Eretici ed eretiche di comodo. Il dissenso che non disturba
di Stefano Sodaro
Creazione digitale tramite IA
Ci sono eretici che non bruciano. Non perché il sistema li tema, ma perché li accoglie, li celebra, li stipendia. Sono gli eretici di comodo: dissidenti da salotto, ribelli da palinsesto, alternativi da copertina.
Il primo è il, o la, giornalista brillante, ironico/a, sempre pront/a a difendere la libertà d’espressione — purché non tocchi la sua. Si batte per il diritto di parola dei provocatori, ma guai a mettere in discussione la sua aura di intellettuale perbene. Il suo anticonformismo è sartoriale: cucito su misura per apparire, non per disturbare. E soprattutto, è lui, o lei, a decidere chi è davvero alternativo. La cosiddetta “cultura antagonista” è il suo regno: lì si distribuiscono patenti di dissidenza, purché non si tocchino i veri tabù. Il più sacro? Il sacrario familiare. Intoccabile, venerato, immune da ogni critica. Puoi contestare lo Stato, la Chiesa, il mercato — ma non la famiglia. Quella resta il tempio, anche quando è il primo luogo di oppressione.
La seconda è l’artista colta, impegnata, dichiaratamente di sinistra. Porta in scena Pasolini, canta la giustizia sociale, si commuove per le periferie. Ma quando la giustizia chiama da Gaza, la voce si spegne. Il silenzio è strategico. Perché oggi l’alternativa è un mestiere, e come ogni mestiere ha le sue regole: non disturbare troppo, non compromettere nulla, non toccare ciò che può far male davvero. L’impegno è un abito di scena, da indossare quando conviene.
La terza figura non è una persona, ma un meccanismo.
È il cortocircuito che si attiva quando la denuncia si trasforma in identità, quando la ferita diventa moneta simbolica, quando il dissenso si istituzionalizza.
Ed è lì che nasce una nuova ortodossia: quella di chi si sente investito del monopolio della morale, della sua interpretazione, della sua distribuzione. E in quel monopolio si annida una violenza sottile, ma feroce: la violenza di chi non ammette deviazioni, di chi pretende purezza, di chi giudica senza possibilità di appello. Il potere non è solo quello che si combatte: è anche quello che si esercita nel nome della lotta.
Questi eretici di comodo sono ovunque. Parlano di resistenza, ma resistono solo alle critiche. Denunciano il potere, ma ne frequentano i corridoi. Si dicono fuori dal coro, ma cantano sempre in armonia con il pubblico che li applaude.
Il loro dissenso è calibrato, il loro coraggio è dosato, la loro indignazione è selettiva. E quando il mondo brucia, scelgono con cura quali incendi commentare.
Forse è tempo di smettere di cercare l’alternativa nei palinsesti e nei comunicati stampa. E cominciare a riconoscerla nelle voci che disturbano davvero — anche quando non hanno microfoni, né applausi, né copertine. E soprattutto, quando osano mettere in discussione ciò che nessuno vuole toccare.