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Bombardamento russo di Mariupol - foto tratta da commons.wikimedia.org


Ucraina 2

di Dario Culot

B) Passiamo all’aspetto politico.

Non ne discuteremmo se il piano fosse andato come immaginato dal governo russo: una guerra lampo, indolore, con fuga di Zelensky[1] e costituzione di un governo filorusso: oggi, di fronte al fatto compiuto, l’Occidente sarebbe muto. In passato, a cominciare dal 1956 in Ungheria, passando per Praga nel 1968, per finire al 1980 in Polonia, la Russia aveva più volte già imposto di cambiare i governi di vari Stati limitrofi dopo aver inviato i suoi carri armati, e poco poteva fare la gente a mani nude contro quei carri armati. E visto che con i carri armati non si scherza, anche nel caso dell’Ucraina, è meglio arrendersi, ha detto al programma di Rai 3 Carta bianca il prof. Alessandro Orsini; meglio dare a Putin ciò che vuole, tanto i bambini possono essere comunque più felici in una dittatura che in un Paese in guerra. Con la stessa logica, tutta l’Europa avrebbe fatto bene ad arrendersi allo strapotere nazista, perché comunque i bambini avrebbero potuto essere felici sotto Hitler.

Con l’Ucraina, non essendoci stata alcuna reazione da parte dell’Onu alle regole della convivenza civile, Putin ha sicuramente dimostrato ancora una volta la sostanziale incapacità delle istituzioni internazionali di controllare e risolvere le crisi. In effetti, bisogna riconoscere che l’Onu, - che dovrebbe incarnare l’esistenza del bene comune: la pace,- non è mai riuscita a impedire un conflitto né a farlo finire. Per di più, avendo Putin fatto coriandoli degli accordi scritti (cioè sottoscritti dalla stessa Russia), ha sbattuto in faccia al mondo la regola più antica per l’umanità: quando vengono meno i principi regolatori della civile convivenza (la sacralità della vita, il rispetto del diritto, l’integrità di una nazione, ecc.) vige solo la legge del più forte. Dire, a questo punto, che noi ‘siamo contro la guerra!’ è banale, perché lo siamo tutti; però solo dirlo lascia il tempo che trova da oltre duemilacinquecento anni[2]. La vaghezza non basta per risolvere i problemi concreti. Improvvisamente anche noi italiani ci troviamo esposti a rischi fino a ieri impensabili, avendo constatato che il governo russo è capace di violare le regole della governance globale esistenti nel nostro Vecchio Continente pur di ridisegnare gli equilibri strategici esistenti a suo favore, ed è indubbio che con la sua azione violenta Putin è riuscito a far capire la necessità in Europa della Nato e di possedere una difesa militare efficiente perché, per l’appunto, con i carri armati non si scherza.

Il problema, dunque, è cosa fare tutti insieme quando, pur essendo in linea di principio tutti contrari alla guerra, qualcuno ci muove guerra o facendolo a un nostro vicino cerca di modificare la situazione geopolitica mondiale attraverso la guerra (perché anche quest’ultima ipotesi incide direttamente sulla sicurezza internazionale, compresa la nostra[3]). L’interconnessione odierna impedisce all’Italia di considerarsi un’entità completamente indipendente, autonoma in grado di decidere tutto da sé[4].

Sicurezza è parola singolare ma dal significato plurale, perché riguarda non solo il singolo ma la collettività intera: non va ovviamente intesa come prepotenza nel rendere inoffensivo l’altro in via preventiva così che non possa nuocermi, ma implica un muoversi tempestivamente per cercar di sgombrare l’orizzonte dalle dense nubi prima che si addensino troppo e scoppi il temporale[5].

In questo momento c’è un evidente pericolo perché c’è la guerra, e c’è altrettanto chiaramente un aggressore e un aggredito. Un nostro politico, già ex presidente del consiglio, ha detto che «Con la guerra non si gioca e l’Europa deve avere una posizione chiara». Bene, giusto, e quindi? E quindi è incoerente che questo stesso politico (Conte, per non fare nomi) prosegua dicendo: «Una cosa è offrire il necessario sostegno all’Ucraina, altra cosa è pensare di procrastinare il conflitto nella speranza di piegare la Russia»[6]. Infatti, con la prima parte della frase Conte dichiara che l’Europa deve dare sostegno all’Ucraina, con la seconda lo nega, perché è sempre l’Europa - secondo Conte - che non deve pensare di «procrastinare il conflitto», mica la Russia che ha attaccato. E cosa significa, concretamente, non procrastinare il conflitto da parte dell’Europa, se non premere sugli ucraini perché si arrendano?[7] Come ha ben spiegato il politologo Edward Luttwak la guerra al momento continua perché Putin, che pensava di fare una passeggiata militare (un po’ come Mussolini quando ha attaccato la Grecia nel 1940), non ha vinto ancora abbastanza per giustificare i danni inflitti alla Russia viste le sanzioni e i tanti soldati morti in battaglia. L’amico Dario Santin ha detto giustamente che, al momento, Putin non intende arrivare ad una mediazione, visto che in tanti si sono già offerti di mediare, compreso papa Francesco, ma tutti fin qui senza fortuna[8]. Zelensky resta saldo nella decisione di difendersi con gli aiuti, soprattutto americani, arrivati e in arrivo. Se non è stato finora sopraffatto è perché gli ucraini, fermamente decisi a difendersi, hanno avuto degli aiuti militari efficaci. A questo punto solo se l’Ucraina si arrende (come nel 2008 aveva fatto rapidamente la Georgia attaccata dalla Russia) la guerra può finire in breve tempo.

