Giuliana Sgrena, “Me la sono andata a cercare. Diari di una reporter di guerra” (Laterza, giugno 2025)
Un’epopea perduta ma ancora preziosa
di Angelo Maddalena
«“Quando noi denunciavamo il terrorismo islamico, l’Occidente diceva che dovevamo trattare con gli islamisti per risolvere i nostri problemi.
Poi, dopo l’11 settembre, l’Occidente ha scoperto il terrorismo islamico e noi siamo diventati tutti potenziali terroristi”, sosteneva Cherifa Bouatta».
Sono le prime pagine del nuovo libro di Giuliana Sgrena, Me la sono andata a cercare. Diari di una reporter di guerra.
Giuliana raccoglie questa testimonianza nel 2011 ma le parole di Cherifa si riferiscono al decennio nero dell’Algeria, tra il 1992 e il 2002.
Il libro di Giuliana, ovviamente, racconta anche del suo rapimento in Iraq e poi la liberazione costatata la vita al suo “salvatore” Nicola Calipari, ucciso dal “fuoco amico” (soldati americani che spararono pensando che l’automobile su cui viaggiavano la Sgrena e Calipari guidata da “nemici iracheni”).
Recentemente è anche uscito il film Il Nibbio per raccontare quella tragedia.
È in quel periodo che Giuliana scopre le carte della guerra contro l’Iraq, il periodo appena successivo all’invasione (o occupazione con scopo democratico?) dell’Iraq da parte della coalizione NATO (la Francia non diede l’assenso, e Giuliana racconta che a volte si spacciava per francese perché si vergognava di essere cittadina di un Paese che aveva avallato l’attacco militate in base alla indimostrata presenza di armi di distruzione di massa negli arsenali di Saddam Hussein). Scoprire le carte vuol dire raccontare del fosforo bianco utilizzato dalle truppe americane a Falluja (Giuliana scrisse articoli sull’argomento di cui pochi si curarono).
Anche ora, ai nostri giorni, forse più di allora, notizie false e montagne di immagini, suoni, video e filmati che ci alienano dalla realtà, non ci consentono di vedere né capire cosa sta succedendo in decine di territori afflitti dai conflitti di cui siamo più o meno complici inconsapevoli.
Nel 2004, Giuliana osservava e documentava quello che sarebbe esploso sulla scena mediatica dieci anni dopo: l’ISIS, cioè Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. La caduta di Saddam crea un vuoto in cui si inseriscono i sauditi e i musulmani più fanatici che opprimono soprattutto le donne, e Giuliana Sgrena ce lo rivela con dovizia di particolari, sul campo, come pochi giornalisti ormai fanno e sanno fare, tra gli altri Nello Scavo dai fronti dell’Ucraina e dalla Terra Santa per “Avvenire” e Alessandro De Pascale dal Myanmar per “il manifesto”. Giuliana Sgrena l’ho incontrata su un treno tra la Val di Susa e Torino, nel 2012: un volto dolce dagli occhi verdi, eppure aveva già attraversato l’esperienza che le ha cambiato la vita, per cui non riesce più a dormire con la luce spenta, tra le altre cose, e forse questa è una delle conseguenze meno traumatiche.
L’Eritrea, la Somalia, l’Afghanistan e gli incontri e l’essere dentro la realtà più cruda che ci coinvolge tutti e che molti di noi dimenticano o non vogliono vedere, anche a causa di chi non fa il suo lavoro, a differenza di Giuliana, ma anche a causa di un sistema informativo indipendente che dal 2001 è sempre più debole, come spiega Tariq Ali nel libro Impero e resistenza.
La vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin raccontata dal di dentro, da una collega e amica quale è stata Giuliana Sgrena per Ilaria. Il 90% degli italiani (compreso chi scrive) è convinto che Ilaria Alpi fu uccisa perché aveva scoperto un traffico di armi tra Italia e Somalia, la cosiddetta mala cooperazione, ciò non è da escludere ma in realtà dopo sedici anni di carcere il presunto responsabile dell’omicidio di Ilaria è stato scagionato. La Sgrena svela le responsabilità dei militari americani e italiani che hanno esasperato con i loro maltrattamenti molti somali, i quali volevano sequestrare due giornalisti italiani e quasi per sbaglio trovarono Ilaria e Miran e sempre quasi per sbaglio spararono, ci sono testimonianze di esperti e ricercatori in materia che Giuliana cita, ascoltati anche dalla Commissione parlamentare per l’omicidio di Ilaria Alpi, ma non sono stati presi in considerazione.
Perché? Forse perché l’esercito degli occupanti doveva rimanere fuori da sospetti e impunito?
Un giornalista embedded che aveva pubblicato una notizia scomoda nei confronti dei soldati americani in Iraq nel 2003, era stato espulso dai giornalisti embedded (tutto raccontato in modo articolato e dettagliato da Sgrena). Giuliana non si ferma a ieri, è stata anche in Siria a dicembre del 2024, e dice che la situazione riscontrata lì gli ricorda l’Iraq del 2003, dopo la caduta di Saddam. “Siamo contenti che sia caduto il regime ma non siamo contenti del modo in cui questo è avvenuto”, dicono gli iracheni che Giuliana interpella e anche i siriani di qualche mese fa.
E poi c’è quell’altra verità “nascosta” che Giuliana ogni tanto ripete: bisognava ascoltare i giornalisti che erano stati sul campo in Somalia per capire quello che era successo a Ilaria e Miran. E ancora: i giornalisti non muoiono solo quando fanno uno scoop, ma semplicemente perché raccontano la verità che i governi tendono a nascondere, come nel caso dei 135 giornalisti palestinesi uccisi in questi ultimi due anni a Gaza. «A fare da contraltare, giornalisti altrettanto digiuni della realtà si esercitano nell’arte del complotto, forse anche animati da buone intenzioni, comunque ignorando che tra l’andare in guerra per “turismo” o morire per uno scoop vi è spazio per un giornalismo di qualità».
Nella premessa Giuliana spiega il senso attuale del giornalismo di guerra sempre meno valorizzato per motivi sia economici che dovuto a nuove tecnologie e social che però non garantiscono quasi mai qualità e affidabilità che invece sono più proprie di chi è inviato da un giornale in un territorio di guerra.
D’altronde, il titolo del libro riprende un’accusa infamante e vergognosa che anche alcuni giornalisti rispettabili hanno mosso a Giuliana, secondo lei anche o soprattutto in quanto donna. Non so se si può fare un parallelismo ma un “campione” in questo senso fu Alessandro Sallusti che nel 2012, dopo la caduta di Luca Abbà dal traliccio in Val Clarea (vivo per miracolo dopo settimane di coma), scrisse in prima pagina che si trattava di un “cretinetti”. Allora litigai con un mio amico che aveva detto una cosa simile.
Anche recentemente un mio amico medico di qualche anno più grande di me ha apostrofato Giuliana Sgrena dandole dell’irresponsabile se non di peggio. Sono anche forme di esibizionismo e di teatralità di bassa lega, ma è anche vero, come ricorda Giuliana, che anche altre volontarie e cooperanti rapite e poi rilasciate negli ultimi decenni sono state tacciate come “oche giulive” o con insulti simili.
Magari in quanto donne che, secondo certi giornalisti rispettabili, almeno nei confronti di Giuliana, dissero che “poteva starsene a casa”. Non so se è un effetto del mutamento antropologico degli ultimi venti anni (conosco miei coetanei che ancora oggi, senza un minimo di pietas, ripetono a pappagallo che Carlo Giuliani se l’era cercata), sicuramente libri come questo di Giuliana ci restituiscono lucidità, dignità e umanità, a partire dallo sguardo e dalla resistenza di tante donne del mediterraneo del sud e del Medio Oriente.