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La honra de la mujer, novela de costumbres - 1874, Ernesto García Ladevese (1850-1914), Università di Toronto - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Ti penso, assieme a ...


di Dafne Rosa Toso


Raccolgo l’invito di Andrea Fossoto – nell’editoriale di questo numero - a pensare ad una comunità alternativa, a 54 anni dal ’68.

Probabilmente bisognerà iniziare dall’abc. Non sappiamo più cosa sia una comunità. Non ne vediamo le forme, i luoghi, i contesti. Non ne sappiamo immaginare i e le partecipanti. Troppo tempo è trascorso.

Ma neppure possiamo essere passatisti e volgere lo sguardo ai bei tempi che furono, in realtà neanche poi bellissimi, se consideriamo ciò che venne immediatamente dopo, il terrorismo degli Anni Settanta, la stagnazione intellettuale - riempita di euforico entusiasmo economico - degli Anni Ottanta, con l’icona della “Milano da bere” ed il craxismo imperante.

Pensare oggi ad una comunità vuol dire, dunque, essere in grado di trovarsi attorno ad un progetto. Concretezza e non fumisterie ideologiche.

E rifletto sull’idea del nostro direttore, esposta ad Assisi lo scorso settembre, in occasione del Convegno - promosso dalla Rete Nazionale di Cooperazione Educativa - a 100 anni dalla nascita di Paulo Freire, di vedere finalmente pubblicata in italiano la trilogia radiofonica de “Un tal Jesús”, che segnò l’intera epoca della teologia narrativa popolare latinoamericana. E mi chiedo anche: oltre alla pubblicazione in italiano, non si potrebbe puntare ad una sua rappresentazione, ad esempio proprio radiofonica, come nelle sue origini, oppure filmica, oppure teatrale? Ragioniamoci con calma.

Anche perché – sempre leggendo quest’oggi Fossoto – le istanze della soggettività non possono svaporare in un qualche indistinto comunitarismo. Dobbiamo sentirci interpellate e interpellati personalmente, come donne e uomini che hanno una precisa identità e una precisa storia, non omologabili ad altre. Una comunità incapace di comunicare si autodistrugge prima ancora di presentarsi con nome ed indirizzo.

Ed allora riflettiamo: come comunichiamo a più di cinquant’anni dal Sessantotto? Lunghe mail e chat di confessione, incitazione, sfogo, sono sufficienti, adeguate?

Spesso, almeno accade a me, ci scriviamo, via social, via mail, via sms, un “ti penso” che dice molto di più di due parole giustapposte.

Pensarci reciprocamente, ad iniziare dalla nostra reciprocità femminile, che s’usa ormai aggettivare anche come “sororale”, è diventata una tessera d’appartenenza al mondo della complessità, che non permette sconti d’alcun tipo.

La mia Venezia ha iniziato a declinare quando ha rinunciato a preservare la propria identità complessa e non facilmente liquidabile con qualche didascalia turistica.

Ti penso.

Iniziamo a pensarci. Se abbiamo coraggio di trarne le conseguenze, nascerà da questo “pensiero” una comunità, prima di tutto affettiva – e non prima di tutto effettiva -, che al momento nemmeno riusciamo ad immaginare. Ma che è la nostra unica salvezza. Ha ragione Fossoto.