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La regina Isabella la Cattolica detta le sue ultime volontà e detta il suo testamento - Eduardo Rosales (1836-1873), Museo del Prado - immagine tratta da commons.wikimedia.org

In morte e in vita

di Stefano Sodaro



Il prete sapeva tutto.

Sapeva di lui, che diceva di amare la moglie e poi ne combinava di tutti i colori (colori preferibilmente sul rosso vivo andante), e sapeva di lei, altra dalla moglie, che si struggeva dal desiderio di lui, il quale le concedeva gli scampoli di tempo che riusciva a ritagliarsi senza destar scandalo o – ciò che forse era ancora peggio – senza suscitar sospetti. Aveva una reputazione importante da difendere. Bisognava pur salvare l’apparenza del quieto vivere e, perciò, per volontà di lui, mai vi era stato alcun minimo rapporto, neanche men che microscopico, tra lei e la moglie di lui. Guai. Anche questo il prete sapeva. Ma gli era sempre toccato starsene ben zitto. Non ti azzardare. Hic sunt leones. Chi tocca muore.

E, tragicamente, la morte aveva fatto improvvisa comparsa, in questo tempo maledetto di Covid, portandosi via lui, quasi da un giorno all’altro, e lasciando lei – oltre che la legittima consorte - nella disperazione più nera, nel dolore più inconsolabile. Ricordiamo tutti e tutte lo strazio insopportabile di giorni senza prossimità fisica d’affetti per chi fosse stato travolto dalla malattia, dal virus. Funerali senza funerali. Inumazioni senza liturgie. Benedizioni senza assemblea. Esequie senza pianti d’attorno. Terribile. Tremendo. Semplicemente inumano.

Eppure, rifletteva il prete, c’era qualcosa di diverso che non andava, che non tornava, c’era qualcosa come un vuoto, un’assenza, una rientranza nel muro dell’esistenza senza farla occupare nemmeno da un quadretto, da un mazzo di fiori, da una foto, e non si trattava per nulla – era sempre il poco ortodosso pensiero dell’uomo in talare – dell’adulterio consumato di nascosto, ma, in qualche modo tutto al contrario, del fatto che lui non avesse avvertito il bisogno di coinvolgere lei nella stesura del proprio testamento biologico, reso possibile dalla legge 219 del 2017. Ma com’era possibile? Qui il nostro reverendo rimaneva davvero stupefatto, gli diventava impossibile capire: tanto amore, tanta passione e poi nemmeno una riga per dire al mondo, in un documento redatto per tempo, senza affanni, senza assilli, senza fobie per la fine, che sarebbe stata lei a prendersi cura di lui? E le scuse stavano a zero. Qui non c’entravano più scandali e sospetti, c’era una legge che lo rendeva possibile. E avrebbe potuto tranquillamente provvedere alla redazione dell’atto senza informare nessuno, nemmeno il coniuge. Tutto lecito. Tutto assolutamente conforme alla legge. Che fosse stato ignorante in diritto quel signore? Che avesse pensato di sapere anch’egli tutto, come i preti, e invece non aveva in realtà mai saputo niente, niente di ciò che davvero conta nella vita, e nella morte? Eppure si era sempre accreditato come fine conoscitore dell’intero scibile umano. Evidentemente quella legge gli era invece sfuggita, così come sembrava essere sfuggita agli strenui difensori della famiglia “naturale”, che pareva non si fossero accorti di un possibile inserimento, a norma di legge appunto, di persone distinte da quelle dei ruoli affettivi tradizionalmente codificati nei contesti di più intimo coinvolgimento di ogni singolo cittadino e di ogni singola cittadina della Repubblica Italiana.

Giacché la legge 219 del 2017 prevede in modo espresso figura e ruolo del “fiduciario”.

Art. 4.

(Disposizioni anticipate di trattamento)

Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.

Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT.

Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente.

Il prete conosceva molte situazioni del tutto simili a quella di lui e di lei. E non aveva mai pronunciato alcun giudizio al riguardo. Il problema era, per il nostro presbitero, la mancanza di amore, non certo la sua presenza, quand’anche moltiplicata e pluralizzata. Si ripromise che, d’ora in poi, a tutti e tutte coloro che avessero un affetto altro e diverso da quello del coniuge avrebbe rammentato – apertis verbis et sine metu contumeliae – la fondamentale possibilità che la legge concedeva per vedere ratificato quest’amore apparentemente fuori norma. Una possibilità, anzi, proprio “fondativa”, basilare, un modo cioè non per solennizzare in qualche modo, come che fosse, raccapezzandosi tra commi e codicilli, le parvenze di un simil-matrimonio, ma, al contrario, per rendere effettivamente concreto, reale, possibile un accompagnamento in morte, e dunque prima di tutto in vita, di chi si amava senza fede nuziale di forma consueta.

Il prete non avrebbe mai più dato nulla per scontato, si arrabbiassero pure come forsennati gli amanti della oscurità e gli gridassero dietro di farsi i fatti suoi, a pena di querela. Non giene importava nulla. Non si può sprecare lamore.

Chi si dice di amare, matrimonio o non matrimonio, non è “persona di propria fiducia”? E come si fa allora a lasciarla completamente fuori dalla propria vita, anche in previsione della fine, anzi proprio in previsione di essa?

Il mondo queer – il nostro reverendo sapeva pure questo – aveva creato, ad esempio, nuove figure di partner, come gli “zucchinis” di una “queerplatonic relationship”. Possibile che il fiduciario delle DAT rimasse sconosciuto ai più? Che non se ne fossero scorte le incredibili possibilità di mettere infine in crisi la tragicomica serie di “Dio-Patria-Famiglia”? Invece, buio.

Contò con le dita della propria mano: uno, pollice, coniuge non si può; due, indice, friendzoned lasciamo perdere ché è una disgrazia (essere cioè “ridotti” ad amici invece che “promossi” a compagni e compagne); tre, medio, zucchinis probabilmente non è il caso, visto che già il disegno di legge Zan è stato rinviato sine die; quattro, anulare, “fiduciario” a norma di legge però sì, caspita, si deve! Mica vogliamo morire da soli!

Al nostro salì un’umida, fastidiosa, tristezza e dovette convenire, con una sua amica tra le più fidate, che sì, più della categoria dei devoti bigotti, gli riusciva insopportabile quella degli anticlericali complottisti. Chiese e religioni come somma di fenomeni abusanti e di ipocrisie o di illusioni. Però era domenica. E comprese che la risurrezione passa ormai anche da un testo di legge. A lode di Dio. Amen.