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Martire del fanatismo - José de Brito 1895, Lisbona, Museo d’arte contemporanea - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Fanatismo e integralismo



di Dario Culot



Nell’articolo Come leggere la Bibbia, al n. 688 di novembre[1], si è già chiarito cosa sia il fondamentalismo, e come lo stesso si contrapponga all’idea di politica, perché la politica è l’arte di cambiare il modo di pensare, mentre il fondamentalismo resta legato a una visione eternamente statica del mondo: se nella Bibbia c’è scritto che l’uomo che va a letto con un altro uomo commette abominio, quello stile di vita non è accettabile da parte di Dio e quindi non lo può essere da parte degli uomini timorati di Dio. Punto! Il fondamentalista non è neanche sfiorato dal dubbio che il motivo del divieto potrebbe avere semplicemente radici storiche (servivano tanti figli, vuoi per difendere la nazione, vuoi per lavorare nei campi, per cui non generare figli era considerato, quello sì, un abominio; e siccome per la cultura di allora solo il maschio generava si capisce perché la Bibbia nulla dice sul comportamento speculare fra due donne; sempre in quest’ottica al maschio era ad es. vietato sprecare le sue energie generative andando a letto con una donna mestruata). Al giorno d’oggi molti ritengono che non si debba più contrastare le inclinazioni naturali con le quali uno è nato, ed essere omosessuale o eterosessuale è visto oggi come essere destro o mancino. Ricordiamoci che una volta anche il mancino veniva duramente ‘normalizzato’. Al giorno d’oggi essere mancini è una componente dell’essere di una minoranza, qualcosa di cui uno prende coscienza, non qualcosa che sceglie di essere. Sarà così anche per l’omosessualità?

Oggi comunque voglio parlare di altri due termini analoghi ma non identici, integralismo e fanatismo, che sono due costanti tentazioni di ogni religione «rivelata». Indubbiamente anche questi termini hanno sempre connotazioni negative, in quanto si evidenzia che questo tipo di credenti ha idee così radicali da impedire qualsiasi forma di dialogo.

Per integralismo s’intende la certezza assoluta di avere già in tasca la Verità, sì che tutto il resto è non solo da negare ma soprattutto da combattere nella propria famiglia, nella società in cui si vive e possibilmente nel mondo intero.

Perciò, in tutto il loro virtuoso e generosissimo insegnamento religioso, gl’integralisti aggiungono schizzi di fango su tutto ciò che non è perfettamente in linea con i loro ammonimenti e il loro Credo. Ben vengano, ad esempio, le punizioni divine che – per moltissimi di costoro - servono a purificare il mondo dalla sua sozzura, ad arrestarne la discesa precipitosa verso nuove Sodoma e Gomorra.

Mentre il fondamentalismo parte sempre da una lettura letterale dei testi sacri, l’integralismo si fonda su una sua precisa interpretazione religiosa[2] – non necessariamente basata sulla lettera dei testi sacri - ma sicuro di avere a quel punto in mano la Verità, pretende di applicarla alla società in cui vive[3]. Anzi, spesso il testo sacro non viene neanche citato, e si afferma un principio dottrinale non negoziabile che potrebbe essere perfino l’opposto di quanto si legge nel testo sacro. Non a caso ogni produzione culturale egemonica è sempre integralista.

Inoltre, a differenza del fondamentalismo che è sempre rivolto anche all'esterno, l’integralismo può mirare, sì, a una teocrazia (dove la religione comanda sulla società civile), ma anche assumere connotazioni assai più limitate e private, nel senso che a volte si limita a voler applicare le sue credenze di fede alla propria famiglia, o anche solo alla propria vita personale: ad es. la giovane Saman Abbas è stata uccisa dal padre e altri famigliari in Italia perché voleva vivere all’occidentale; pur disprezzando le usanze occidentali quel padre pakistano voleva solo impedire che queste deplorevoli usanze venissero seguite nella sua famiglia, e non vedeva compromesso il suo onore se i depravati occidentali si comportavano in maniera diversa fra di loro, purché all’esterno della sua famiglia.

