Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Shylock e Jessica - 1876, Maurycy Gottlieb (1856-1879) - "Catalogo dei dipinti rimossi dalla Polonia dalle autorità di occupazione tedesche negli anni 1939-1945. 1, dipinti polacchi" / comp. Władysław Tomkiewicz ; Ministero della Cultura e dell'Arte. Varsavia 1950 Editore: Ministero della Cultura e dell'Arte - immagine tratta da commons.wikimedia.org



Una telefonata, mentre il mondo va a destra



di Stefano Sodaro




Il cosiddetto “diritto di natura” è uno dei capisaldi della cultura giuridica, diciamo, “di destra”, o meglio: della cultura giuridica conservativa (e conservatrice). Si ritiene, cioè, che la natura abbia in sé inscritto un ordine, contenga una propria disciplina imperativa, che l’umano legislatore può solo attuare, senza permettersi di intervenire su di essa. E, certo, se si pensa alle alterazioni devastanti del clima mondiale, pare effettivamente che l’intervento extranaturale abbia causato disastri, quasi ormai irrimediabili. Però subentra subito un cortocircuito di pensiero: apparterrebbe, infatti, alla “natura” umana intervenire sulla natura ambientale, per sancire anche contro di essa, se necessario, la propria supremazia ontologica, metafisica, “naturale” appunto. Cioè, molto semplicemente, l’assioma per cui l’Uomo domina l’Ambiente, perché è Superiore ad animali, rocce, alberi, piante e fiumi. Dunque sarebbe questa presunta superiorità il dato proprio della “natura umana” e sarebbe pertanto conforme a “diritto naturale”, appunto, lasciare che l’uomo intervenga sull’ambiente secondo le proprie determinazioni ed i propri giudizi (e calcoli), i cui esiti non possono che essere frutto di umana responsabilità

Ma tutto questo ammucchiarsi di parole per dire che cosa? Che il concetto di natura è estremamente relativo e variabile. E che anche il diritto naturale, quindi, è di per sé soggetto alle più diverse interpretazioni. Uccidere il nemico, ad esempio, sta fuori o dentro la natura umana? Perdonare è proprio della natura umana o appartiene ad altra sfera ed altra dimensione? Porgere l’altra guancia è così tipico della natura dell’uomo? Una ridda di domande.

E chi s’incarica di trovare le risposte per arginare – ammesso e per nulla concesso che sia necessario – le derive di un pericoloso relativismo? La risposta è abbastanza semplice: o il Re, o il Papa. O il potere civile, o quello religioso. O l’autorità dello Stato, o quella di Dio. Altre possibilità non ci sono, se un diritto naturale deve esistere ed essere rispettato. Una democrazia, un parlamento, un’assemblea non può decidere cosa sia la natura. La verticalità di riferimento alla definizione di concetti fondativi non può che discendere da un apparato verticistico di potere.

Esiste un interessante pronunciamento di un giudice italiano. Il Tribunale di Venezia così si è pronunciato, nella propria Ordinanza n. 177 del 3 aprile 2009, a proposito dell’art. 29 della nostra Costituzione, a norma del quale “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”: «In realtà, il significato di tale espressione non è quello di riconoscere il fondamento della famiglia in un non meglio definito ‘diritto naturale’, quanto piuttosto di affermare la preesistenza e l’autonomia della famiglia - come comunità originaria e pregiuridica - dallo Stato, così imponendo dei limiti al potere del legislatore statale. Che questa fosse l’intenzione del legislatore storico è messo ben in luce negli atti relativi al dibattito svolto in seno all’Assemblea Costituente in relazione all’art. 29 Cost., come emerge dall’intervento dell’on. Aldo Moro nel corso della adunanza plenaria del 15 gennaio 1947. In particolare, in relazione alla formula ‘la famiglia è una società naturale’, egli sottolineò che ‘ ...non è affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita’. Ed ancora: ‘Escluso che qui naturale abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuole dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui naturale sta per razionale. D’altra parte non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia sempre un più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice società naturale in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionata attraverso il processo detta storia, costituisce la linea ideale della vita familiare. Quando sì afferma che la famiglia è una società naturale, si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare’. Era d’altra parte assai forte e recente il ricordo delle leggi razziali: il divieto di matrimonio di cittadini italiani di razza ariana con persone appartenenti ad altra razza, la subordinazione del matrimonio di cittadini italiani con persone di nazionalità straniera al preventivo consenso del Ministero per l’Interno, il divieto per gli ebrei di sposarsi in terra italiana, l’obbligo d’improntare l’istruzione e l’educazione familiare al sentimento nazionale fascista, tutte norme dirette a salvaguardare uno specifico concetto di famiglia imposto dallo Stato. Proprio ricordando gli abusi compiuti, a difesa di una certa tipologia di famiglia, i Costituenti intesero marcare il confine tra autonomia familiare e sovranità statale, circoscrivendo i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione. Regolamentazione che è tuttavia consentita, rectius imposta, ai sensi del 2° comma dell’alt. 29 Cost. e di quelli immediatamente seguenti, solo quando si renda necessario un intervento statale atto a garantire i valori, questi sì costituzionalizzati, dell’eguaglianza tra coniugi, dell’unità familiare, del mantenimento, istruzione ed educazione dei figli.

Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalità dell’art 29 Cost. e che famiglia e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente sì verificano nella storia, è poi indubitabilmente dimostrato dall’evoluzione che ha interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi» (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2009/07/01/009C0412/s1). Parole molto chiare.

Le elezioni politiche del 25 settembre scorso hanno portato all’affermazione di forze che rivendicano esplicitamente l’urgenza assoluta di tornare alla disciplina, all’ordine, al riconoscimento di un diritto naturale addirittura “sovrano”, “nazionale”, indigeno, autocratico. I due Presidenti appena eletti, di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, sono manifestazione chiarissima di un orientamento ideologico ben definito e che va in questa direzione. Verrebbe quasi da dire: torniamo finalmente al diritto naturale! (E per inciso l’On. Lorenzo Fontana, neo-Presidente della Camera dei Deputati, ha infatti citato Tommaso d’Aquino).

Tutto bene allora?

C’è chi sarà molto contento, e contenta, e chi temerà che si avvii una regressione cultural-istituzionale, con un frammischio di ragioni liberiste, ragioni di Stato, dirigismo, imprenditoria, archiviazione di diritti comunque insopprimibili e arresto di ulteriori riconoscimenti di libertà personali.

Ieri, al Politeama “Rossetti” di Trieste, il qui scrivente ha assistito a “Il mercante di Venezia” interpretato da niente poco di meno che Franco Branciaroli. La “libbra di carne” che Shylock esige da Antonio come penale del debito inadempiuto pare davvero riferirsi ad un diritto naturale assoluto, inderogabile: “a Venezia non c’è potere che posa modificare una legge in vigore. Sarebbe registrato come un precedente e dietro tale esempio molti abusi inonderebbero lo stato. Impossibile”. E sarà solo un’interpretazione di stretto diritto, persino capziosa, a salvare Antonio.

Come si esce da questo vortice centripeto? Quando Edward Schillebbeckx scriveva Perché la politica non è tutto additava un orizzonte ulteriore, un senso ultimo che non sta sopra ed obbliga e soverchia ma che sta laggiù, dopo, o prima.

Belle parole. Dove sono i segni di questa ulteriorità che non ci schiacci contro il muro di tradizioni irreformabili o di palingenesi disumane?

In realtà, non è una battuta, basta una telefonata. Una telefonata, ad esempio, a mezzogiorno e mezzo di una domenica, solo per farsi sentire, per dire che si è vicino, vicina, disarcionando presunti primati protocollari. La liturgia, sia pure del quotidiano, non è il ricettacolo delle rubriche che garantiscono rispetto d’ordine sacrale. È esattamente il contrario: festa dell’incontro, abolizione degli obblighi performativi, riconciliazione con il proprio sé più profondo e con l’essere degli altri e delle altre.

L’umiliazione violenta di Shylock, che invece nessun atto commette, ha quasi un significato “cristologico”: perché mai ha voluto proprio una libbra di carne umana come penale? Perché è dentro la contraddizione del nostro comune essere che si giocano presente e futuro. E perché è questa contraddizione a reclamare un’impossibile redenzione.

Davvero impossibile? No. Ma allora bisognerebbe parlare d’amore e sarebbe tutt’altra storia.

Buona domenica.