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Il Papa in Iraq a Hosh al-Bieaa, Mosul, in preghiera per tutte le vittime della guerra - Foto tratta da commons.wikimedia.org



L’unità cristiana a servizio della fratellanza umana





di Carlo Pertusati

(Socio di Casa Alta)



Il termine «prigioniero» oggi è così claustrofobico da risultare difficile da declinare persino in un ossimoro: non si riesce ad assumere l’altra parte della polarità che l’occhio ha già letto, poiché un anno di fatica ci ha tolto la capacità di andare oltre l’immediato e di lasciarci avvincere da letture simboliche. Dall’altra parte, il termine «speranza», oggi è così illusorio da far risultare lontano dalla realtà chi lo pronuncia o lo predica. L’esperienza e non soltanto gli ideali ci mostrano però, ancora e sempre, che l’amore ci spinge all’impossibile. Ben venga, dunque, la sfida del Giornale di Rodafà di dedicare il numero 600 ad un tema che contiene due termini così problematici, uniti in modo avvincente in un versetto del libro del profeta Zaccaria.

In questo contesto propongo un breve contributo su un tema ecumenico, sintesi di un lavoro precedente e aggiornato per questa occasione.

Il cammino ecumenico non è esente da difficoltà e resistenze, ma è un cammino e in quanto tale è foriero di speranza. Le chiese, pur imprigionate da pregiudizi plurisecolari e ancora segnate da ferite da fuoco amico, stanno avanzato almeno in parte insieme ed è benefico conoscere i segni che stanno ponendo di fronte e a servizio di un’umanità globalizzata ma divisa.

Un aspetto che caratterizza l’impegno ecumenico nel pontificato di papa Francesco è quello del lavorare insieme (vedremo meglio cosa significhi) e non «soltanto» del pregare insieme e/o del proseguire nei dialoghi teologico e culturale.

A inizio pontificato, Francesco scrive: «Se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza» (Evangelii gaudium 246).

Nel decreto conciliare sull’ecumenismo, il principio della gerarchia delle verità è citato in riferimento al dialogo teologico tra le chiese (Unitatis redintegratio 11); in EG, tale principio è citato in relazione all’azione comune tra le chiese, tanto che si può affermare che «l’ecumenismo è un apporto all’unità della famiglia umana» (245). Nell’enciclica Fratelli tutti, pubblicata il 3 ottobre 2020 ad Assisi, Francesco scrive: «riconosciamo con dolore che al processo di globalizzazione manca ancora il contributo profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani. Ciò nonostante, pur essendo ancora in cammino verso la piena comunione, abbiamo sin d’ora il dovere di offrire una testimonianza comune all’amore di Dio verso tutti, collaborando nel servizio all’umanità» (280).

Si evincono due intenti tra loro intrecciati. Da una parte Francesco fa proprio il cosiddetto «principio di Lund», espresso da «Fede e Costituzione» nel 1952 e ribadito dalle chiese europee nel 2001 e cioè l’impegno «ad operare insieme, a tutti i livelli della vita ecclesiale, laddove ne esistano i presupposti e ciò non sia impedito da motivi di fede o da finalità di maggiore importanza» (Charta oecumenica 4). Ancora in EG, a questo proposito, Francesco cita il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa Cattolica: «La Chiesa unisce il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico» (183). Dall’altra parte, il papa dichiara la necessità del lavoro ecumenico a servizio dell’unità della famiglia umana: questo lavoro costituisce il tassello cristiano nell’impegno a favore della fratellanza umana, ideale verso cui negli ultimi anni papa Francesco sta spingendo il dialogo interreligioso. Questo servizio si esplicita nella ricerca dell’unità delle chiese, ma anche nell’azione comune delle chiese soprattutto a favore dei poveri e della pace, azione comune che rimanda al primo intento. Un importante ambito correlato è quello della cura del creato, su cui qui non mi soffermo per questioni di brevità.