I sostenitori della pace ad ogni costo, insistono nel dire che l’unica via è quella negoziale, e non la via delle armi[9]. Soprattutto insistono nel dire che l’invio di armi non agevola soluzioni pacifiche[10]. Forse no,[11] ma forse anche sì[12]. Sappiamo per certo che l’esito delle trattative nel nostro caso non dipende da persone accomodanti e ragionevoli che si trovano in una stanza in cui si decide astrattamente la miglior composizione dei dissidi: il negoziato dipende dalla capacità di ciascuno di agire, anche sul piano dello scontro armato in atto. Una volta iniziata la guerra, cioè, ogni negoziato è saldamente legato alla evoluzione della situazione militare sul campo. Più sei forte sul piano militare, e più puoi esercitare nei negoziati un ruolo di primo piano[13]. Fra due parti in conflitto si negozia, si parla di diritti e di giustizia – come ha insegnato Tucidide duemilacinquecento anni fa - solo quando i due piatti della bilancia sono pressoché alla pari: altrimenti il più forte agisce, il più debole si sottomette. E vista l’enorme disparità di forze in campo fra Ucraina e Russia, è chiaro che i piatti della bilancia possono essere riportati più o meno alla pari solo se noi riforniamo di armi gli ucraini. In caso contrario, è altrettanto chiaro che se i russi vedono davanti a sé una buona probabilità di poter annientare gli ucraini, non negozieranno (e lo stesso varrebbe ovviamente all’inverso per gli ucraini). Tutte quelle anime pie, ma ingenue, che parlano di negoziati a bocce ferme (cioè fermando subito la guerra) dovrebbero prima essere capaci di spiegare in modo chiaro e lineare perché una parte che vede davanti a sé una buona probabilità di vincere dovrebbe negoziare, visto che nella storia non è mai successo[14]. Dovrebbero spiegare perché i tentativi di negoziati fatti finora sono tutti falliti[15] e come invece loro, a differenza di tutti i personaggi che si sono impegnati fin qui, pensano di poter essere così bravi da concluderli velocemente e in maniera positiva. Dovrebbero chiarire come si può concretamente obbligare Putin – il quale sostiene che i colloqui di pace sono in un vicolo cieco[16] - ad accettare un serio negoziato, facendo per prima cosa tacere anche le armi, quando ha ripetutamente mostrato di rifiutare. Se nessun pacifista è in grado di spiegare come si può raggiungere concretamente questo obiettivo, vuol dire che vive nei sogni, ma non nella realtà[17]. Pace non significa la pace alle condizioni di Putin. Una simile ‘pace’ lascerebbe soltanto scie di rancore, probabilmente anche di odio, e soprattutto farebbe covare desideri di rivincita. La pace è un processo molto complesso, e non consiste solo nella mancanza momentanea di guerra[18]. Chi sostiene il disarmo tout court per l’Ucraina, e poi per tutto il mondo, sostiene un progetto sicuramente auspicabile, ma al momento non attuabile perché la Russia non disarma, e il disarmo dell’Ucraina sarebbe un disarmo unilaterale che la lascerebbe alla mercé di chi non disarma e per questo diventa immediatamente il più forte: il lupo troverebbe davanti a sé l’agnello. Quando uno solo ha il monopolio della forza, questo trova limiti solo nella auto-coscienza di chi detiene quella forza, mentre chi si trova a subire l’esercizio di quella forza è alla totale mercé del potente.

Indubbio allora che, se non inviamo armi all’Ucraina, il piatto a favore della Russia sarà molto più pesante. L’unica vera alternativa all’invio di armi sarebbe perciò un semplice invito alla resa con totale disconoscimento delle ragioni degli aggrediti. Se i tentativi di mediazione, che pur sono stati fatti, non sono riusciti a produrre alcun esito positivo, inutile continuare a riempirsi la bocca di parole come ‘negoziati, dialogo,’ eccetera: l'unica alternativa alla situazione attuale di guerra sarebbe la resa; ma una resa dell’Ucraina, dovuta al rifiuto degli Stati europei di aiutarla militarmente, manderebbe un chiaro messaggio anche al resto del mondo: ‘Messaggio per chiunque volesse un domani attaccarci, sappiate che noi non opporremo resistenza’. Perché non sarebbe dignitoso sperare che altri facciano per noi quello che noi oggi riteniamo sbagliato fare per altri. E invece proprio questa scelta di mancata difesa andrebbe contro l’articolo 11 della Costituzione, invocato a sproposito da diverse parti, visto che l’articolo chiama al sacro dovere della difesa. Proprio questa mancata difesa potrebbe indurre la Cina, che al momento sta alla finestra, a invadere Taiwan, avendo più volte dichiarato che l’isola è parte imprescindibile del suo territorio. Rendiamoci conto che, finita la storia con l’Ucraina, non viene assicurata automaticamente la pace in tutto il mondo. E la pace nel mondo dipenderà anche da come noi ci comportiamo oggi davanti a questa guerra[19].

