la pace in Ucraina. Ma pace non significa subire in silenzio ogni sopruso pur di evitare il peggio. Forse è da ricordare che pace è solo quella che nasce dalla giustizia, e proprio questo dovrebbe impedire al cristiano di prendere una posizione “terza” ed equidistante tra aggressore e aggredito. Il cristianesimo non è per la pace a qualsiasi costo, anche a costo della perdita della dignità, della libertà, dell’ingiustizia e dell’insicurezza. Una non-guerra non vuol dire pace.

Molti hanno sostenuto che non si dovevano inviare armi agli ucraini, anche se attaccati, perché:

• L’art.11 della nostra Costituzione ripudia la guerra. È vero, ma tale articolo non termina affatto con questo unico inciso, per cui non può essere letto nel senso di concedere ampio spazio ad ogni aggressione. Come aveva spiegato il costituzionalista e parlamentare Stefano Ceccanti in un suo intervento, lo stesso articolo 11 prevede una auto-limitazione della sovranità nazionale per azioni comuni di difesa. L’art.11, cioè, vieta certamente l’utilizzo della violenza armata come strumento di offesa, esattamente ciò che invece ha fatto Putin iniziando una guerra di aggressione contro uno Stato sovrano che non l’aveva aggredito. L’articolo in questione non vieta invece una guerra di difesa, tanto che il successivo articolo 52 prevede proprio come dovere costituzionale quello di difendere l’Italia. Va pi aggiunto che la difesa non deve scattare solo quando un aggressore supera i nostri confini nazionali perché, proseguendo nella lettura dell’art.11, si chiarisce che l’Italia ha ceduto parte della propria sovranità ad organismi internazionali (tipo ONU, UE, ecc.) che mirano al mantenimento della pace e allo sviluppo della collaborazione internazionale a un livello sovrannazionale: quindi, la non-guerra non è un valore assoluto, essendo altrettanto importante la nostra sicurezza, e una giustizia che coinvolga anche a livello sovrannazionale, e non riguardi solo uno Stato. Ogni intervento militare (invio di armi e/o truppe combattenti) che non rientra in una guerra offensiva va dunque valutato concretamente, di volta in volta, in più ampio quadro di difesa collettiva, e non è automaticamente illegittima neanche per la nostra Costituzione.

• violenza genera solo violenza. Però è anche vero che la violenza che non trova alcuna opposizione non trova altro limite che in sé stessa e così chi vuole la pace in assoluto evita di scontrarsi contro chi la violenza la mette in atto. La proclamazione del principio di chi grida ‘pace! pace!” è perciò abbastanza facile finché la violenza è volta esclusivamente verso terzi e non verso chi grida. Se coloro che gridano andassero a gridare in corteo a Kiev, o a Mariupol, probabilmente lì non li lascerebbero neanche gridare. Avete visto la coraggiosa giornalista russa che ha interrotto il telegiornale nazionale, non con la violenza, ma issando un cartello con su scritto “No war” e altro? Non è che l’hanno invitata a un talk-show televisivo per confrontarsi con le sue idee. Le uniche idee ammesse in questo momento in Russia sono quelle ufficiali, tanto che la Russia è dovuta uscire dal Consiglio d’Europa prima di essere subissata alla Corte di Strasburgo da una marea di ricorsi per violazione dei diritti che, qui in Occidente, consideriamo inviolabili. Lo erano anche per la Russia, finché si sottometteva al giudizio della Corte di Strasburgo.

In ogni caso, la stessa Chiesa ammette la legittima difesa (nn.2263ss. Catechismo; cfr. pure la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo - Gaudium et spes § 79, del 7.12.1965[4]), e quindi nessuno può imporre ad un altro di non difendersi, come alcuni vorrebbero fare con gli ucraini, ostinatamente attaccati alla loro libertà e alla loro dignità[5]. Il tragico è che sia i russi, sia gli ucraini, sia noi occidentali siamo in grande maggioranza cristiani. Ma chi fra noi cristiani, che si proclama credente, crede veramente in un Dio che vince non uccidendo, ma facendosi uccidere?[6] Assai pochi, io credo[7]. Sicuramente, nel corso dei secoli e anche oggi non stiamo offrendo al mondo una bella immagine di quel Dio in cui diciamo pur di credere.