Nel pontificato di Francesco non mancano parole, azioni e gesti ecumenici in queste direzioni. Cerchiamo di conoscerne o ricordarne almeno alcuni.

Il precipitare della situazione della Siria portò il papa quasi ad improvvisare un’iniziativa ecumenica ed interreligiosa, comunicata durante l’angelus del primo settembre 2013: «Ho deciso di indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero, e anche invito ad unirsi a questa iniziativa, nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre Religioni e gli uomini di buona volontà». Un’altra occasione di preghiera per la pace, annunciata dal Papa al momento della partenza dalla Terra Santa, si è realizzata l’8 giugno 2014 nei giardini vaticani; si è trattato di un’invocazione della pace in Terra Santa, in Medio Oriente e in tutto il mondo, con il Patriarca ecumenico ed i presidenti di Israele e Palestina.

Negli incontri ecumenici ed interreligiosi programmati nei viaggi pastorali, il papa ha rimarcato la vocazione comune nel perseguire la pace. Alcuni esempi. A Sarajevo si è rivolto ai membri del consiglio interreligioso istituito nel 1997: «Apprezzo sinceramente quanto avete fatto sino ad ora e vi incoraggio in questo vostro impegno per la causa della pace, della quale voi, come leader religiosi, siete i primi custodi qui in Bosnia ed Erzegovina» (6 giugno 2015). In Armenia, Francesco e Karekin II hanno invocato la pace con la Turchia e con l’Azerbaigian, per la questione del Nagorno Karabakh. Il papa ha lanciato un appello: «Anche il dolore più grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro. La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore per tutti, dove sono beati gli operatori di pace. Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta» (25 giugno 2016). In Azerbajan ha lanciato un appello per la pace in Nagorno Karabakh con lo Sceicco musulmano del Caucaso: «Le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti» (2 ottobre 2016).

Anche lo storico incontro di Cuba con il patriarca di Mosca Kirill si deve leggere come una risposta necessaria di due grandi chiese a numerosi problemi: la pace nel mondo, la persecuzione dei cristiani, il crollo di valori (12 febbraio 2016). A seguito dell’incontro vi sono state delle concretizzazioni degli impegni presi: sono state intraprese azioni comuni concrete per la Siria, attraverso l’invio di aiuti umanitari di generi di prima necessità e medicine, anche con il coinvolgimento di musulmani; sempre a favore della Siria, i cristiani russi, sia ortodossi sia cattolici stanno lavorando per la ricostruzione di chiese e monasteri; si è stimolato inoltre l’incremento delle relazioni tra i fedeli cattolici e ortodossi nell’ambito della pietà popolare, mentre sono proseguite iniziative culturali e formative comuni.

Il papa aveva compiuto la prima visita pastorale in assoluto a Lampedusa per dare il segno della vicinanza alla tragedia dei migranti, l’8 luglio 2013; il viaggio a Lesbo del 2016 ha avuto lo stesso significato, ma è stato ecumenico, come testimoniato anche dalla dichiarazione congiunta: «Noi, Papa Francesco, Patriarca Ecumenico Bartolomeo e Arcivescovo di Atene e di Tutta la Grecia Ieronymos, ci siamo incontrati sull’isola greca di Lesbo per manifestare la nostra profonda preoccupazione per la tragica situazione dei numerosi rifugiati, migranti e individui in cerca di asilo, che sono giunti in Europa fuggendo da situazioni di conflitto e, in molti casi, da minacce quotidiane alla loro sopravvivenza. Da parte nostra, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, decidiamo con fermezza e in modo accorato di intensificare i nostri sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani. Riaffermiamo con convinzione che riconciliazione [per i cristiani] significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli» (16 aprile 2016). Poco tempo dopo, Francesco ha così riassunto quell’esperienza, allargandone il significato: «Guidati dallo Spirito Santo, stiamo prendendo sempre più coscienza che noi, cattolici e ortodossi, abbiamo una comune responsabilità nei confronti di chi è nel bisogno, in obbedienza all’unico Vangelo di Gesù Cristo nostro Signore. Assumere insieme tale responsabilità è un dovere che tocca la credibilità stessa del nostro essere cristiani. Incoraggio perciò ogni forma di collaborazione tra cattolici e ortodossi in attività concrete al servizio dell’umanità sofferente» (29 giugno 2016).