Il non-violento si ribella alla logica binaria violenza o resa e dice che c’è una terza. La non-violenza, dice, non è utopia ma realtà. Lo dimostra chi organizza l’accoglienza di chi scappa, chi distribuisce aiuti umanitari in Ucraina, chi sta in sala operatoria a porre un qualche rimedio alle ferite della guerra, chi gioca con i bimbi dagli occhi impauriti, chi rischia la vita per raccontare la verità e l’orrore, chi sta parlando alle coscienze dei cittadini russi, chi nasconde in casa un giovane obiettore di Mosca dopo aver lasciato tank e divisa lungo la strada per Mariupol, chi partecipa ad azioni di pace in luoghi di guerra, chi ha deciso di restare accanto ai propri fratelli e alle sorelle pur potendo mettersi in salvo oltre i confini, chi in ogni scuola del mondo sta insegnando a resistere all’istinto della violenza, alle microguerre quotidiane, al primato delle cose sulle persone. Altri osservano che occorre cambiare ottica nell’economia e quindi nei rapporti tra gli Stati e tra le varie entità sociali. Finché parleremo solo di crescita, competizione, PIL, acquisizione di risorse con tutti i mezzi ecc. e non invece di benessere diffuso per tutti, di condivisione, di sobrietà, di rispetto per la casa comune ecc., le guerre continueranno. Tutto vero e molto bello, ma nessuna di queste singole azioni (né negoziati, né interventi diplomatici, né invocazioni alla pace e alla fratellanza, né accoglienza dei rifugiati) è in grado di influenzare in questo momento la guerra in atto in Ucraina: semplicemente si è già dimostrato che non bastano. Torno a dire che a guerra iniziata non si fa la pace senza un equilibrio militare.

I pacifisti insistono nel dire che si sarebbe potuta opporre una «difesa non-violenta», fatta soprattutto, ma non solo, di «disobbedienza civile» all’invasore. Permettetemi qualche dubbio. Gandhi l’ha potuta fare in India contro gli inglesi, che erano anche violenti in condizioni di violenza, ma non sparavano su gente inerme che non manifestava contro di essi e andava tranquillamente per i fatti suoi. Gli inglesi non avevano nessuna intenzione di ‘denazificare’ l’India e rieducare tutto il popolo indiano per farlo diventare come il popolo inglese. Sembra che a Bucha siano stati eliminati civili che nemmeno avevano iniziato una «disobbedienza civile» all’invasore. Proprio a Bucha l’ex vice sindaco filorusso Alexanndr Rzhavsky è stato ucciso da soldati russi davanti a casa, sotto gli occhi della moglie e della sorella: era uscito per dialogare e ma dicono che si era rifiutato di offrire ai soldati russi la vodka che loro continuavano a richiedergli[20]. E poi, nemmeno riesco a immaginare come, in un lager nazista, i detenuti avrebbero potuto fare «disobbedienza civile».

È ovvio che si debba continuare a lavorare perché la guerra cessi, per trovare ogni modo possibile per uscire da questa guerra trovando un ragionevole piano di pace (non appare sufficiente quello suggerito sopra dai pacifisti), ma nel frattempo non si può far finta che la guerra non esista e concentrarsi su piani a lunga distanza (tipo l’educazione a resistere all’istinto della violenza) che potranno produrre frutti in un lontano futuro. Anche la mera veglia di preghiere sembra un escamotage per non prendere posizione e non operare concretamente su questa guerra. Lo stesso si può dire quando ci si limita ad organizzare una marcia della pace, qui, al sicuro, in Italia. Chi partecipa si sente con la coscienza a posto per aver fatto qualcosa, ma nessuno in Russia lo saprà mai e, soprattutto, questa marcia non incide di un millimetro sulla tragica situazione in Ucraina. Camminando con le bandiere al vento in un posto sicuro, lontano dalla guerra, dimostriamo semplicemente la debolezza della non-violenza[21]. Forse avrebbe senso parlare di resistenza non-violenta se chi la proclama come unica via percorribile organizzasse da tutta Europa e partecipasse in prima persona a una contro-invasione pacifica di almeno 100.000 persone disarmate (anzi, meglio un milione), capaci di andare a piedi fino a Mariupol per frapporsi fra i due eserciti che si sparano addosso. Un po’ come tanti anni fa don Tonino Bello aveva organizzato la marcia della pace andando fino a Sarajevo. Forse questa massa verrebbe presa a cannonate comunque, forse non le sarebbe neanche concesso di entrare in Ucraina, forse verrebbe fermata prima di Mariupol. Chi lo sa. Ma per far questo, ci vorrebbero persone che non si limitano a riempirsi la bocca di parole di fraternità e di disobbedienza civile, ma che dimostrano di essere disposte a rischiare la propria vita per la pace. Quanti dei ventimila partecipanti alla marcia Perugia-Assisi sarebbero disposti a partire domani per l’Ucraina, per ripetere lì la stessa marcia? E inoltre, chi sarebbe capace di organizzare lì la logistica (dar da mangiare e bere a tutta questa moltitudine, soprattutto se un milione di persone si fermasse a Mariupol fino a che i negoziati non hanno portato a un risultato soddisfacente)? Certo, chi cadesse ammalato o ferito saprebbe anche che gli altri devono andare avanti e che lui sarebbe abbandonato sul posto, senza assistenza, perché i presidi medici e le ambulanze che ci sono lì devono soccorrere i bombardati. E allora, è chiaro che anche questo appare un progetto bellissimo, ma piuttosto utopistico. Più facile gridare a casa propria ‘vogliamo la pace! Fermate la guerra! fermate l’escalation!’ perché siamo lontani dalla guerra e per di più in un Paese democratico che ci permette di manifestare il nostro dissenso,[22] ma in realtà così facendo non si è molto diversi da coloro che semplicemente si voltano dall’altra parte, in un indifferente silenzio. L’effetto finale sulla guerra in atto è esattamente lo stesso sia per chi grida: “Fermatevi![23] La guerra è una follia,” sia per chi non fa assolutamente nulla. O forse chi grida pensa veramente di riuscire a far terminare la guerra con le sue invocazioni? Quante marce della pace sono state finora fatte finora da Perugia ad Assisi (credo la prima risalga al 1961), e con quali risultati concreti (oltre alla soddisfazione di chi vi ha partecipato)?

