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Chiesa parrocchiale di Santa Caterina da Siena (Trieste) vista da Via Alessandro La Marmora - foto del direttore

Suddiacone, amori, Presidenti della Repubblica, teologie della liberazione e cont(r)atti inadempiuti


di Stefano Sodaro


L’intera nostra vita si regge sul diritto. Se ci pensiamo, fin dal momento della nascita acquisiamo diritti – il semplice, elementare, basilare diritto a vivere, appunto – ed obblighi, quale il correlato riconoscimento del diritto altrui a vivere, esattamente come noi.

L’esistenza è stata talvolta interpretata come un contratto a tempo indeterminato. È esistita persino una certa retorica dura a morire sul “dovere”, sull’ “ufficio”, di vivere.

E le Carte costituzionali, cioè le Leggi Fondamentali degli Stati, son lì per assicurare ad una comunità, non più ad un singolo individuo, di essere riconosciuta come tale proprio in quanto tenuta ad un certo comportamento collettivo derivante dal riconoscimento di certi valori condivisi. La vita di un Popolo, di una Nazione.

Cosa si agita dietro il diritto? Non si tratta di semplice contemperamento di interessi o di prescrizioni assolute, indiscutibili e magari incomprensibili. Si tratta di ben Altro. Si tratta cioè di Simboli.

Si chiede il giurista Tommaso Greco, a pagina 60 del suo volume intitolato La legge della fiducia. Alle radici del diritto (Editori Laterza 2021): «Com’è possibile che solo quando agiamo tenendo conto delle norme giuridiche lo facciamo pensando agli altri come nostri ‘nemici’? Non sarà che abbiamo una percezione distorta di ciò che facciamo tutti i giorni (perché, anche se non ce ne accorgiamo, tutti i giorni mettiamo in atto comportamenti giuridici, come si insegna nella prima lezione agli studenti di giurisprudenza)?»

Il Simbolo richiama il Gioco, anche quando è simbolo triste, funereo, o persino crudele. Senza gioco non c’è simbolo, la cui nozione convoca dunque poi, quasi di necessità, quella di “rito”, di “forma”, di “spazio”.

Lunedì iniziano le sedute parlamentari – allargate ai “Grandi Elettori” – per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il primo comma dell’art. 87 della Costituzione afferma solennemente: Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. ‘Rappresentare l’unità nazionale’ non può che essere un ruolo simbolico, che è tuttavia assolutamente necessario per il funzionamento delle istituzioni democratiche del nostro Paese.

Se fosse lecito – ma probabilmente non lo è – ricorrere a terminologia teologica, si potrebbe dire che il ruolo del Presidente della Repubblica è un ruolo “sacramentale”, rappresentativo di qualcosa d’altro. Un “gioco costituzionale” che rende possibile la vita della nazione. I “ludi” erano i giochi fondativi della stessa romanità, che “si giocava” il suo essere comunità – enorme, imperiale – nell’assegnazione, nella distribuzione, di compiti e status, ruoli ed incarichi, molto precisi e definiti.

L’allergia che proviamo verso le “regole” del vivere assieme non è un’affezione da prendere sotto gamba. La sua patologia può avere conseguenze gravi. Chiamarsi fuori dal “gioco” – diventare ad esso fieramente avversi, “antagonisti” – non fa che alimentare la cultura del nemico, la contrapposizione, la cernita tra puri ed impuri, tra buoni (che non giocano mai, siamo seri!) e cattivi (molto giocattoloni).

Anche la liturgia è un “gioco”. E questa domenica – stiamo a vedere, https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-gesto-lettorato-e-accolitato-a-donne-e-laici e https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-01/papa-domenica-parola-dio-primi-laici-lettorato-accolitato.html – il Papa istituirà in San Pietro donne lettrici ed accolite (o, volendo, “suddiacone”, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-592/stefano-sodaro-suddiacone).

E pure il Papa è vertice istituzionale, apice di una gerarchia sacra le cui articolazioni, per quanto insopportabili forse secondo certa sensibilità, sono come una danza misteriosa di compiti e mansioni, di passaggi di consegne e gesti stilizzati.

Nella liturgia ci si bacia, ci si abbraccia, persino ci si mangia.

