Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Brideprice at New Year’s Day


di Stefano Sodaro


11 settembre oggi.

Ventuno anni fa l’eccidio delle Torri Gemelle.

Quarantanove anni fa la morte di Salvador Allende, assediato dai militari di Pinochet.

L’11 settembre è anche il Capodanno di Eritrea ed Etiopia secondo il calendario cristiano Ghe’ez. Un altro mondo, sembra, rispetto ai primi due, statunitense e cileno.

E in questo 11 settembre la salma della Regina Elisabetta II viene solennemente portata ad Edimburgo, dopo la sua morte, avvenuta al Castello di Balmoral – in Scozia, appunto – lo scorso 8 settembre. Regina che è stata “Supreme Governor of the Church of England”, come adesso il successore, suo figlio, Carlo III.

Ma che cosa attraversa ed accomuna tutta questa serie di eventi? La potenza del simbolo.

E vi è un simbolo – comune in tutte le nostre vite, anzi assolutamente necessario – che supera la dimensione figurativa e diventa strumento essenziale di convivenza e di possibilità della stessa esistenza: vale a dire il denaro. Nessun turbamento, please, andiamo con ordine.

Il denaro è simbolo di quei valori che sono scambiati, eppure senza il denaro quegli stessi valori non si sa quanto possano essere importanti.

Delicatissima faccenda, dai mille risvolti, molto sensibili anche eticamente, certo.

Ad esempio, un tema che costituisce un tabù culturale, sul quale la Corte Costituzionale ha affermato principi decisivi, è quello della prostituzione. Ha sottolineato la Corte con sentenza n. 141 del 2019 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=141): «(…) il vigente ordinamento non vieta, di per sé, l’offerta di sesso a pagamento, ma ciò non significa che essa si configuri come espressione di un diritto costituzionalmente tutelato. Significativo, in tal senso, è che il patto avente ad oggetto lo scambio tra prestazioni sessuali e utilità economica venga tradizionalmente configurato come contratto nullo per illiceità della causa, in quanto contrario ai boni mores (art. 1343 del codice civile), il cui unico effetto giuridicamente rilevante è la soluti retentio, vale a dire il diritto della persona che si prostituisce di trattenere le somme ricevute dal cliente (art. 2035 cod. civ.), senza, tuttavia, che ella possa agire giudizialmente nel caso di mancato pagamento spontaneo (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 17 gennaio 2001-5 marzo 2001, n. 9348; vedi, anche, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 27 luglio 2016, n. 15596)». Vi sono pertanto usi del denaro che, pur leciti, vanno contro il “buon costume”. Ad esempio, altro è il prezzo della prostituzione, altro il cosiddetto “prezzo della sposa” (il contrario della dote), proprio della disciplina matrimoniale di molte tradizioni in diversi Paesi del Mondo.

Né la strage delle Torri Gemelle, né la morte di Salvador Allende hanno avuto a che fare con il denaro. Paradossalmente, ed anche se mette a disagio dirlo e riconoscerlo, la presenza nelle vicende storiche di una dinamica propriamente pecuniaria di debito/credito “ingentilisce”, per così dire, la violenza che può comunque contraddistinguere eventi storici drammatici, contenziosi, persino guerre.

Pure in Ucraina non sembrano in evidenza pretese di denaro non corrisposto e asseritamente dovuto.

Esiste, dunque, la discriminante dell’uso del simbolo, che pur avendo una potente propria identità evocativa e – nel caso del denaro – addirittura contrattuale, pattizia, convenzionale, può divenire segno di sopraffazione, di umiliazione, di negazione della dignità.

Nondimeno vi può essere anche un uso del simbolo che rovescia completamente simili pericoli distorsivi e diventa, invece, contrassegno d’amore. “Dono a te” senza un contraccambio, perché so quanto vali, quanto sia importante il tuo lavoro, il tuo esserci al mondo, la tua testimonianza. Il citato “prezzo della sposa” – che costituì, in fondo, il substrato dell’istituto della “coemptio” nel diritto matrimoniale dell’antica Roma – è una “compravendita” di valori non commerciabili, un tentativo (che probabilmente la nostra sensibilità giudica grottesco se non scandaloso) di assegnare almeno un valore possibile, determinato nella sua quantificazione, all’incommensurabile, all’incalcolabile, all’inestimabile.

Discorso forse troppo complesso, chissà, che però rinvia alla necessità che i simboli non vengano ostracizzati, ignorati, derisi e vituperati, bensì che il loro uso venga convertito alle nostre istanze di affermazione e riconoscimento della dignità umana.

Fra tre settimane, a Trieste, dedicheremo - assieme all’Associazione Culturale Casa Alta - il pomeriggio di domenica 2 ottobre alla figura di Pier Paolo Pasolini, che più di chiunque altro ha attraversato e scandagliato in ogni aspetto la bellezza del simbolo che fa vivere e la tragedia del simbolo deformato che uccide.

L’amore si compra? La risposta immediata è un secco no. E se, però, anche l’amore fosse precisamente un “simbolo”? L’affrettata risposta, allora, esiterebbe, il dubbio si farebbe inquietante, la domanda persino – forse – sgradita. Tranquillizziamoci: l’amore non è un simbolo, è la stessa realtà significata da qualunque simbolo, è contenuto e non contenitore. E tuttavia – ohi ohi, il cerchio si chiude – un amore senza simboli neppure può esprimersi e neppure si può sapere se, dunque, ci sia.

Buona domenica e buona settimana.

Numero 678 - 11 settembre 2022