“Io sono con l’Ucraina, ma…” dice qualcun altro, “non ha cominciato Putin e bisogna capire le sue ragioni, esistono le colpe dell’Occidente e dell’America”[24]. Di certo bisognerebbe fermarsi già al “Sì, ma…” perché l’attacco di Putin dimostra chiaramente la sua mentalità imperialista, che mette in pericolo l’intera Europa, e fra un aggredito e un aggressore non ci sono “Sì, ma…” che tengono. Poi, quando molti indicano gli Stati Uniti come causa principale della continuazione della guerra[25] e del fallimento dei negoziati, c’è da chiederci se, quando gridano ‘no alla guerra!’ non stiano in realtà gridando ‘no alla Nato e agli USA!’[26] Costoro dimenticano che, già prima della guerra, molti dicevano che gli americani gridavano ‘al lupo! al lupo!’ visto che Putin e il suo ministro degli esteri avevano più volte categoricamente affermato che mai avrebbero invaso l’Ucraina. Costoro dimenticano pure che il governo americano aveva all’inizio proposto a Zelensky non armi, ma di fuggire e costituire un governo all’estero, convinto – al pari di Putin - che i russi sarebbero arrivati a Kiev in due-tre giorni. Solo quando gli americani si sono resi conto della inaspettata capacità di resistenza ucraina, hanno deciso di aiutare lo Stato aggredito, ma al momento comunque senza eccedere, tanto che non lo hanno rifornito, ad esempio, di missili offensivi in grado di colpire la Russia e non hanno imposto una no fly zone che avrebbe messo Nato e Russia a diretto contatto, essendo a quel punto l’aviazione della Nato deputata a far rispettare la no fly zone.

Apportare motivazioni politiche (o perfino teologiche), analizzare le rispettive responsabilità, cercar di convincere che anche l’attaccante ha le sue ragioni, dire che bisognava muoversi prima[27] ed ora occorre gettare acqua sul fuoco, cercar di sfruttare ogni possibile spiraglio per arrivare alla pace, sarà utilissimo quando si studierà la storia, ma nel momento attuale sono solo parole inutili. “Parole, parole, parole” cantava Mina tanti anni fa.

Più di duemila anni fa avevano già capito che “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” (cioè, mentre a Roma si discuteva e si discuteva, l’esercito cartaginese espugnava tranquillamente l’alleata città di Sagunto). Da oltre due millenni questa frase significa che quando si perde troppo tempo a discutere, i problemi peggiorano. Ricordiamoci anche che, dopo la prima guerra mondiale, il pacifismo ad oltranza, che a sua volta aveva usato parole, parole, fra l’altro invitando tutti (come oggi) a comprendere le ragioni dell’aggressore (allora l’aggressore era Hitler),[28] ha portato comunque alla guerra che i pacifisti pensavano di evitare cedendo alle ragioni dell’aggressore. La ‘pace’ di Monaco siglata alla fine di settembre 1938 non ha affatto garantito finalmente la pace, come sosteneva scendendo dall’aereo il primo ministro britannico sventolando l’accordo appena firmato con Hitler, ma solo l’assenza temporanea di una guerra. Soluzione fragile che ha prodotto dopo nemmeno un anno la seconda guerra mondiale, per cui profetiche sono in seguito risultate le parole di Winston Churchill a proposito di quell’accordo: “Si poteva scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. In altre parole, di fronte all’odierno espansionismo di Putin, sarebbe opportuno tener ben presente cosa ha comportato il non aver fermato un’ottantina d’anni fa l’espansionismo di Hitler in Cecoslovacchia.

Perciò, senza lasciarci confondere da tante parole e da tanti ragionamenti, il dilemma che oggi abbiamo davanti è piuttosto lineare: gli abitanti dell’Ucraina ci chiedono armi per impedire che le loro mogli e i loro mariti, i loro figli e i loro genitori facciano la stessa fine di tanti abitanti di Bucha, e alla loro domanda si può rispondere, in realtà, solo in due modi: con un sì o con un no. Il resto sono chiacchiere da salotto che non incidono sulla situazione concreta. È chiaro che non basta dire che pregheremo per loro, come non basta fare le marce della pace per ricordare che abbiamo compassione per loro. Nemmeno mi sembra si possa rispondere con un no alle armi per il loro bene, per non prolungare inutilmente le loro sofferenze, come hanno fatto recentemente vari raffinati filosofi, politici nostrani e amanti della pace[29]. Non viene il dubbio, a questi signori, che se non si difendessero sarebbero molti di più a morire, come a Bucha? Non è istintivo, di fronte alle terribili immagini che abbiamo potuto vedere in Tv, dire che ‘dobbiamo’ intervenire a difesa? Se le immagini di Bucha sono vere (e al momento non credo ci siano ragioni per dubitare) bisogna dire che sono stati finora solo i soldati ucraini – e le armi occidentali – a difendere i civili, comprese donne e bambini, dalla sorte toccata ai loro compaesani nelle città in cui l’esercito russo è riuscito a penetrare, sempre e solo grazie alle armi. Insistere nel sostenere che per gli ucraini le uniche forme di difesa devono essere quelle non violente vuol dire accettare che facciano la fine degli abitanti di Bucha. Certamente non verrebbero protetti dalla terza via finora proposta dai pacifisti: far arrivare aiuti umanitari in Ucraina, operare i feriti in ospedale, far giocare i bambini, parlare alle coscienze dei russi, ecc.

