DIRITTO ECCLESIALE E LIBERTÀ
Rubrica a cura di Maria Giovanna Titone
Una stretta di mano sui morti di Gaza
Il 4 settembre Papa Leone XIV ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog. In un contesto in cui il conflitto a Gaza continua a mietere vittime innocenti e a lasciare ferite profonde, questo incontro non può essere considerato un semplice atto di protocollo. Ogni gesto pubblico assume significato, e la fotografia dell’incontro non farà eccezione: immagini come questa restano nella memoria collettiva, come dimostrato dalla celebre fotografia di Papa Giovanni Paolo II accanto a Pinochet, che suscitò dibattiti duraturi sulla coerenza morale della Chiesa di fronte ai potenti della Terra.
Il nodo centrale non è la fotografia della stretta di mano, sebbene la mano del presidente israeliano sia la stessa che ha autorizzato il lancio di bombe su Gaza. La forza simbolica di questo gesto rischia di attenuare la percezione della gravità dei fatti.
Il ricordo degli appelli di Papa Francesco è ancora vivo. Le sue parole di denuncia senza esitazione della fame dei bambini, della sofferenza delle famiglie e della catastrofe umanitaria trasformata in normalità. Francesco non temeva di usare la parola “genocidio”, anche quando molti preferivano l’ambiguità diplomatica. La sua voce era profetica nel silenzio della diplomazia internazionale.
Leone XIV avrebbe dovuto ereditare questo peso morale, ma fa scelte diverse, scelte che da credente, ma prima ancora da essere umano non comprendo e che mi fanno temere le conseguenze.
Il Papa, infatti, continua a essere osservato dal mondo come punto centrale di riferimento di tutta la Chiesa. Viene trascurato dai più che la comunità ecclesiale è composta da tutti i battezzati, che quotidianamente assumono scelte di coscienza e si impegnano nel mondo secondo principi morali, indipendentemente dalle strategie diplomatiche e dalle regole istituzionali. Basti pensare alla missione Global Sumud Flotilla, in cui gruppi di cittadini laici, credenti e non credenti, organizzazioni per i diritti umani e reti di volontariato si sono esposti per portare aiuti a Gaza e denunciare le violazioni e i reati commessi dal governo israeliano.
In un contesto in cui le iniziative diplomatiche possono apparire lente o insufficienti, la società civile dimostra la capacità di reagire, di rendere visibili le sofferenze spesso ignorate e di tradurre i principi di giustizia e solidarietà in azioni concrete.
Eppure il mondo continua a guardare al Papa come al riferimento centrale, se non unico, della Chiesa. Per questo motivo, il Pontefice mantiene un valore simbolico straordinario: le immagini che lo riguardano hanno un peso enorme, e il rischio è che possano trasmettere un messaggio distante dal coraggio profetico del Vangelo.
Davanti a un genocidio, le scelte hanno conseguenze che si misurano nel tempo. Quando si dovrà rendere conto di quanto accaduto, non sarà possibile nascondersi dietro ambiguità o giustificazioni: oggi conosciamo i fatti, oggi possiamo giudicare. La Shoah resta un monito storico su quanto possa costare il silenzio di fronte alla violenza e all’ingiustizia.
La Chiesa e il Pontefice compiono scelte precise, e queste decisioni avranno un impatto duraturo. E se anche altri esponenti della curia romana, come il Segretario di Stato Parolin, si esprimono in termini differenti, questo incontro rischia di non promuovere dialogo, ma piuttosto di erigere barriere che separano più che unire la chiesa dalla società civile che comprende e soffre per quanto sta accadendo a Gaza.
La scelta del Papa di restituire un’immagine mediaticamente neutra, che non corrisponde pienamente al coraggio profetico del Vangelo, ha già suscitato riflessioni e critiche. Gesù non esitava a prendere posizioni nette e spesso scomode di fronte ai potenti della Terra, non stringeva loro la mano, non sceglieva vie diplomatiche.
Il gesto di Leone XIV ricorda che la responsabilità di chi guida la Chiesa non si misura nella cortesia diplomatica, ma nella capacità di denunciare l’ingiustizia, di schierarsi al fianco dei più vulnerabili e di rendere visibile ciò che troppo spesso resta nascosto. Di questo sentiamo come credenti la mancanza. Di questo ha bisogno chi guarda la Chiesa come guida spirituale.
La posta in gioco certamente non è la fotografia, ma le parole, le scelte morali e l’impegno concreto a sostegno della giustizia. Ma questa scelta di Papa Leone, che in molti non comprendiamo, è una ferita al nostro senso di appartenenza e alla credibilità, che non potevamo proprio permetterci come Chiesa.