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Mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, durante il Suo ingresso nella Cattedrale di San Giusto iul 23 aprile 2023 - foto per gentile concessione della Diocesi di Trieste

Quel Vescovo e i riti orientali

di Stefano Sodaro



Che nella Chiesa Cattolica, cioè proprio al suo interno e non al suo esterno, esistano ordinamenti rituali con una propria disciplina – giuridica, liturgica, spirituale, ecclesiastica – profondamente diversa da quella comunemente conosciuta in Italia, in quanto maggioritaria, e che sotto tale profilo andrebbe aggettivata come “latina”, è questione del tutto ignota e quasi incomprensibile nelle comunità del nostro Paese. Non servono sforzi di spiegazione didattica, lezioni, libri, dispense, dialoghi e confronti: resta una realtà forse non tanto tralasciata nelle secche dell’ignoranza quanto proprio inscalfibile dal punto di vista conoscitivo. Come se si frapponesse una barriera intellettiva che renda impossibile capire di che cosa si stia parlando.

Le Chiese Cattoliche Orientali, invece, esistono e non sono per nulla sovrapponibili alle Chiese Ortodosse (le quali a propria volta si suddividono in Bizantine – come la Chiesa Greco-Ortodossa, la Chiesa Russa Ortodossa, la Chiesa Serba Ortodossa – e in non Bizantine, come ad esempio la Chiesa Armena e quella Copta), ma neppure sono una specie di articolazione secondaria della Chiesa latina.

Qualche domenica fa un parroco triestino, al momento degli avvisi, ha annunciato l’accoglimento nella Chiesa cattolica di due ragazzi provenienti da una Chiesa Ortodossa.

Ora, con data della scorsa domenica, il nuovo Vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha pubblicato una lettera, di estrema importanza, rivolta a tutti i presbiteri della diocesi, in cui, dopo aver ricordato al n. 6 che risulta inopportuno parlare di “Prima Comunione” o di “Cresima” per tali ragazzi – dal momento che in ogni Chiesa Orientale tutti e tre i Sacramenti dell’Iniziazione sono amministrati congiuntamente - si legge al n. 8: “(…) Salva un’eventuale dispensa della Sede Apostolica, l’ascrizione dei bambini e ragazzi non cattolici che vengono alla piena comunione con la Chiesa cattolica avviene nella Chiesa sui iuris del medesimo rito e non nella Chiesa latina.” La sottolineatura ed il grassetto sono del sottoscritto.

E prosegue, il Vescovo di Trieste, al n. 9 della sua lettera: “Quindi, pur non incoraggiando tale prassi, se avviene questa richiesta è perché questi genitori e i loro figli hanno avuto un avvicinamento e una frequentazione con le nostre comunità parrocchiali. Sarà necessario informare il Vescovo di questa richiesta, in modo da poterla valutare e, eventualmente, predisporre il percorso da seguire. Questa sollecitudine farà sì che, dopo il rito di accoglienza nella piena comunione della Chiesa cattolica, questi bambini e ragazzi possano continuare a partecipare pienamente alla vita della loro comunità parrocchiale triestina, ma nel loro futuro potranno – se lo vorranno – valorizzare la loro identità ecclesiale orientale, soprattutto nella preparazione e celebrazione del matrimonio.”

Personalmente non ricordo un altro documento episcopale – di un singolo vescovo – di tale chiarezza esemplare e di tanta attenzione appassionata, dopo la pubblicazione, da parte del competente ufficio della CEI, nel luglio del 2017, dell’apposito Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli Orientali non cattolici.

Colpisce, in modo del tutto particolare, quel cenno a “valorizzare l’identità ecclesiale orientale”, che può essere foriero di importanti innovazioni nella pastorale della Chiesa italiana. Vi è infatti la possibilità, come scrive il Vescovo, di promuovere tale valorizzazione soprattutto in occasione del matrimonio, ma evidentemente non soltanto.

Ed infatti sempre mons. Trevisi, nella medesima lettera, ricorda la presenza dell’Esarcato Ucraino Cattolico in Italia e la stipula dello specifico accordo con la Diocesi di Trieste “per tutelare l’assistenza spirituale dei loro fedeli presenti nel nostro territorio”. 

A tale proposito, si può rammentare che sono molti i presbiteri cattolici ucraini di rito bizantino, appartenenti a tale Esarcato, e pertanto presenti in Italia, che sono sposati (cioè che si sono sposati prima di essere ordinati diaconi e poi preti) ed alcuni godono anche del cosiddetto biritualismo, cioè della facoltà di celebrare la liturgia anche in rito latino. Un tempo vi erano rigorose disposizioni della Santa Sede che impedivano la presenza dei preti sposati orientali al di fuori delle loro diocesi di origine, ma simili norme sono venute meno con la pubblicazione dei “Pontificia praecepta de clero uxorato orientalidel 2014.

Il nuovo Vescovo di Trieste inaugura dunque la sua propria attività normativa con disposizioni volte a fornire chiarezza e ad incoraggiare ogni sforzo dettato da passione pastorale nelle delicatissime questioni rituali che concernono le Chiese d’Oriente. È davvero un fatto notevole.

Trieste si pone all’avanguardia nella specifica disciplina canonica – giuridica – di importanti emergenze pastorali che diverranno sempre più pressanti e consuete nell’intero contesto italiano.