Di particolare importanza è stata l’omelia tenuta dal pontefice nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, durante la celebrazione dei vespri con la partecipazione dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, in commemorazione del 50° anniversario dell'incontro tra Paolo VI e l'arcivescovo Michael Ramsey e l'istituzione del Centro Anglicano di Roma (5 ottobre 2016). Ecco i passaggi più rilevanti: «È una grande chiamata quella ad operare come strumenti di comunione sempre e ovunque. Ciò significa promuovere al tempo stesso l’unità della famiglia cristiana e l’unità della famiglia umana. I due ambiti non solo non si oppongono, ma si arricchiscono a vicenda. Quando, come discepoli di Gesù, offriamo il nostro servizio in maniera congiunta, gli uni a fianco degli altri, quando promuoviamo l’apertura e l’incontro, vincendo la tentazione delle chiusure e degli isolamenti, operiamo contemporaneamente sia a favore dell’unità dei cristiani sia di quella della famiglia umana».

A Lund, in Svezia, all’apertura delle celebrazioni per il 500° dell’inizio della Riforma di Lutero, sono state firmate due dichiarazione congiunte: una dal papa e dal vescovo Munib Yunan, presidente della Federazione Luterana Mondiale; l’altra da Caritas Internationalis e dal World Service della Federazione Luterana Mondiale, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione e l’impegno per promuovere la dignità umana e la giustizia sociale (31 ottobre 2016).

In occasione della visita del papa alla parrocchia anglicana di All Saints a Roma, si è svolta la cerimonia del gemellaggio ufficiale tra questa comunità e la parrocchia cattolica di Ognissanti (26 febbraio 2017). Le due realtà erano già da qualche tempo impegnate insieme a servizio dei poveri. Nella stessa circostanza, papa Francesco ha annunciato che è allo studio una missione ecumenica per la pace in Sud Sudan, rivelando che la richiesta è arrivata dai tre vescovi, insieme: l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico. Si profila un viaggio comune di papa Francesco e dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Il viaggio è stato più volte rimandato per questioni di sicurezza. A Natale 2020, papa Francesco, Justin Welby ed il moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia Martin Fair hanno indirizzato un messaggio comune ai leader del Sud Sudan, con il quale confermano l’intenzione di visitare il Paese non appena possibile.

Nella storica visita in Iraq, Francesco è tornato a esprimere il tema dell’apporto dell’ecumenismo all’unità della famiglia umana, in particolare nel discorso tenuto nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad (5 marzo 2021). Lo ha fatto ricorrendo alla suggestiva immagine di un tappeto: «Le diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte. Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno». Il giorno dopo ha incontrato, a Najaf, l’Ayatollah Al-Sistani. Il comunicato della Santa Sede ha riportato che nell’incontro i due leader hanno sottolineato «l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità». Possiamo osare affermare che papa Francesco ha parlato come cristiano, prima ancora che come cattolico? Evidentemente non aveva un mandato ecumenico, ma di fatto egli si è fatto portavoce di tutti i cristiani che desiderano lavorare insieme per il bene dell’umanità.

Gli esempi elencati mostrano la linea di Francesco: non possiamo aspettare la piena unità per collaborare tra le chiese e in attesa degli accordi teologici che forse un giorno porteranno all’unità, possiamo e dobbiamo unire le forze per un’azione comune in tutto quello che si può realizzare insieme. Riportiamo ancora, in conclusione, una citazione di Evangelii gaudium (244) riferita al dialogo ecumenico, per dedicarla a tutti coloro che desiderano camminare nella ricerca della fratellanza universale: «Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini, e che peregriniamo insieme. A tale scopo bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio».