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Foto dal film Revelation, del 1918, con Alla Nazimova - immagine tratta da commons.wikimedia.org




Rivelazione


di Dario Culot

Molti ancora pensano che la Rivelazione sia frutto della Parola diretta di Dio. Ci hanno infatti insegnato che la Rivelazione è un deposito di conoscenze (dottrine, regole, idee), di verità definitive e immutabili derivanti direttamente da Dio, e trasmesse a un numero limitato di uomini. Pertanto, coloro che l’hanno avuta direttamente hanno poi preteso di comunicarla come un insegnamento facente autorità, e coloro che avevano ricevuto l’insegnamento a loro volta non potevano pensare che a trasmetterlo autoritariamente[1] alle generazioni future.

Come però ha ben spiegato il teologo Carlo Molari[2] oggi, che si è passati da una visione statica a una visione evolutiva, sappiamo che non esistono parole divine capaci di dirci come stanno le cose in modo chiaro e definitivo, perché tutte le parole che utilizziamo sorgono all’interno dell’esperienza storica e sono quindi parole umane che non contengono verità divine, perché sono le modalità con cui l’uomo esprime l’esperienza che compie vivendo[3]. Va rimarcato che anche per la Bibbia è stato Adamo a dare il nome a tutte le cose (Gn 2, 20), da cui la conferma che la parola è invenzione dell’uomo e non dono di Dio[4]. Infatti nessuno crede più – come in passato – al fatto che Dio avrebbe comunicato all’uomo il linguaggio, prima che intervenisse per colpa dell’uomo stesso la confusione della Torre di Babele.

Quindi, l’illusione del passato di poter possedere e trasmettere per sempre la verità è oggi smentita:

a) dal fatto che il linguaggio evolve e le parole stesse cambiano di significato;

b) anche se l’evento è lo stesso, l’esperienza viene compresa in maniera diversa da generazione in generazione, e quindi si acquisiscono significati sempre nuovi;

c) l’umanità stessa cambia, acquisendo nuove informazioni, diventando capace di nuove intuizioni, per cui siamo capaci di vivere le stesse memorie del passato in una modalità nuova, perché siamo cambiati noi rispetto ai nostri avi.

Pertanto oggi ci rendiamo conto che la Paola di Dio, che troviamo nelle Scritture, non è una parola uscita una volta per tutte dalla bocca del Signore,[5] il quale, fra l’altro, dovrebbe essere immaginato in maniera troppo antropomorfa, con bocca, occhi e orecchie. Parola di Dio è invece una parola umana che indica la nostra relazione con Dio, il quale resta sempre nell’irraggiungibile trascendenza. Oggi, nella prospettiva evolutiva (nata con Darwin), si è giunti alla conclusione che Dio è Amore e non ha mai ucciso nessuno. Perciò tutte le storie bibliche in cui esplode l’ira e la violenza di Dio sono punti cui è arrivato in passato il pensiero umano, ma errando, perché oggi siamo consapevoli della relatività delle nostre interpretazioni, sempre filtrate dai nostri modelli culturali. Dio è sempre lo stesso, mentre l’uomo cambia, si evolve e quindi concepisce Dio in maniera via via diversa. L’uomo primitivo, più violento, proiettava in Dio la sua violenza: visto che lui ammazzava pensava che anche Dio ammazzasse. Man mano che il rispetto e il valore dell’uomo sono cresciuti, anche il volto di Dio è cambiato.

Oggi perciò ci rendiamo conto che siamo ancora nel pieno cammino di Rivelazione. Siamo davanti a espressioni che evocano certamente eventi vissuti nell’orizzonte della fede in Dio, cioè alimentati dall’azione di Dio, e in quegli eventi abbiamo trovato la Parola di Dio. Non possiamo perciò dire di conoscere perfettamente il pensiero di Dio attraverso parole che sono esclusivamente umane e con le quali narriamo eventi attraverso modelli culturali che mutano nel tempo. La verità cioè non è mai caduta dal cielo come Rivelazione divina diretta. Non c’è mai un evento puro, cioè divino, nella storia umana. C’è sempre il limite e il filtro della cultura umana, che cambia nel corso del tempo. Oggi abbiamo capito che la Rivelazione promana dall’esperienza; è collegata all’evento, ma è una realtà che nell’immediatezza non riusciamo a comprendere compiutamente (almeno di norma), avendo bisogno di uno sviluppo successivo nella storia[6]. Dicendo allora che l’evento è parola di Dio intendiamo dire che, in quella situazione terrena, si è espressa una forza creatrice; l’evento viene compreso in seguito ripensandolo e ripensandolo, non perché Dio ha sussurrato qualcosa nell’orecchio di qualche privilegiato. Se l’evento ci porta verso una pienezza di vita vuol dire che abbiamo accolto questa forza creatrice. Se invece porta a lutti o guerre abbiamo in realtà bloccato il flusso della vita, e non possiamo considerare queste interpretazioni di eventi Parola di Dio; non lo possiamo fare perché Dio è vita, mentre la nostra interpretazione contraddice la dinamica stessa della vita.

La Costituzione del Vaticano II sulla Divina Rivelazione – Dei Verbum § 2 – del 18.11.1965 conferma questo modo di intendere la Rivelazione quando dice che gli eventi sono il primo elemento. Gli eventi, quindi, contengono i significati che nel tempo possono essere capiti in modo nuovo e più profondo. Le parole poggiano poi sugli eventi e ne sono una spiegazione derivata. La Rivelazione non è allora una comunicazione di verità scesa dall’alto, non è una trasmissione diretta e soprannaturale di idee da parte di Dio, ma è un’economia di eventi accompagnata da parole che richiedono continua interpretazione. E cosa vuol dire economia di eventi? Vuol dire che Dio non immette nelle nostre teste, parlando di notte nell’orecchio di qualche suo beniamino che così diventa profeta, delle conoscenze o informazioni che gli altri non hanno ancora. Solo facendo memoria della storia umana, progressivamente arriviamo a certe nuove interpretazioni e conoscenze. In conclusione, non c’è alcun intervento esterno e diretto di Dio che ci offre su un piatto d’argento la Verità Assoluta. Se l’azione creatrice di Dio continua ad esprimersi dentro alla storia umana, le creature diventano pian piano in grado di accogliere in modo nuovo quest’azione che resta costante riuscendo, a un certo punto, a far fiorire nuove qualità di vita. Non è che Dio manda di tanto in tanto nuove perfezioni (ad es. consigliandoci caldamente di abolire la schiavitù, la pena di morte, la guerra legittima, ecc.). Siamo noi che accogliamo in modo nuovo la sua costante forza creatrice e giungiamo ad esprimerla con gesti che prima erano impensabili. Quindi questo lavoro d’interpretazione degli eventi nella storia continua tutt’oggi. Non è che Dio ha voluto centellinarci la verità; è che noi, essendo esseri limitati, riusciamo a evolverci in meglio e a progredire solo per gradi, frammento dopo frammento.

La Rivelazione, dunque, non costituisce Verità, come si pensava in passato, quando si pensava anche che la Chiesa di Roma fosse l’unica destinataria della Rivelazione[7], e l’unica ad avere poi l’autorità per comunicarla a tutti. Anzi, il non voler ascoltare ciò che altre comunità dicono, confessano e fanno è atto di arroganza nei confronti del vangelo[8]. Oggi la Rivelazione viene intesa come un processo di esperienze storiche[9] attraverso il quale gli uomini capiscono, in modo sempre nuovo, non verità da proclamare, ma il percorso di salvezza[10]. Si parla dunque di “economia” non nel senso che oggi ha questo vocabolo, ma nel senso di “storia della salvezza”[11]. Gli eventi che si verificano sono i luoghi della rivelazione divina[12]. Gli eventi accaduti e ripensati diventano eventi di salvezza, attraverso i quali Dio conduce il suo popolo verso il traguardo definitivo. Le parole non riflettono idee divine, né indicano realtà, ma traducono la relazione che il soggetto ha con la realtà: le parole umane esprimono dunque il rapporto che l’uomo ha con la realtà, e derivano dal vivere le varie esperienze. Del resto, questo ce lo ha confermato anche Gesù (Mt 12, 39; Lc 11, 29) quando ha detto che non ci avrebbe dato alcun segno, anche se l’umanità già in allora cercava segni divini in continuazione.

