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Viri probati, second time?

di Stefano Sodaro




Per la seconda volta, a breve distanza di tempo e questa volta a livello universale e non più locale, l’Episcopato inserisce nelle possibili conclusioni, quantunque non deliberative, di un Sinodo la richiesta di ordinazione presbiterale di uomini sposati, come da duemila anni avviene – senza scandali o indignate prese di posizione – nelle Chiese d’Oriente.

Del resto il n. 111 del Documento Finale del Sinodo Speciale sull’Amazzonia, datato 26 ottobre 2019, aveva registrato un eventuale “approccio universale all’argomento”: «Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen Gentium 26, l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento.»

Ed infatti proprio il recentissimo “Instrumentum laboris” della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che reca la data del 20 giugno scorso – solo pochi giorni fa – sembra raccogliere simile annotazione e svilupparla in prospettiva futura con le seguenti parole, contenute al n. 9) della Sezione B 2.4: «È possibile, come propongono alcuni continenti, aprire una riflessione sulla possibilità di rivedere, almeno in alcune aree, la disciplina sull’accesso al Presbiterato di uomini sposati?»

Si tratta di una domanda, posta esplicitamente. Così come esplicita è la domanda sull’ordinazione diaconale aperta alle donne (n. 4) Sez. B 2.3): «La maggior parte delle Assemblee continentali e le sintesi di numerose Conferenze Episcopali chiedono di considerare nuovamente la questione dell’accesso delle donne al Diaconato. È possibile prevederlo e in che modo?».

Trattandosi di domanda, l’unico riscontro possibile è un sì o un no, diversamente cioè dalla proposta sinodale amazzonica, che semplicemente non fu raccolta, senza risolvere il problema posto. Il nostro giornale commentò, al tempo: Roma non locuta, causa non finita

In Querida Amazonía, l’Esortazione Apostolica successiva a quel Sinodo Speciale, non c’è traccia della proposta sull’ordinazione presbiterale di diaconi permanenti – neppure, propriamente, di “uomini sposati” in via assoluta -.

Una considerazione: non si conosce ancora l’elenco completo dei Padri Sinodali, ed anzi di tutte e tutti coloro che parteciperanno all’Assemblea del prossimo ottobre, ma di certo la presenza dei Vescovi delle Chiese di rito orientale – del tutto assenti, invece, nel Sinodo per l’Amazzonia – avrà il suo peso specifico e la sua importanza.

C’è però qualcosa d’altro e di diverso che fa cortocircuitare costantemente l’oggettività di qualunque serena discussione sul tema e tale ostacolo, di natura psicologica o di sociologia religiosa, e per nulla teologico od ecclesiologico, ha due punte tenute sempre in tensione irriconciliabile: da un lato, appunto, la tradizione bimillenaria delle Chiese Orientali, che scelgono i Vescovi tra i celibi, o i vedovi, ma che ammettono pacificamente all’ordinazione presbiterale gli sposati (già sposati) e di tale tradizione si preferisce non parlare, pressoché mai; dall’altro, è ritenuto inscalfibile una specie di dettame razionale secondo cui l’et et deve essere rigettato davanti all’aut aut. Una diffusa retorica vocazionale sulla necessità di scegliere, di stare di qua o di là, di non poter avere – come si dice – “il piede in due scarpe”, blocca persino la comprensione a livello diffuso della novità del diaconato permanente, che da più di cinquant’anni vede anche in Italia mariti che rivestono la dalmatica dopo aver ricevuto l’imposizione delle mani da parte di un vescovo.

Un altro rilievo. Lo stesso pensiero di Francesco papa sembra avere conosciuto un’evoluzione dal 2020 (allorché uscì Querida Amazonía) in poi. A marzo scorso il Papa infatti dichiarò: «In realtà, nella Chiesa cattolica ci sono sacerdoti sposati: tutto il rito orientale è sposato. Tutto. Tutto il rito orientale. Qui in Curia - ha spiegato il Papa - ne abbiamo uno, l’ho incontrato oggi: ha una moglie e un figlio. Non c’è nessuna contraddizione per un sacerdote nel potersi sposare. Il celibato nella Chiesa occidentale è una prescrizione temporanea: non so se sia risolta in un modo o nell’altro, ma è temporanea in questo senso. Non è eterna come l’ordinazione sacerdotale, che è per sempre, che piaccia o no. Se si lascia o meno, è un’altra questione, ma è per sempre. Il celibato, invece, è una disciplina.

L’orizzonte si arricchisce dunque di mete nuove, di direzione affascinati verso cui andare. Vedremo che cosa accadrà da qui ad ottobre.

E fra sei mesi è Natale.