Quando poi l’integralismo sfocia nella teocrazia è una disgrazia per tutti. Ogniqualvolta nel mondo una teocrazia riesce a impossessarsi del potere politico, gli effetti sono devastanti per il semplice fatto che ogni teocrazia difende innanzitutto i diritti di Dio; questo basta a farla diventare violenta in quanto reputa questi diritti ben più importanti dei diritti degli uomini. In nome di Dio non si esita ad ammazzare anche gli uomini. Di più: mai si ammazza con tanto gusto come quando si uccide in nome del proprio Dio unico; che si chiami Javhé, o Allah, o Signore, non fa alcuna differenza[4]. Lo si è visto in passato nell’ebraismo, nel cristianesimo e lo si vede ancora oggi in varie parti dell’islam. Ma anche quando il potere religioso non riesce a impadronirsi del potere politico, essendo comunque abituato a pensare in base a schemi assolutistici e autoritari, cerca comunque di imporre i propri principi non negoziabili[5] di verità divina anche fuori della sua cerchia, perché per lui è del tutto naturale che l’unica Verità con la “V” maiuscola debba valere assolutamente per tutti:[6] si pensi alla sharia[7] in tanti Paesi islamici; si pensi qui da noi ai temi eticamente sensibili e allo scontro che si vive nella Chiesa fra l’apertura evangelica di questo papa e l’integralismo religioso che si tocca con mano nel clericalismo integralista;[8] oppure pensiamo in Israele agli Haredim che cercano, e in parte sono riusciti, ad imporre l’osservanza della legge mosaica all’intero Paese[9].

Sta di fatto che l’integralista non è mai sfiorato dall’idea che possa esistere una riflessione critica sulla sua fede; per lui non è pensabile che possano esserci argomentazioni razionali da scambiare in un dialogo aperto. La cosa curiosa, almeno a mio parere, è che ci siano anche nel cristianesimo persone che si credono in diritto di impedire agli altri di pensare a un Dio diverso da quello in cui esse credono. Gl’integralisti si vedono come gli unici autentici credenti: gli altri, che non hanno la stessa immagine di Dio, vanno semplicemente corretti od esclusi. E questo vale per gli indù, gli ebrei, i cristiani, i musulmani.

Eppure, un grande poeta cieco della letteratura araba, Abu l - 'Ala' al-Ma'arri, morto nel lontano 1057, aveva in allora scritto a proposito dei suoi: «Gli abitanti della terra si dividono in due categorie: coloro che hanno un cervello ma non hanno religione, e coloro che hanno una religione ma non hanno cervello»[10]. Certo che se oggi alcuni fanatici integralisti cercano di tagliare la testa a chi osa dire questo dell'islam, immaginarsi quale coraggio bisognava avere per dirlo in allora!

Si potrebbe in conclusione definire l’integralismo (di ogni religione) come un ripiego su di sé, come un attaccamento cieco a dei principi che non tollerano alcun punto di vista differente dal proprio, alcuna messa in discussione, alcuna interpretazione diversa che si potrebbe forse anche dare ai testi sacri[11]. La tentazione integralista è quella di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede, la loro.

Sicuramente l’arcigna antipatia che il cattolico integralista nutre per tutti i peccatori e per la cattiva stampa – visti tutti come potenziali minacce alla sua integrità spirituale perché osano mettere in dubbio che: “è così, e così è!” - gli darà anche grande sicurezza, ma gli toglie indubitabilmente ampi e vitali spazi di libertà. Il prezzo da pagare per annegare nella sicurezza del proprio catino è restare privi di prospettiva perché si ignora che fuori del catino c’è un oceano.

Mi sembra scontato che solo il dialogo tenga aperte le domande per tutti noi, anche quando pensiamo di avere già le risposte. La riflessione, il dialogo nasce spesso dalle cose che si fanno insieme e utilmente. Il dialogo delle opere è il primo dialogo. Stando e operando insieme ci si conosce, ci si apprezza, si diventa amici e si comincia a parlare. A quel punto può sorgere una vera fraternità, che consiste nel fare una comunità fra diversi[12]. E un’effettiva fraternità già di per sé è in grado di accettare opinioni diverse dalle proprie.

Il fanatismo può invece essere definito come un eccesso di zelo religioso, un identificarsi in maniera esasperata in un sistema di credenze, una follia senza spiegazione razionale perché si manifesta spesso come pura barbarie e intolleranza verso chi ha idee diverse. Date per scontate e indiscutibili certe credenze, il fanatico le applica poi in maniera esagerata e irrazionale.