Dunque, l’interpretazione della Rivelazione diventa un processo sempre aperto, proprio perché gli eventi salvifici fanno uscire nei loro sviluppi nuovi significati[13]: ecco perché i dogmi fanno oggi problema, essendo solidificati su interpretazioni passate. Inoltre, la Rivelazione non può essere limitata ad una sola tradizione culturale dato che gli eventi della storia sono universali[14]. Va poi anche rimarcato che rimane sempre un divario fra ciò che Gesù ha personalmente detto, ciò che è stato capito e quindi tramandato dai suoi ascoltatori nella storia, e ciò che poi la Chiesa ha dedotto da quella che ha ritenuto essere le vicende di Gesù così come sono state tramandate nella storia. Certo, per il cristianesimo la storia è costante cammino di inveramento della verità, e più progredisce la storia più ci avviciniamo alla Verità, perché scopriamo sempre più frammenti di verità. Solo in quest’ottica si può dire che, comunque, tutti gli avvenimenti storici sono salvezza (Rm 8, 28: tutto concorre al bene di coloro che amano Dio) perché passo dopo passo ci portano verso la Verità, e quindi non c’è fatto, anche negativo, che non abbia per il cristiano la sua positività.

Sta di fatto che noi umani già capiamo poco, e quel poco riusciamo a capirlo solo nella successione degli eventi, in quanto il tempo è una componente essenziale di ogni creatura. Quando qualcosa di nuovo emerge da certi eventi, ecco che – forse – riusciamo a capire qualcosa di più, ecco la Rivelazione, che allora costituisce una catena di conoscenze giacché il nuovo offre nuove prospettive per poter capire[15]. Ma a questo punto anche la Rivelazione è necessariamente qualcosa di dinamico, mai di statico, sì che siamo ancora una volta all’opposto dell’infallibile dogma immutabile. Infatti non è detto che quello che abbiamo capito oggi sia qualcosa di assolutamente definitivo, da preservare cristallizzato; domani forse capiremo meglio. Proprio per questo, sempre il concilio Vaticano II ammonisce i credenti a stare costantemente in ascolto del linguaggio degli uomini del proprio tempo, siano essi credenti o non credenti[16]. Perché allora non dovremmo pensare e scoprire che anche nelle altre religioni l’azione di Dio ha nascosto o suscitato qualcosa che là è riuscito a fiorire, e che il cristianesimo non ha avuto invece possibilità di coltivare e perfezionare? Se volgiamo lo sguardo al nostro orticello, che fine ha fatto quella indicazione dell’ultimo Concilio, il primo a non essere convocato per condannare errori o deviazioni, ma per rispondere in modo nuovo alle esigenze degli uomini?