Cosa fare quindi oggi rispetto ad un Paese aggredito se l’istituzione a cui spetterebbe prevenire e reprimere queste situazioni, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, non è in grado di farlo perché l’aggressore ha in quella sede un potere di veto paralizzante? Evidentemente, ragionando sempre in chiave multilaterale e in attesa di idee migliori ma concrete, non resta che decidere, seguendo il principio di sussidiarietà, passando al livello sovrannazionale europeo tramite gli strumenti possibili: Unione europea e Nato. Lì, per l’appunto, ci si è mossi sulla base di un principio di proporzionalità, bilanciandosi tra le iniziative di aiuto ai legittimi difensori (cercar di portare in parità i piatti della bilancia) e cercando di evitare danni maggiori, ossia l’avvio di una terza guerra mondiale. In quest’ottica si è ritenuto legittimo l’invio di armi, ma non anche l’istituzione di una no fly zone con la quale i Paesi Nato sarebbero entrati direttamente in contatto e conflitto con i russi aggressori[30].

Ma forse, a ben guardare, i tentennamenti di noi europei sono più economici che politici: in particolare in Germania e in Italia dove dipendiamo per più del 40% dall’energia che importiamo dalla Russia.

Ha ragione allora Draghi a chiedere se vogliamo la pace o vogliamo i condizionatori accesi (Corriere della sera, 7.4.2022). Non coglie nel segno la sprezzante risposta di Conte (Il Piccolo, 8.4.2022, 6) secondo cui Draghi vuol farci credere che rinunciando ai condizionatori la pace arriverà da sola. No, Draghi ha semplicemente richiamato l’attenzione sul fatto che siamo davanti a un momento critico e che la precedente epoca economica sta finendo (se non è già finita), nel senso che se in questi ultimi decenni abbiamo goduto di libertà e di benessere come fossero nostri diritti naturali, l’aggressione russa ci ha messo davanti agli occhi la certezza che d’ora in avanti sarà più difficile mantenere questo abbinamento: dovremo scegliere se difendere la nostra agiata condizione economica, oppure la libertà degli ucraini che lottano per mantenerla, e così indirettamente lottano anche per la nostra libertà che presto potrebbe essere insidiata se l’Ucraina cadesse. Al tempo stesso Draghi ci ha messo davanti alla nostra colossale ipocrisia: da un lato invochiamo a gran voce la pace, ma dall’altro – pur di aver il riscaldamento d’inverno e l’aria fresca d’estate - siamo noi che paghiamo a Putin la sua guerra continuando a importare energia (80 milioni di euro al giorno la sola Italia, 800 tutta l’Europa). Finché avrà i nostri soldi, Putin avrà anche risorse economiche sufficienti per continuare a fare la guerra, e l’unico modo per spezzare la logica della guerra è fargli mancare i nostri soldi. La guerra costa, costa tanto, e se si finiscono i soldi finisce anche la guerra. Questo però richiederebbe da parte nostra sacrifici economici, e non solo vuote parole di solidarietà agli ucraini. Agendo come abbiamo fatto finora sembra che pochi italiani, pur invocando la pace, siano disposti a soffrire in prima persona (come stanno facendo gli ucraini) in una economia di guerra; preferiscono che se la sbrighino gli aggrediti, magari con qualche nostro aiutino. Solidarietà sì, come dice Conte, ma poi è meglio che si arrendano se la continuazione della guerra ci impedisce di usare quest’estate la nostra aria condizionata. È chiaro che qui la compassione è più formale che altro, e che l’impatto della guerra sulla nostra economia (in un con l’inflazione e l’aggravamento della situazione climatica[31]) preoccupa l’italiano medio ben più delle sofferenze in Ucraina[32]. Ma come diceva don Primo Mazzolari, “Ogni rifiuto di bere la nostra sorsata di dolore comporta fatalmente la legittimità del soffrire degli altri e l’aggravamento di esso. La mia croce va a cadere sulle spalle di questi e di quelli; e quando li vedo a terra gravati dal mio carico, ho persino la spudoratezza d’incolparli dell’andar male di ogni cosa”[33]. Ah! Se solo questi ucraini testardi si fossero arresi noi potremmo continuare ad avere tranquillamente il gas russo per il nostro riscaldamento e l’energia per i nostri condizionatori: insomma, se soffriamo è colpa degli ucraini che sono stati aggrediti ma non si sono arresi, perciò che Putin si prenda pure l’Ucraina ma che ci lascino in pace!