Nella Bibbia, anche quando Yhwh aveva ormai assunto il ruolo più importante in Israele, c’erano ancora tante altre divinità, come risulta dall’Esodo (Es 15,11): “chi è come te fra gli dei, Yhwh”. Nel secondo libro dei Re (2Re 21,3-7) si legge che il re Manasse tornò a costruire altari a Baal, ricollocò nel Tempio di Gerusalemme anche la stele di Asherà (2Re 21, 7) e fece sacrificare nella Geenna il proprio figlio al dio Moloch (2Re, 21, 6: fece passare suo figlio per il fuoco) [13], il che dimostra che, nonostante si tentasse di affermare l’esclusività di Yhwh, il culto per altre divinità continuava a resistere. Oppure si legge nel libro dei Giudici[14] (Gdc 3,7) che gli “gli israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore (cioè Yhwh), dimenticarono il Signore (Yhwh) loro Dio e seguirono Baal e Asherà” sua moglie, divinità adorate dai popoli circostanti: del resto, basta ancora oggi fare una visita in Israele per capire come vi fosse una gran commistione fra i popoli, che convivevano a macchia di leopardo senza chiari confini. Ancora nell’800 a.C., dunque, c’erano ben 400 sacerdoti che profetavano in nome di Asherà e 450 in nome di Baal (1Re18,19). Il primo libro dei Re riporta appunto la famosa sfida del monte Carmelo, dove Elia dice a questi sacerdoti, “se Yhwh è Dio seguitelo, se invece è Baal, seguite lui” (1Re 18,21). Quando i sacerdoti di Baal ed Asherà non riescono ad ottenere alcun prodigio dai loro dèi, il profeta Elia si fa beffe di loro (1Re 18, 27: “Gridate con voce più alta, perché certo egli è un dio! Forse è sovrappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà”); quindi Elia invoca Yhwh ed ottiene il prodigio, per cui tutto il popolo riconosce che è Yhwh è l’unico vero Dio. Ma una volta dimostrato che solo il suo è il vero Dio, preso da sacro zelo, Elia fa scannare tutti i sacerdoti di Baal (1Re 18,40).

Don Mazzolari diceva che i cristiani diventano fanatici ogniqualvolta, ad esempio, dimenticano che Dio ci dà la consegna di lavorare per il bene, non quella di farlo trionfare. Voler strappare la zizzania, quando Gesù ha detto di lasciarla crescere assieme al grano perché la scelta non compete all’uomo finché le piante crescono, è sintomo di fanatismo. La parabola della zizzania (Mt 13, 24ss.) mette in guardia dalla tentazione di volerci incaricare di eliminare il male dalla faccia della terra e, visto che ci siamo, anche le persone che, a nostro avviso, lo esprimono; toni da crociata, atteggiamenti violenti e intolleranti portano a far diventare zizzania quegli stessi che si ritengono pii e religiosi.

Stesso discorso viene ripetuto nei confronti di chi vorrebbe tagliare i tralci che, a suo giudizio, non danno frutto e gettarli nel fuoco. Già la Bibbia aveva descritto il rapporto di Dio col suo popolo equiparandolo al rapporto dell’agricoltore con la sua vigna (Is 5, 1 ss.). Anche Gesù si richiama alla vigna, e nel suo racconto distingue nettamente i vari ruoli nella coltivazione della vite (Gv 15, 1-8): Gesù si equipara alla vite, dove scorre la linfa vitale, gli uomini sono i tralci, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna non produca uva selvatica (Is 5, 2), ma porti sempre più frutto. Solo all’agricoltore spetta il compito di tagliare il tralcio che non produce frutto e che quindi è inutile, anche se questo tralcio (uomo) mangia il pane tutti i giorni, anche se fa la comunione tutti i giorni! Questa eliminazione non è invece compito degli altri tralci, cioè di noi uomini, esattamente come non è compito degli altri uomini togliere la zizzania che cresce insieme al grano.

In ogni campo l’eccesso di zelo viene qualificato come fanatismo: quel Tizio è un fanatico supporter di quella determinata squadra di calcio. Non c’è da stupirsi se un domani si scontrerà fisicamente con una tifoseria avversaria. Ma è fanatismo anche il ‘troppo amore’ dei genitori che avvolge i figli e impedisce loro di crescere, o la pretesa di dominio dell’uomo sulla donna perché lui sa qual è il bene della donna. Però è pur sempre opportuno ricordare che le parole “fanatico” e “fanatismo” derivano dal latino fanum, che significa per l’appunto “sacro”. Quindi si tratta di un termine fin dall’inizio legato alla religione.

Sia integralismo che fanatismo, dunque, sono parenti stretti della violenza.

Sicuramente elementi di esclusione sociale, di frustrazione concorrono oggi a formare schiere di integralisti fanatici, ma non tutti gli esclusi sono fanatici. Perciò l’esclusione sociale da sola non spiega né l’integralismo, né il fanatismo. Eppure queste realtà pericolose esistono da sempre in tutte le religioni. Ed è un fatto indiscutibile che pensar di far cambiare idea alle persone ferme nelle loro convinzioni impermeabili, che conferiscono loro un senso di forza e sicurezza, è impresa assai difficile, sostanzialmente impossibile.