Se crediamo veramente che Dio non è legato a nessuna etnia, a nessuna cultura, ma ama indistintamente tutti gli uomini e non solo il magistero vaticano, dobbiamo ragionevolmente concludere anche nel senso che Dio non si dà con esclusività a nessuno, ma si dà in ugual misura a tutti; e se Egli è presente e operante in ogni cultura, porta la sua salvezze per vie a lui solo note ben oltre gli stretti confini del cristianesimo (anzi del cattolicesimo) istituzionale, senza che nessun popolo, nessuna persona, si perda o si danni per assenza della verità istituzionale[17]. Il magistero della Chiesa cattolica pretende allora erroneamente di essere il solo e unico strumento di unità di tutto il genere umano [18]; pretende superbamente, ma erroneamente, che Dio si sia schierato esclusivamente al suo fianco[19] (e per di più contro gli altri che, se non si convertono, vivono nell’errore, perché ‘fuori della Chiesa non c’è salvezza’), mentre sarebbe più ragionevole dire che “grazie alla rivelazione di Gesù Cristo noi siamo sicuri che la nostra strada porta in vetta, ma non escludiamo che altre strade possano parimenti condurre l’Uomo alla vetta”. In altri termini dovrebbero al massimo dire: “dentro alla Chiesa c’è salvezza”, e non ‘fuori della Chiesa non c’è salvezza”. E non è forse curioso dover imparare da un induista che, essendo Dio uno solo per tutto il genere umano, è ovvio che non può essere né musulmano, né induista, né cristiano?[20] Detto in altre parole: Dio non ha una sua religione preferenziale; anzi le religioni forse non gli interessano proprio.

Chiudo con un esempio pratico per chiarire meglio quanto fin qui detto.

Se stiamo alla lettera, secondo la semplicistica versione letterale del Pentateuco, quando Dio chiamò Abramo promettendogli una terra, una discendenza e la benedizione, egli rispose alla chiamata di Dio con la fede: “Abramo credette - dal verbo ebraico “fidarsi di..., rimettere la propria fiducia in qualcuno”[21] – e il Signore glielo accreditò come giustizia” (Gn 12, 1-9; 15,6). Dunque, stando alla lettera, questo patriarca ci viene presentato già come un vero credente nel Dio unico, al quale presta piena obbedienza dopo aver sentito una voce dall’alto, e Dio l’ha premiato per questa sua obbedienza. Ora, è vero che quando Dio risolve i nostri problemi, noi crediamo in Lui, ed è forse quello che aveva fatto Abramo. Se però guardiamo un po’ disincantati ad Abramo, a questo patriarca vissuto qualche migliaio di anni prima di Cristo (se è mai esistito, perché sono anche poche le prove storiche di una sua esistenza), e se dimentichiamo le tradizionali storielle più o meno fantasiose[22] sulla sua vita ed il suo cammino dalla Mesopotamia verso il Mediterraneo, resta più o meno questo: Abramo, beduino semi-stanziale, viveva col suo clan da pastore, curando il suo gregge nei silenzi del deserto, per cui aveva sicuramente a disposizione tanto tempo per meditare. Non è ragionevole credere che un giorno Dio abbia parlato ad Abramo ordinandogli espressamente di migrare (da notare comunque che già Abramo era un immigrato), e lui per fede abbia obbedito, partendo alla cieca senza neanche sapere dove andava (Eb 11, 8), anche perché stando agli ebrei Dio avrebbe parlato sempre in ebraico, sennonché Abramo non parlava ancora questa lingua. Questo pastore, capo di un clan, aveva – come tutti i pastori - contatti commerciali con la città più vicina al luogo in cui si trovava; la sua era quella di Ur (Gn 15, 7). Questa antica città in Mesopotamia, abbastanza vicina alla tristemente nota (per noi) Nassirya, è stata effettivamente ritrovata sotto un tell, cioè una di quelle colline che di frequente si vedono emergere dalle aride pianure della Siria e dell’Iraq e sotto le quali spesso si nascondono grandi tesori archeologici.