Di sicuro quello che in realtà manca all’Italia (e forse anche al resto dell’Europa) è un piano strategico realistico per passare il più velocemente possibile alle energie rinnovabili, ma che al tempo stesso tenga conto della necessità di avere energia a prezzi ragionevoli per mantenere in piedi l’economia italiana durante la necessaria trasformazione[34]. Poiché la guerra è crisi, e – come sappiamo - ogni crisi offre anche delle opportunità, forse questa guerra potrebbe spingerci a fare questo passo che, finora, non abbiamo mai voluto fare da soli e che, per di più, è indispensabile anche per la salvaguardia dell’ambiente. Forse la spinta traumatica che viene dall’esterno ci farà fare qualcosa di positivo, anche contro la nostra volontà.

(continua)


NOTE

[1] Come ha scritto un giornalista americano (Stephens B., Perché ammiriamo Zelensky, “New York Times”, 21.4.2022, 1) il presidente ucraino ci ha colpito perché è stato un attore che ha usato la sua celebrità per diventare un vero uomo di Stato; la maggior parte dei nostri politici agiscono da attori, come fossero uomini di Stato, per diventare celebri.

[2] Già Isaia (Is 2, 4) immaginava che il Signore avrebbe insegnato agli uomini come trasformare le spade in aratri e le lance in falci.

[3] Basta vedere come questa guerra ci metta in difficoltà di fronte alle derrate alimentari (non arriva più a sufficienza il grano e il mais) ed energetiche (petrolio e gas metano). Sembra che cominciamo ad avere difficoltà perfino per imbottigliare il nostro vino, visto che le bottiglie arrivavano dall’Ucraina.

[4] Sul punto basta ricordarsi com’era caduto il governo Berlusconi nel 2011 a causa dello spread, schizzato in alto non certo per volontà italiana. Più recentemente il Covid ha dimostrato che non ci son frontiere che tengano, il che ha accelerato l’interdipendenza europea.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che muoversi da soli in Europa, disperdendo le forze che dovrebbero essere unite, ci assicura un presente da nani e un futuro in cui ciascuno finirà probabilmente schiacciato da uno Stato più forte di noi. La storia c’insegna che gli antichi sabini finirono annientati dai romani proprio perché essendo divisi in varie tribù non si erano riuniti, e i romani attaccando ad una ad una queste tribù, nell’indifferenza delle altre, nel giro di circa un secolo li schiacciarono tutti.

[5] Nella sua ultima intervista in arabo, ricorda Cecilia Dall’Oglio, “padre Paolo disse che ‘quello che non facciamo ora, ci vorrà poi molto tempo per farlo’. Verissimo. E ricordiamo che anche padre Dall’Oglio parla sempre di ‘fare’. Occorre un atteggiamento attivo, non certamente passivo.

[6] https://www.huffingtonpost.it//politica/2022/04/04/news/conte-9104329

[7] Cundari F., I fascio-populisti, https://www.linkiesta.it/2022/04/visegrad-orban-salvini-meloni/

[8] Ci hanno provato inutilmente Macron, Scholz, Draghi, il cancelliere austriaco, Erdogan e il premier israeliano. E come non ricordare, fra le tante iniziative, anche l’accorata lettera dell’arcivescovo Jean-Claude Hollerich (e associazioni Comece e Kek di Bruxelles) del 14.4.2022 al patriarca Kirill, la lettera dei Movimenti non violenti (russo, ucraino e italiano), Dichiarazione per una soluzione diplomatica del conflitto del 14.4.2022, e l’immediata lettera di protesta degli scienziati russi del 24.2.2022, tutte reperibili sul sito Viandanti, in https://www.viandanti.org/website/la-guerra-e-le-ragioni-della-pace/, che non hanno avuto il minimo effetto?

[9] “Bisogna far finire il conflitto attraverso la diplomazia e un ritorno alla politica, non alle armi,” ha detto il presidente nazionale dellAnpi (“Il Fatto quotidiano” on line, 15.4.2022). Peccato che il presidente no dica come fare tutto questo. Anzi, dalla frase detta, possiamo anche concludere che secondo alcuni pacifisti dell’Anpi i partigiani hanno sbagliato ad usare le armi. Hanno sbagliato ad accettare le armi paracadutate dagli Alleati. Sarebbe allora opportuno che questi pacifisti si esprimessero più chiaramente, tanto più quando strizzano l’occhio a Putin lamentando che le sue ragioni non sono state prese in considerazione.

[10] Lo si grida soprattutto nei cortei no-vax (cfr. “Il Fatto quotidiano” on line del 17.4.2022).

[11] Basta ricordare le disastrose “operazioni militari” occidentali in Afghanistan e in Iraq.

[12] Cundari F., I cavillosi complici di Putin, https://www.linkiesta.it/2022/04/orrore-ipocrisia-putin, si stupisce di come, di fronte all’invasione di un Paese libero e democratico – quando cioè il dibattito si svolge mentre sono in corso stermini, torture, stupri di massa – c’è gente che va in tv ad accusare chi vorrebbe fermare tutto questo di non volere la pace e mettere a rischio il dialogo con i torturatori.

Perché nessuno ricorda che nell’aprile 1997 Romano Prodi dovette chiedere i voti a Forza Italia per farsi autorizzare la guida italiana dell’Operazione Alba, che sotto l’egida dell’Onu pose fine alla guerra civile albanese? In base a un concetto di pacifismo utopico, Rifondazione Comunista, che pur faceva parte della maggioranza, negò i suoi voti. La missione italiana risolse in quel caso il conflitto in tempi brevi e soprattutto senza caduti, ma oggi nessun pacifista lo ricorda, perché la pace raggiunta con l’uso delle armi non è mai funzionale alla narrazione secondo cui solo il disarmo giova all’umanità.