In quest’ottica, secondo cui violenza genera violenza, in un intervista data a metà marzo al “Corriere della sera”, il fisico Carlo Rovelli ha affermato che inviare armi in Ucraina è sbagliato perché così si dà più importanza allo scontro che alla fine delle ostilità, e più durano le ostilità più dura è la sofferenza della popolazione. Sicuramente questo è vero. Ma mi sembra altrettanto vero che l’Occidente non si limita all’invio di armi, il che porterebbe esattamente al risultato indicato dal fisico: col solo invio di armi difficilmente l’Ucraina potrebbe vincere mettendosi sul solo piano della guerra con la Russia, e questo prolungherebbe solo la sua agonia. In realtà l’Occidente sta usando più vie in contemporanea; in particolare cerca di aumentare la pressione economica per premere sui negoziati, mentre chiaramente nessun negoziato potrebbe più esserci se l’Ucraina smettesse in poco tempo di difendersi; ma per difendersi ha bisogno di armi, e solo se la Russia non riesce a soggiogare in poco tempo l’Ucraina si vedrà costretta ad accettare un negoziato. Altrimenti porterà in Ucraina la sua pace, a costo di farne un deserto. Per di più, di fronte alle velate minacce russe di usare armi chimiche o perfino nucleari, ogni pressione da parte dell’Occidente perderebbe di credibilità e peso se la Russia fosse convinta che comunque viene esclusa in radice ogni forma di una nostra risposta militare, anche davanti alla prospettiva di città rase al suolo e di strage di civili inermi.

• anche l’Occidente ha le sue colpe. Sicuramente anche questo è vero, perché il giusto e lo sbagliato non si separano mai con un colpo secco di coltello. Dunque, sicuramente si poteva e si doveva far prima qualcosa di più per prevenire e per buttare acqua sul fuoco; ma ora si deve affrontare la situazione del momento, e al momento l’unica aggressione violenta è partita dalla Russia, che forse non ha un incipit come quello del nostro articolo 11 della Costituzione (e se lo ha, lo ha violato).

Le contraddizioni europee poi non mancano neanche all’interno dell’Europa, perché è pura ipocrisia sollecitare da un lato la riduzione dei debiti statali e dall’altro sollecitare l’imposizione di sanzioni economiche sempre più pesanti verso la Russia: è chiaro che ogni guerra ha sempre costi assai elevati per tutti (al momento per noi solo economici), e la semplice contrazione della nostra economia per le vicende belliche, che toccano comunque il commercio e i prezzi, di per sé impedisce di ridurre il nostro già spaventoso debito nazionale. Ovvio che noi occidentali non siamo stati e non siamo perfetti né all’interno della UE né all’esterno. Dire però che per reagire bisogna essere prima perfetti e puri è altrettanto ipocrita e irrazionale perché nessun uomo è perfetto, sì che nessun Stato può dirsi perfetto. Infatti nessuno diventa migliore perché appartiene a uno Stato o a una comunità; sarà migliore solo come individuo, per cui una somma di individui comunque imperfetti per natura non crea mai un popolo perfetto, né altra comunità perfetta. Solo la Chiesa cattolica a un certo punto della storia ha considerato sé stessa l’unica società perfetta,[8] convinta di essere lei l’immagine perfetta del Regno di Dio. Che supponenza! Per fortuna dopo la II guerra mondiale e dopo il concilio Vaticano II la Chiesa si è ridimensionata.

• anche il vangelo proibisce in assoluto ogni tipo di violenza. Infatti Matteo 5, 39-41 (e nello stesso senso ma un po’ più sfumato Luca 6, 27-30) recita: «non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due».

Non dimentichiamo però che, davanti alla profanazione del Tempio del Padre, Gesù ha cacciato con uno scudiscio tutti quelli che lì oltraggiavano quotidianamente la dignità del Padre. Non era lui l’offeso, in quel caso, ma è intervenuto a difesa di un terzo. E questo episodio lo riportano tutti e quattro i vangeli (Mt 21, 12-16; Mc 11, 15-18; Lc 19, 45-49; Gv 2, 13-22), per cui ha una grande importanza.