Sembra molto più ragionevole pensare che sono sempre gli eventi terreni che, in un certo senso, obbligano ciascuno di noi a prendere decisioni. A un certo punto Abramo, probabilmente di fronte ad una siccità con pericolo di carestia o sotto la pressione delle invasioni asiatiche che in quel periodo spinsero molti altri popoli ad emigrare in contemporanea,[23] ritenne che era venuta l’ora di cambiare aria con tutto il suo clan. La lettura che poi, in seguito, si è in grado di dare agli avvenimenti è diventa voce di Dio, parola di Dio. Non si tratta di un’obbedienza antecedente per fede (così, invece, si legge nei nn. 144s. del Catechismo), ma di una lettura a posteriori di quegli avvenimenti: con quegli avvenimenti Dio ha chiesto di fare qualcosa di diverso. Una volta partito, quando Abramo si è reso conto che la scelta di partire era stata quella giusta, fra i tanti dèi che si adoravano in quel tempo a Ur e dintorni, scelse di continuare a rivolgersi a quell’unico Dio del cielo e del deserto che gli aveva fatto prendere la decisione giusta, e che ora sicuramente lo avrebbe accompagnato e altrettanto ben consigliato nel viaggio. In conclusione, la Sacra Scrittura non è la Rivelazione diretta[24] di un Dio che detta al telefono o in sogno cosa scrivere o cosa fare, parlando magari anche nella nostra lingua, ma è frutto di un pensiero che emerge dalla narrazione di esperienze vissute (torna dunque la priorità dell’esperienza), utilizzando parole che questi eventi hanno suscitato, utilizzando i modelli culturali di quel tempo[25]. Dio non ha ordinato ad Abramo di partire; Dio non impone nulla; ci offre la possibilità di diventare e questo diventare si realizza attraverso i gesti che compiamo, i pensieri che sviluppiamo, i rapporti che viviamo. Le scelte, le decisioni, dipendono esclusivamente da noi[26]. Solo così la Rivelazione si comprende come dono di Dio nella storia, e non più come sistema di verità[27] trasmesse. Solo così si capisce perché nella Bibbia vi siano contraddizioni, cosa che non sarebbe possibile se Dio in persona l’avesse dettata.

NOTE

[1] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 195.

[2] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 130ss.

[3] In passato si pensava che la rivelazione era espressione diretta di Dio. Oggi sappiamo che non esistono parole divine, capaci di dirci come stanno le cose in modo chiaro e definitivo, perché tutte le parole che utilizziamo sorgono all’interno dell’esperienza storica e sono parole umane, che non contengono verità divine, perché sono le modalità con cui l’uomo esprime l’esperienza che compie vivendo. È là nell’evento che si trova la Parola di Dio (Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 130).

[4] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 22s.

[5] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 131.

[6] Idem, 132.

[7] Anche l’Islam fonda la sua religione sulla rivelazione divina (Sura della vacca, II, 36).

[8] Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 296.

[9] La Rivelazione è innanzitutto storica, con uno sfondo metafisico e una derivazione morale fortemente esplicitata (Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 18.

[10] Costituzione sulla Divina Rivelazione – Dei Verbum § 2 – del 18.11.1965.

[11] O’Collins G., The Tripersonal God, Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 141: economia di salvezza significa storia della salvezza. Anche Boff L., Trinità e società, Cittadella, Assisi, 1992, 144, 250 e 289s., riconosce che ogni riflessione deve partire dalla Trinità economica, perché la Trinità non è stata rivelata come dottrina.Vedi amplius sulla Trinità gli articoli del giornale di Rodafà dal n.507 in https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-507---2-giugno-2019 al n. 511 in https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-511---30-giugno-2019.

[12] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 42.

[13] Ibidem.

[14] Idem, 43.

[15] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 53.

[16] Così al n.44 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes – del 7.12.1965. Gilkey L., Lo Spirito e la scoperta della verità attraverso il dialogo, L’esperienza dello spirito”, ed. Queriniana, Brescia, 1974, 252, afferma che è disastroso per la teologia chiudere l’orecchio cristiano alla voce culturale, che è fatta di credenti e non credenti.

[17] Casaldàliga P. e Vigil J.M., Spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 296 s. e 307. Del resto, anche nell’Introduzione del documento conciliare sulle relazioni della Chiesa con le altre religioni del 28.10.1965, Nostra aetate, si ammette che “il disegno di salvezza di Dio si estende a tutti,” e non più ai soli cattolici, per cui il vivere da cristiani secondo il vangelo non può essere l’unica strada che porta a Dio, ma solo una delle tante.

