Aprile - MISERICORDIARE
Il passaggio pasquale è il culmine del lungo viaggio proposto dall’evangelista Luca in cui Gesù per villaggi e città, nelle case e lungo le strade, nelle sinagoghe e nel tempio, ha insegnato e curato, disegnando pennellata dopo pennellata, tutte le sfumature della misericordia divina. C’è un filo rosso che attraversa il vangelo e che culmina nel racconto della passione: Dio è dove non ti aspetti!
La sua gloria che abita i cieli ormai risplende in un bimbo in fasce in una mangiatoia, si fa contemplare da una donna che si siede ai suoi piedi per meglio ascoltare la Parola, si fa rappresentare da un samaritano capace di commozione, si autoinvita nella casa di esattori delle tasse scalatori di alberi. Le folle che sono accorse per osservare lo «spettacolo» del crocifisso hanno sentito parole immeritate di perdono e speranza e anche in quel modo di affrontare la morte hanno potuto contemplare la gloria del Dio vivente. Si tratta tuttavia di conservare lo sguardo fisso come le donne e i conoscenti di Gesù che continuano ad osservare da lontano e a riflettere su quanto hanno vissuto. Per questo sapranno riconoscere i segni della presenza divina anche nella tomba vuota e potranno essere le prime testimoni della risurrezione.
Delle donne e in particolare di Maria di Magdala possiamo pensare che avessero ricevuto e compreso la misericordia del Signore e per questo ne diventano credibili annunciatrici. Si sono immedesimate nella sorella sorpresa in adulterio, umiliata esponendola al pubblico giudizio e facendole rischiare la lapidazione, solo per trovare un espediente per accusare Gesù riguardo il suo rapporto ritenuto non ortodosso con la Legge.
In quel caso Gesù, che era seduto nell’atteggiamento del maestro, risponde a questa provocazione prima di tutto con il gesto e il silenzio. Si abbassa davanti all’umiliata, prende le distanze dal rumoreggiare attorno a lui, si dissocia dall’accusa e dall’atteggiamento degli accusatori, mettendosi a scrivere per terra. Davanti all’insistenza di chi si aspetta premi per le proprie osservanze e si sente autorizzato a giudicare e condannare al posto di Dio o in suo nome, Gesù lancerà il suo sassolino nello stagno immobile delle regole autoreferenziali e dei cuori induriti nel disprezzo dell’altro: una parola che non si può ignorare, un po’ di sabbia che blocca l’ingranaggio che macina e stritola tante persone, soprattutto tante donne “non conformi”: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Tornato a distogliere lo sguardo, chinato, Gesù non giudica nemmeno loro. Ha suggerito un criterio, lapidario appunto, non aggiunge altro, per lasciare che risuoni in tutti i presenti.
Ecco la grande fatica illustrata anche dalla parabola del padre misericordioso: le proposte di Gesù sembrano trovare ascolto e risposta soprattutto da parte dei peccatori, degli esclusi, dei marginali. Proprio quelli che gli scrupolosi osservanti della Legge giudicano perduti, irrecuperabili, gente da cui stare alla larga.
Questo atteggiamento è ben duro a morire anche nella Chiesa: basti pensare a quanto accadeva nella Torino di metà ‘800 e in chissà quante altre città europee, in cui, davanti allo sviluppo tumultuoso per le innovazioni industriali e negli squilibri economici e sociali che ne derivavano, le carceri si riempivano soprattutto di giovanissimi che commettevano ogni sorta di crimine per sfuggire alla precarietà totale in cui moltissimi vivevano. Ricordiamo l’incomprensione di cui fu circondata l’azione di don Bosco (e della madre Margherita) che vedeva in quei ragazzi non persone compromesse definitivamente, ma creature bisognose di cura e speranza, di vicinanza e fiducia.
Gesù non si accontenta di accogliere e frequentare persone giudicate “perdute”, ma vorrebbe che chi giudica lui per questo, ne condividesse la gioia dell’incontro. Tutta la lunga parabola converge infatti verso chi non sa vedere, non sa capire, non sa gioire. Il figlio maggiore è descritto come uno che pensa e agisce come i farisei e gli scribi che criticavano l’agire di Gesù, che mormoravano contro il suo “buonismo”, contro il sovvertimento di regole che davano un ordine chiaro al mondo.
Ognuno è chiamato a tornare alla logica ultima della stessa Legge che ha sempre finalità di vita, non di morte, che può essere modificata nella sua lettera se il suo spirito si raggiunge meglio in altro modo. Quanto è più grave servirsi degli altri, delle parole di Dio e di Dio stesso pur di perseguire le proprie certezze, rispetto a inciampare nei percorsi tortuosi della vita?
Davanti alla conversione di Ninive che ne evita la distruzione, il profeta Giona si indigna perché giudica questa soluzione troppo comoda: il Signore cerca allora di farlo ragionare. Così il figlio che non sa gioire e prova indignazione, viene invitato personalmente dal padre. Come non accorgersi della ricchezza più grande costituita da un fratello che è stato ritrovato? Non è questo celebrare la Pasqua?
Sembra che la gratuità dell’amore di Dio – il suo continuo “misericordiarci” – sia più destabilizzante di ogni altra cosa. Quando ognuno di noi diviene consapevole di essere coinvolto in un così grande amore, è interpellato a rispondere con l’intera sua esistenza.
Qualcuno teme che non intervenire con fermezza porti le persone a non prendere sul serio Dio o la morale. Forse l’ascolto del vangelo può portare singoli e comunità a creare o favorire le occasioni perché ognuno, nella libertà, possa fare un passo autentico verso la conversione fraterna e questo, chissà, porterà in circolo quelle energie di rinnovamento e pace che uscite dal quel sepolcro lasciato vuoto vorremmo raggiungessero le tante terre tormentate di questi nostri giorni.