[13] Significative, al riguardo, sono ancora oggi le pagine magistralmente scritte dallo storico greco Tucidide: “siete consapevoli quanto noi” dicono i comandanti dell’esercito ateniese agli abitanti dell’isola di Melo, neutrale nella guerra fra Atene e Sparta e che spera di mantenere unilateralmente la sua neutralità e la sua indipendenza, “che i concetti della giustizia affiorano nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si flettono” (Dal Libro V della Guerra del Peloponneso di Tucidide (Traduzione di Ezio Savino), Garzanti, Milano 1974, 374).

[14] Come insegnava già Tucidide raccontando quanto accaduto agli abitanti di Melo: cfr. precedente nota 13.

[15] Cfr. precedente nota 13.

[16] Stefanini S., Questa guerra si ferma solo chiudendo il gas, “La Stampa”, 14.4.2022, 1-29.

[17] Tipico esempio di quanto sto dicendo lo si riscontra su un articolo di Briganti S., “Il Fatto quotidiano” on line del 17.4.2022: «Sicuramente continuare a spingere sulla via diplomatica sin dall’inizio ascoltando e gestendo le richieste di Ucraina e Russia, “blindando” al contempo la sicurezza degli Stati europei, avrebbe portato meno sangue». Bene! Ma in concreto, come ci si doveva muovere in via diplomatica?

Neanche la soluzione proposta da Maddalena P., “Il Fatto quotidiano” on line del 20.4.2022 («La soluzione di fronte a questo immane disastro sta nel cambiare totalmente, con soggetti idonei, gli attuali governanti dell’Oriente e dell’Occidente. Insomma bisogna portare al potere uomini democratici che abbiano una morale e soprattutto la consapevolezza che la guerra significa tornare all’uomo branco, significa distruggere la civiltà») mi sembra praticabile in tempi ragionevoli. Soprattutto in Italia, dove i politici vivono di politica per tutta la vita e sembrano incollati alle poltrone fino ad esalare l’ultimo respiro. E non è cosa di oggi. Vi ricordate Badoglio? Sempre in sella, anche dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto, dopo i crimini di guerra perpetrati dagli italiani in Europa, dopo l’8 settembre. Allora, mi sembra, che questi suggerimenti navighino sempre nell’ambito della piena utopia.

[18] Va ricordato come a Trieste, pur essendo chiaro chi aveva vinto e chi aveva perso nel ’45, ci vollero due anni per il Trattato di pace, nove per il memorandum di Londra e ben 30 per il Trattato di Osimo che sanciva una volta per tutte i nostri confini (Rossetti G., Le vie della pace, “Il Piccolo”, 20.4.2022, 19).

[19] Dopo la disastrosa fuga da Kabul, gli Stati Uniti non possono invitare anche l’Ucraina alla resa, perché darebbero via libera alla Cina di invadere Taiwan, dimostrando indirettamente che, se non difendono l’Ucraina, non difenderanno neanche quell’isola.

[20] Zafesova A., In ricordo di Rzhavsky, “Specchio”, n.62/2002, 19.

[21] E come diceva lo stesso Gandhi: “La violenza è sicuramente preferibile alla debolezza. C’è speranza per un uomo violento di diventare non violento. Non c’è questa speranza per i deboli” (in https://liosite.com/citazioni/gandhi-e-meglio-essere-violenti/?msclkid=08c1017fc2e611ecbe51e9f9f46f4949).

[22] Perché non si prova a fare la stessa marcia in Russia?

[23] La guerra è sicuramente una follia, ma gridando indistintamente “Fermatevi!” si vuol forse fermare l’aggredito Zelensky e non l’aggressore Putin, e come ha ben detto il presidente della Camera Roberto Fico non dobbiamo porre sullo stesso piano aggressore e aggredito. Storicamente, poi, sarebbe utile tener presente che la libertà di cui godiamo è nata da coloro che non si sono fermati davanti all’aggressione nazi-fascista, ma hanno resistito, ritenendo che la resistenza – e non la resa,- sia un dovere quando la dignità e i diritti vengono calpestati dal bullo di turno.

[24] Chissà se chi, in queste ore, rimprovera agli ucraini di non essere sufficientemente arrendevoli e non riconoscere le ragioni della Russia conosce queste righe che Gaetano Salvemini scrisse nel 1938, dopo l’assassinio dei fratelli Rosselli (riportate da Pedrazzi N., Però non ha cominciato lui, del 14.4.2022, in https://confronti.net/2022/04/pero-non-ha-cominciato-lui/):

«Uomini che vivono in Paesi liberi, come la Francia, l’Inghilterra, l’America spesso ci domandano che cosa noi speriamo. E in fondo alla loro domanda c’è come un oscuro rimprovero: dal momento che siamo incapaci di annullare il fatto compiuto (cioè l’assassinio degli oppositori politici al fascismo), perché non ci arrendiamo? […] Allora io spiego che né essi né io sappiamo cosa si nasconde dietro il velame del futuro. Nessuno prevedeva nel 1920 la vittoria del fascismo in Italia. Nessuno può prevedere nel 1938 quel che sarà dell’Italia e del mondo nel 1940. Quando soppesiamo le forze oggi a confronto e cerchiamo di calcolare quale direzione la loro risultante seguirà nel futuro, dobbiamo sempre ricordare che tutti i nostri calcoli sono assai incerti […] e che nove volte su dieci quel che avviene è quel che nessuno si aspettava. […] Un fatto solo è sicuro: che fra i fattori dell’avvenire esiste anche la nostra volontà, la nostra azione, la nostra testardaggine. Ciascuno di noi troverà nell’avvenire quel tanto che vi avrà messo di sé stesso. […] Solo chi si arrende ai fatti compiuti non vi troverà nulla, perché non vi avrà messo nulla». Insomma, Quasi mai quello che a un certo momento appare e anche quello che poi concretamente avviene.