C’è un vero e proprio “eros liturgico” che, ad esempio, mandò in bestia i cattolicissimi regimi dittatoriali militari dell’America Latina. Che si ritenevano gli unici detentori della conoscenza dell’arte perversa del gioco violento, abusante, del tutto simile, tale arte del male, a quella ritratta da Pasolini in Salò e le 120 giornate di Sodoma.

Eros cattivo però non ha casa, né nella liturgia, né altrove, e neppure arte cattiva. Eros cattivo non c’è, eros cattivo è la morte di eros.

Ci immaginiamo Vescovi che, secondo le rubriche liturgiche, si rivolgano alle nuove accolite con le parole rituali, bellissime, benefiche: «Ricevi il vassoio con il pane e il calice con il vino per la celebrazione dell’Eucaristia e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della Chiesa.». E, salvo sorprese, saranno proprio queste le parole del Papa, pronunciate niente poco di meno che nella Basilica di San Pietro.

E a San Salvador, questo sabato 22 gennaio 2022, padre Rutilio Grande, gesuita il cui martirio - proprio per mano di quelle dittature militari necrofile centroamericane di cinquanta, quaranta anni fa - determinò la conversione del rigidamente conservatore arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, viene dichiarato ed acclamato quale “Beato” della Chiesa Cattolica.

Per qualcuno – più di qualcuno – tornano ad agitarsi i fantasmi della teologia della liberazione.

Per qualcun altro – più di qualcun altro – il “gioco amoroso” di quei teologi e di quelle teologhe non si è fermato mai e, grazie a Dio, torna alla luce dopo decenni e decenni di vituperio e condanna.

L’amore abbisogna di contratti, come la vita del diritto.

Ma – ed è questa probabilmente la più profonda e sconcertante verità del diritto – l’amore abbisogna pure della violazione del contratto, del suo inadempimento.

Vincolo contrattuale e recesso unilaterale fu un’opera del grande compianto civilista triestino Giovanni Gabrielli che segnò indelebilmente le fatiche di una intera generazione di studenti di diritto, tra i quali il sottoscritto. Il primo comma dell’art. 1373 del nostro codice civile recita: Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Si domandava il Prof. Gabrielli davanti alla folla di discenti che lo ascoltava in religioso silenzio: com’è possibile che sia anche solo immaginabile una “facoltà di recedere dal contratto”, cioè di far venir meno i rispettivi diritti ed obblighi, ad iniziativa di una sola delle parti? E non esiste una risposta bell’e pronta, così come non esiste una risposta preconfezionata al senso del nostro esistere.

Ci sono strane parentele tra i contratti e i contatti. Oggi i contatti vivono una stagione di gravissima crisi, sono pressoché sempre e comunque vietati. I contratti in apparenza nulla c’entrano con il divieto di contatti, e tuttavia un contratto senza contatto resta impossibile persino da stipularsi. Magari saranno contatti a distanza quanto si vuole, ma senza di essi nessun contratto è minimamente possibile.

Però, se è possibile recedere da un contratto, non è altrettanto possibile recedere da un contatto. Un contatto che resti senza una sua, quale che sia, “consumazione” – come si dice per il matrimonio canonico e l’espressione può fare ribrezzo ma forse anche gioiosamente/giocosamente divertire – è un contatto inesistente, è un corpo spettrale che non tocca, non cammina, non si siede, non ride.

L’amore vive di contatti e di contratti. L’amore vive di inadempimenti contrattuali – talora persino necessari, per ribadirne l’importanza e le infinite possibilità di variazione -, ma defunge a causa di trattenimenti dal contatto, per ora solo provvisoriamente impediti e vietati dall’emergenza sanitaria in atto. Non potrebbero esserlo per sempre, sarebbe semplicemente la Fine del Mondo. La Fine di Tutto.

Dunque la sintesi potrebbe essere questa: stipuliamo molti contratti – senza troppa paura ma anche con grande accortezza -, rinviamo i contatti in un tempo di attesa che li renda sempre più desiderati e perciò preziosi, accorgiamoci del gioco liberante della vita, della nostra vita, dentro il quale danza la liturgia di accolite-suddiacone e Presidenti della Repubblica da eleggere, magari – stavolta – finalmente donne anch’essi.

L’America Latina ci benedirà.

La nostra vita sorriderà al futuro.

Buona domenica.

Numero 645 - 23 gennaio 2022