Quindi, se ne può probabilmente dedurre che, singolarmente, ognuno può decidere di non reagire, anche col rischio di finire ammazzato mentre sta gridando “pace! pace!”, ma non è possibile limitarsi a gridare, restando per il resto inerti, quando vediamo un altro aggredito.

Anche quando Pietro cercava di difendere il Maestro brandendo la spada Gesù gli ha intimato di rimetterla nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Gesù non ha ritenuto la legittima difesa una soluzione percorribile, ma parlava sempre soltanto per sé.

Come già detto nel mio precedente articolo sull’Ucraina, cosa avrebbe fatto Gesù se avesse visto la soldataglia cercar di violentare sua madre? Si sarebbe messo a pregare? Avrebbe cercato di negoziare con quei bruti o di isolarli attraverso un dialogo fraterno? Oppure avrebbe usato la forza fisica per soccorrere Maria senza pensare di rendersi in tal modo colpevole di aumentare il potenziale di violenza? Non lo sapremo mai.

Però, posto che la storia di Gesù descritta dai vangeli è segnata dallo scontro continuo con gli uomini della religione e dall’intervento continuo a favore dei più deboli, tutto questo è stato talmente disturbante per il potere religioso che lo ha fatto ammazzare in breve tempo:[9] avendo il potere la forza dalla sua non si è interessato ad alcun tipo di negoziato. E la violenza del potere (romano ed ebraico) è proseguita finché non è subentrato un altro potere che con altrettanta violenza ha continuato a sottomettere, sfruttare e maltrattare i più deboli[10]. Quando il potere romano, più forte di quello ebraico, ha intravisto che iniziava una ribellione, ha fatto un deserto della Palestina (distrutta Gerusalemme è iniziata la emigrazione degli ebrei verso l’Europa, come oggi avviene dall’Ucraina) e poi l’ha chiamato pace.

Perciò mi sembra ambigua la posizione di chi dice che si deve condannare a parole l’aggressore, ma non inviare armi all’aggredito per difendersi. Come mai – c’è da chiedersi,- ancora oggi a quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra si continua a rivangare sul silenzio dei cristiani (compresi quelli vaticani) di fronte alla Shoah programmata ed eseguita dal nazismo? Come mai questa spiegazione di aver semplicemente mantenuto una posizione equidistante e terza per far finire prima le ostilità non convince molti ancora a distanza di quasi un secolo?

Nella vita ci sono domande più grandi di tutte le risposte, nel senso che nessuna risposta è di per sé totalmente esauriente; ma non vorrei che fra un secolo la nostra generazione venisse criticata per aver lasciato gli aggrediti di questo secolo alla mercé degli aggressori, anche se magari fra un secolo non esisteranno più né quegli aggrediti né quegli aggressori.



NOTE

[1] Ho letto di ben più di 140 discrepanze fra i vari eserciti europei occidentali: a cominciare dai calibri di armi spesso diverse sì che neanche le munizioni sono facilmente intercambiabili.

[2] Dopo tutto in Friuli, dopo il terremoto, hanno ricostruito per prime le fabbriche, perché solo lavorando si ottiene tutto il resto.

[3] Nel De Agricola, 30 di Tacito, e riferita alla posizione dei Britanni nei confronti dei Romani: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”.

[4] In www.vatican.va/ Testi fondamentali/ Concilio Vaticano II.

[5] Quando nel 1938 il primo ministro inglese ritornò da Monaco sventolando lo scritto con cui si autorizzava Hitler ad occupare territori non suoi, seppur abitati in parte da tedeschi, gioiosamente osservando che così si era evitata la guerra, Winston Churchill disse: “Si poteva andare a Monaco per salvare la dignità a costo di far scoppiare una guerra. Abbiamo perso la dignità, e avremo la guerra!” che in effetti scoppiò solo un anno più tardi. L’arrendevolezza non è mai un mezzo scontato e sicuro per portare la vera pace nel mondo.

[6] Quest'idea viene ben resa, ad es., in Ap 5, 12; 17, 14, ma non è stata molto seguita dai cristiani. Eppure è indubbio che Gesù ha posto concretamente il problema se esiste un'azione moralmente più elevata di quella violenta, e se in tal modo si può esercitare una pressione morale sulla volontà del nemico.