[18] Ruppi C., In che senso la Chiesa è mistero?, “Famiglia Cristiana” n.45/07, 11.

[19] La superbia non è solo il peccato di chi vuol mettere sé stesso al posto di Dio. È superbo anche chi, credendo ciecamente in Dio, crede anche che Dio sia sempre con lui. Si corre cioè il rischio, anche credendo in Dio, di porsi legittimamente al di là del bene e del male, confidando di avere Lui al proprio fianco (Zagrebelsky G., La Chiesa, lo Stato e l’arroganza della verità, “La Repubblica” 14.9.2007, 1). Nella storia dell’umanità – osserva Maggi A., nella relazione tenuta ad Assisi nel 2007, Dio e la gallina, 14, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze, non c’è mai stata catastrofe più grande come quella compiuta da popoli che si sono sentiti eletti da Dio. Quando un popolo si sente di essere privilegiato, sente di avere una missione verso gli altri popoli, magari quella di esportare la democrazia; ma è sempre fonte di tragedie, è sempre fonte di morte. Quando un popolo pensa di avere Dio dalla propria parte, attenzione! non c’è Dio ma il diavolo. Non occorre certo ricordare che sul cinturone dei nazisti c’era l’espressione: “Dio è con noi (Gott mit uns)”. In Sud Africa, l’apartheid era ritenuta la legge naturale di Dio, perché così prevede la stessa Bibbia (Gn 11, 6-9), e l’episodio della torre di Babele mostrava che Dio, facendo parlare lingue diverse, aveva voluto separare i popoli della terra fin dall’inizio (Lapierre D., Un arcobaleno nella notte, ed. Il Saggiatore, Milano, 2009, 90 e 95).

[20] Bhaktivedanta Swami Prabhupada, On the way to Krsna, ed. Bhaktivedanta Book Trust, Bombay, 1981, 62.

[21] Anche nell’Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco (www.vatican.va) si dice al §8 che Dio parlò direttamente ad Abramo e che egli, sentendosi chiamato per nome, rispose alla parola di Dio.

[22] Anche a leggere il Catechismo (nn.59 ss., 165) sembra che da sempre Abramo credesse in un unico Dio. Secondo i musulmani, Abramo figlio di un sacerdote che costruiva idoli, tale Azar (Corano sura VI, 74) è l’iman, cioè quello che sta davanti spiritualmente, ed ha avuto contatto diretto con Dio. Avrebbe avuto una vita a dir poco fiabesca, arrivando a rompere gli idoli che anche suo padre custodiva, e lasciare la scure in mano all’unico che non aveva rotto perché su questi cadesse la colpa; venne anche lanciato nel cielo come una freccia, poté colloquiare con le forze celesti, ecc. ecc.

[23] Questa sembra l’ipotesi più accreditata se si colloca Abramo verso il 1200 (tesi meno seguita), quando le invasioni dall’Asia costrinsero molti popoli a spostarsi a loro volta: si pensi solo all’arrivo dei popoli del mare in tutto il Mediterraneo orientale.

Altri collocano la vita di Abramo molto più indietro: circa 4000 anni fa il clima si riscaldò, facendo probabilmente cadere anche l’Antico Regno egiziano (Saragosa A., Meteo-Story. Così Maya, micenei ed Egizi sono scomparsi per il troppo caldo, “Il Venerdì di Repubblica”, n.1277/2012, 66). Da qui siccità perduranti.

[24] Vedasi anche l’ultimo dei testi canonici (Ap. 1, 9), dove Dio si serve di uomini; la sua Parola arriva al mondo con parole umane: Giovanni deve essere lui a scrivere. Dio ha bisogno di collaboratori, il che dimostra che la Rivelazione è sempre indiretta.

[25] Molari C., Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi, 2008, 42s.

[26] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 117.

[27] Del Riccio R., Dio, dopo Dio, relazione tenuta al centro Veritas di Trieste il 22.4.2015.