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Tantum Aurora est

di Stefano Sodaro

Dopo aver – maldestramente, senza dubbio – provato ad ipostatizzare la luna del Cantico dei Cantici nell’Editoriale di tre settimane fa, con un simbolico, identico, nome proprio femminile, avventuriamoci questa domenica in tentativo similare riferendoci a quell’aurora celebrata da Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Vaticano II, in latino, l’11 ottobre 1962, celebre, tuttavia, piuttosto per il suo esordio: Gaudet Mater Ecclesia. Qui le maiuscole le mise proprio il Papa, leggere per credere. Fu lui, il Papa, ad “ipostatizzare” la stessa Chiesa, divenuta femminilmente madre. (E contendendosi tale maternità – però si può sussurrare solo tra parentesi – con quella verginale di Maria, ben lontana non solo dalle sue proprie origini ebraiche, ma pure da qualsiasi rinascimentale Madonna).

Oggi è la Festa della Mamma. Che significa essere madre? Può essere ridotto, tale significato, alla biologia, alla fisiologia, alla natura? Hanno i maschi tutto questo diritto di parlarne sempre e comunque?

Tantum aurora est, proclamò solennemente Giovanni XXIII, al secondo paragrafo del n. 9 del discorso che inaugurò il Concilio.

Ed il latino liturgico conserva un imperituro, immarcescibile, potente fascino poetico: «Tantum aurora est; et iam primi orientis solis radii quam suaviter animos afficiunt nostros! Omnia hic sanctitatem spirant, laetitiam excitant.». «È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza.».

Dunque: che accadrebbe se facessimo diventare maiuscola anche la “a” della giovannea aurora? Se fosse una ragazza dei nostri giorni che si affaccia alla vita perché, la sua, sia inondata dal sole di progetti appaganti, anche professionali, di realizzazione piena, di concretizzazione non al ribasso, anzi tutta al rialzo, di sogni, aspirazioni, desideri, aspettative?

Non è tempo per giovani il nostro, né giovani uomini, né – ahinoi e purtroppo –, tanto meno, giovani donne. E perché?

Perché investire nei e nelle giovani sembra terremotare, completamente destabilizzare, le consuete e consolidatissime pietrificazioni del potere. Un potere che preferisce essere musealizzato pur di non dover accettare una progressiva, peraltro inesorabile, sparizione.

Eppure le menti più acute, negli stessi contesti aziendali, ben hanno colto, e da tempo, la necessità di uscire da ogni sclerotizzazione, per fare spazio a chi domani dovrà portare avanti il mondo in cui viviamo.

Avviene questo anche nel contesto ecclesiale cattolico?

Qui bisogna ricorrere ad un apparente paradosso interpretativo: mentre il mondo laico intuisce che la, il, giovane professionista è una risorsa unica perché in grado di adottare punti di osservazione, visioni, strategie di sviluppo, completamente inedite e decisive – se solo, ad esempio, si pensi alla rivoluzione digitale -, dentro la Chiesa spesso sono, tutto all’opposto, i più giovani, pressoché sempre e solo maschi, a denotare un preoccupante invecchiamento di prospettiva, un regresso a ben prima dell’aurorale Vaticano II, uno scadimento culturale su posizioni di retrovia che blocca e fa appassire la vitalità teologica della Tradizione. E bisogna rivolgersi agli ultracinquantenni, quando non agli – ed alle (in questo caso anche donne, sì: Adriana Zarri, per fare un nome) - ultrasettantenni, se si vuol riassaporare il gusto del Concilio.

La Chiesa non ha nulla da imparare dal Mondo, si digrignava prima dell’aurora del 1962.

Oggi non ci sono più le parole cerimoniali in latino, tra flabelli e tiare, ma c’è – se la si vuol cercare e trovare – Aurora, con la “a” maiuscola.

Aurora ottiene possibilità professionali in campo laico, ma nessuna sostanziale possibilità di incidere, e neppure di essere appena visibile, in zona ecclesiale.

Chiariamo subito: Aurora ne sa di teologia, e tanto, così come, ad esempio, tanto sa di diritto nelle dislocazioni laiche della vita, fuori dai circuiti e cortocircuiti ecclesiastici, dove spazi ci sono.

Allora una domanda sorge da sola verso Basiliche e Cattedrali: poiché non esiste la tanto declamata e blandita “donna”, con il suo presunto principio mariano o genio femminile che dovrebbe portarsi dappresso, bensì esistono le donne, al plurale, con volti e nomi, e storie e speranze che sembrano solo utopie, quando si metterà la Chiesa in ascolto di Aurora? Il Mondo lo fa già, sebbene – anch’esso – pochissimo e male. Ma Aurora non si arrende, sorride e va avanti.

E noi con Lei. E con Lei, in Lei, tante, tantissime. Forse proprio tutte.

Del resto, aurorale è anche il Convegno che si svolgerà a Trieste il prossimo 28 maggio a partire da un’altra domanda, non così dissimile da quella appena formulata: “Chi era l’uomo Gesù?”. Ne riparleremo.

Buona domenica.