I fratelli Carlo e Nello Rosselli si segnalarono, durante gli anni del fascismo, per una vigorosa opposizione al regime ed essi, sul piano dottrinale, si ispiravano al pensiero liberaldemocratico di Gaetano Salvemini (1873 – 1957), cercando una linea d’incontro tra liberalismo e socialismo. Parteciparono contro Franco alla guerra di Spagna, vissero in esilio e vennero assassinati ufficialmente dai fascisti in Francia. Ma Togliatti li considerava fascisti inconsci, ideologi reazionari in nessun modo legati alla classe operaia, perché cercavano punti d’incontro, discostandosi dal fondamentalismo comunista.

[25] Come mai nessuno dice lo stesso della Cina? Eppure più la guerra continua più la Russia corre il rischio di dover chiedere aiuto alla Cina, anche a costo di diventare sua ancella. La Cina non prende posizione ufficiale, ma ha un interesse diretto che la Russia si logori (così si toglie una possibile minaccia al suo confine nord lungo 4000 km, nel caso la Russia fosse stata alleata dell’Occidente), e anche che l’Europa si logori e vada in recessione con l’economia (così da poter più facilmente penetrare ad Occidente con i suoi prodotti). Se poi Europa e Stati Uniti non facessero nulla, o assai poco, sarà motivo di valutazione per decidere se invadere o meno Taiwan,

[26] Chi si sbilancia pro Putin dice: come dimenticare i crimini quotidiani compiute dalle grandi oligarchie finanziarie nei Paesi occidentali, affette da avidità e arroganza (pensiamo solo a Big farma)? Va bene, ma questo non rende meno gravi e meno condannabili i crimini di guerra che si stanno compiendo in Ucraina. Se gli occidentali hanno la colpa di aver sfruttato le ricchezze di altre parti del mondo, non per questo quello che dicono oggi sui diritti umani e sulla democrazia è da condannare. Sinceramente le restrizioni sulla libertà e sul diritto di parola, al momento messe in atto in Russia, permettono di nascondere la realtà della situazione molto più che da noi. Pur con tutti i nostri difetti, pensiamo all’effetto catastrofico del divieto di sollevare obiezioni e critiche che esiste non solo in Russia, ma anche in Cina: ricordiamoci che là il dr. Li Wenliang, morto per covid, oggi è un eroe, ma all’inizio, quando aveva osato lanciare l’allarme per il virus diffusosi a Wuhan era stato richiamato, minacciato e silenziato dall’autorità; queste restrizioni hanno impedito di prendere tempestive misure, e il covid si è espanso in tutto il mondo.

[27] Cfr. quanto detto alla nota 5.

[28] Anche allora si diceva che si vedeva nella condotta di Hitler un atto di violenza (quando ad es. si era impadronito dell’Austria), ma lo si giustificava dicendo che non si era fatto niente per contrastare il precedente stato di violenza dovuta a una mancanza di giustizia collegata alle dure condizioni di pace imposte alla Germania con la fine della prima guerra mondiale. Lo stesso quando si è mosso per impossessarsi dei Sudeti.

[29] Come mai, ai miei tempi quando c’era la guerra in Vietnam, i pacifisti chiedevano a gran voce agli americani di andarsene (“Yankee, go home!”) e non ai vietnamiti di arrendersi per il loro stesso bene? Se non si segue la stessa linea, non è forse perché questo pacifismo odierno è sinonimo di antiamericanismo?

[30] Ceccanti S., Aggressione all’Ucraina, in https://www.cittanuova.it/aggressione-allucraina-spese-la-difesa-quattro-punti-ragionare/?ms=003&se=020.

[31] Ha ben scritto il giornalista Roberto Savio che il pianeta non si interessa né a Putin, né a Biden, e che l’ormai piccola finestra che abbiamo prima di arrivare a 1,5 gradi di aumento di calore, si sta chiudendo, ma questo non sembra interessare più di tanto la gente.

Se già adesso abbiamo queste intense immigrazioni dall’Africa, cosa succederà quando neanche gli Stati mediterranei (Egitto, Tunisia, ecc.) avranno grano sufficiente per sfamare la propria gente, visto che quel grano arriva da Russia e Ucraina? L’Europa corre il rischio di venir invasa da milioni di affamati.

[32] L’ovvio rischio è che il costo economico, con un taglio netto alle importazioni di energia dalla Russia, sia alla fine inferiore rispetto al costo di un guerra protratta nel tempo.

[33] Mazzolari P., La Pasqua, La Locusta, Vicenza 1970, 105.

[34] Bardi U., Taglio netto al gas russo?, “Il fatto quotidiano”, 12.4.2022 versione on line.