Gesù ha pagato di persona questa sua convinzione, e va anche ricordato che ci sono persone le quali hanno veramente fatto proprio l'insegnamento evangelico: anche Gandhi (il quale aveva detto che si sarebbe fatto cristiano se non avesse visto come si comportano i cristiani) era dell'idea che la legittima difesa è un diritto, ma non è la soluzione. Solo l'Amore annienta il male. Il male nutre sempre il male, mentre solo l'amore lo soffoca, lo annienta. Per questo Gandhi ha detto: "la non violenza è la più forte arma mai inventata dall'uomo", in: http://www.ilgiardinodegliilluminati.it/frasi_aforismi/frasi_sagge_aforismi_mohandas_gandhi.html.

Oppure pensiamo alle parole scritte in questo diario: “Mio Dio, questi sono tempi tanto angosciosi… tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi… forse possiamo contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini”. Questo potrebbe sembrare un accorato appello cristiano, ma è stato trovato nel diario di una donna ebrea internata ad Auschwitz (Hillesum E., Diario, ed. Adelphi, Milano, 2006, 169).

Non sappiamo con certezza chi ha scritto invece quest'altro pensiero, rinvenuto nel lager di Ravensbruck; potrebbe essere cristiano, ma forse anche questo è stato scritto da un non-cristiano: "Signore, ricordati non solo degli uomini di buona volontà, ma anche di quelli di cattiva volontà. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto. Ricordati invece dei frutti che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire: la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio, la generosità e la grandezza di cuore che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito. E quando questi uomini giungeranno al giudizio, fa' che tutti questi frutti che abbiamo fatto nascere siano il loro perdono!".

[7] Per carità, non dovete pensare che io osi mettermi fra i veri seguaci del vangelo. Non credo che saprei rinunciare alla legittima difesa.

[8] Nella teologia del XIX secolo e anche dell’inizio del XX si amava parlare della Chiesa come del regno di Dio sulla terra; la Chiesa era considerata come la realizzazione del regno all’interno della storia (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 73s.). Ma non ci si rendeva conto che se la Chiesa era già perfetta non aveva più bisogno di Dio.

[9] Stando ai vangeli sinottici l'unica Pasqua è quella dell'unico viaggio a Gerusalemme, la Pasqua della morte di Gesù, sì che sembra che la vita pubblica di Gesù sia durata un anno soltanto.

[10] Richiamo qui il Libro V della Guerra del Peloponneso di Tucidide (Traduzione di Ezio Savino), Garzanti, Milano 1974, 377: la potenza ateniese ha annientato il piccolo popolo di Melo con la violenza, e nelle brevi trattative aveva ricordato che nel cosmo divino, come in quello umano urge «eterno, trionfante, radicato nel seno stesso della natura, un impulso: a dominare ovunque s’imponga la propria forza. È una legge che non fummo noi a istituire, o ad applicare primi ... l’ereditammo che già era in vigore e la trasmetteremo perenne nel tempo; noi che la rispettiamo, consapevoli che la vostra condotta, o quella di chiunque altro, se salisse a tali vertici di potenza, ricalcherebbe perfettamente il contegno da noi tenuto in questa occasione». Neanche un secolo più tardi la potenza ateniese è tramontata e sostituita da una nuova potenza, quella macedone di Alessandro Magno. Non è che questo è stato di sollievo agli abitanti di Melo, che forse avrebbero apprezzato di più un tempestivo intervento armato spartano in loro soccorso. Certo che gli abitanti di Melo potevano accettare la ‘pace’ offerta dagli ateniesi, ma questo significava servitù e perdita della loro dignità. Forse dovremmo ragionare anche sull’importanza di questi valori, senza assolutizzarne nessuno. Anche per gli egiziani pensavano di vivere in pace, ma bisogna vedere se gli ebrei che lì erano schiavi erano dello stesso parere. Sta di fatto che noi cristiani non ci siamo ribellati in massa all’idea che Dio li ha liberati dalla schiavitù con una bella dose di violenza: ha ucciso tutti i primogeniti, e ha annientato l’esercito facendolo sommergere dal Mar Rosso.