NOTE

[1] In https://sites.google.com//view/rodafa/home-n-688-20-novembre-2022

[2] Non dimentichiamo che spesso l’interpretazione s’infiltra nel racconto dei fatti fondendosi con essi fino a far uscire una narrazione unica. Ad esesmpio, i fatti storici circa la morte di Gesù, così come riportati dai vangeli, non dicono nulla di ciò che poi ha detto Paolo: Paolo ha semplicemente operato un'interpretazione di quei fatti tramandati prima a voce e poi iscritto nei vangeli. Purtroppo, però, la nostra religione ha dato preferenza all'interpretazione paolina dell’espiazione accettando la sua elaborazione teologica, mentre sarebbe stata completamente diversa se fosse rimasta ancorata ai fatti raccontati nei vangeli.

[3] Ad esempio, il fondamentalista afferma che, se Abramo aveva Agar come schiava, Dio ammette la schiavitù. L’integralista può essere convinto che Abramo era bianco e Agar no (secondo la Bibbia era egiziana: Gn 21, 9), anche se questo non risulta dalla Bibbia; può basare la sua convinzione di superiorità dell’uomo bianco o del capitalismo non sulla Bibbia, ma perfino richiamando Darwin. Ecco le due facce del darwinismo: da una parte Darwin viene combattuto dalla destra religiosa in punto evoluzione naturale puntando tutto sul creazionismo, dall’altra viene osannato dalla destra laica e colta che adotta il suo pensiero per giustificare le differenze di classe e quelle razziali, per sostenere che nel capitalismo giustamente sopravvive il più adatto (l’uomo bianco). Opporsi a questo vuol dire opporsi alla scienza. Ovviamente così si attribuisce a Darwin un’estensione di pensiero che Darwin non si è mai sognato di sottoscrivere (Pedemonte E., Paura della scienza, Treccani, 2022, 32ss.).

[4] Maggi A., Religione del libro o fede nell’uomo, relazione tenuta in Ancona, 2010, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

[5] Il termine venne usato per la prima volta dalla Congregazione per la dottrina della fede, in data 24.11.2002, con la nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici (così D’Agostino F., Quali valori sono non negoziabili, “Avvenire” 7.12.2012, 33).

[6] Si veda l’intervento del cardinal Scola in punto “riconoscimento della religione nello spazio pubblico”, in “Repubblica” del 25.2.2012, e replica di Flores d’Arcais P., sempre in “Repubblica” del 28.2.2012, 47.

[7] Noi occidentali intendiamo il termine sharia come legge, ma più appropriato sarebbe dire: norma, la grande strada, l’apertura di una strada in una situazione non chiara. Infatti, nel mondo musulmano, c’è chi vede nella sharia solo degli obiettivi da raggiungere, e ritiene riduttivo intenderla come una legge da applicare.

Secondo gli integralisti musulmani i problemi della società nascono in primo luogo dalla libertà della donna (Tahar Ben Jelloun, È questo l’Islam che ci fa paura, Bompiani, Milano, 2015, 155). Evidente che un dialogo con l’Occidente, su queste basi, è impossibile.

[8] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2019, 263.

[9] Battistini F., Il cuore duro d’Israele, “Corriere della Sera–Sette”, n.9/2012, 40 ss. Si pensi alla ragazza che ha cantato a un concorso televisivo ed è stata sospesa da scuola per aver osato cantare davanti agli uomini (Corriere della Sera, 7.2.2013, 21); si pensi alla lotta per chiudere la scuola di bambine a Beit Shemesh (Corriere della Sera, 15.7.2013, 13), semplicemente perché le donne non possono stare lì.

[10] Riportato in Maalouf A., Le crociate viste dagli arabi, ed. SEI, Torino, 1994, 53.

[11] Tahar Ben Jelloun. È questo l’Islam che fa paura, Bompiani, Milano, 2015, 58.

[12] Mi piace qui ricordare che l’Indonesia è conosciuta come il più grande Paese musulmano del mondo, ma va anche sottolineato che siamo davanti a un islam pacifico. Come mai? Perché il suo motto è Unità nella diversità. Non a caso la teoria filosofica nazionale è il “Pancasila” (dal sanscrito panca = cinque; e sila = principi). Al centro del simbolo si trova la stella a cinque punte che rappresenta le cinque religioni riconosciute (l’Islam, il Cristianesimo - ad esempio l’isola di Flores è in maggioranza cristiana -, l’Induismo, il Confucianesimo e il Buddhismo – prevalente a Bali). [Questo articolo è stato scritto prima delle ultime notizie, nota del Direttore]

[13] Ricordo che per il Levitico (Lv 20, 1) chi vive in Israele, anche se straniero, e sacrifica un proprio figlio a Moloch deve essere messo a morte.

[14] I “giudici” non sono dei magistrati, ma dei condottieri, persone normali alle quali Dio comunica la sua forza, sbaragliano i nemici e poi tornano al proprio lavoro. Rassomigliano a Cincinnato, dell’epopea romana.