Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Gerusalemme - foto tratta da commons.wikimedia.org


Israele, Trieste, il Vajont, tra Svevo e Silone


di Stefano Sodaro


Statua di Italo Svevo in Piazza Hortis a Trieste - foto tratta da commons.wikimedia.org 

Ignazio Silone, dirigente del Partito Italiano di Unità Proletaria - foto tratta da commons.wikimedia.org

Mentre Italo Svevo terminava, nel 1922, il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, Ignazio Silone giungeva a Trieste, per scrivere sul locale giornale di ispirazione socialdemocratica Il lavoratore. E nel dicembre dello stesso anno, proprio a Trieste, veniva incarcerato dai fascisti.

A Trieste Silone aveva conosciuto, lui ventiduenne, la ventiseienne Gabriella Seidenfeld, partigiana ebrea comunista di Fiume e si erano innamorati.

Perché i siloniani (o i “silonisti”, com’è che si dice?) non parlano mai – ma proprio mai mai – del periodo triestino di Ignazio Silone? Mistero.

Questo pomeriggio, al Politeama “Rossetti” di Trieste, Giorgio Haber ha magistralmente interpretato l’adattamento teatrale dell’opera somma di quell’autore che all’anagrafe era stato registrato con il suo vero nome di Aron Hector Schmitz e che, quantunque si fosse convertito – non sembra convintamente – al cattolicesimo, fu seppellito nel 1928 con rito ebraico.

Vi è una vena quasi poligamica, di attraversamento delle più profonde dinamiche amorose della nostra psiche, che contraddistingue la vicenda di Zeno Cosini, protagonista del romanzo di Svevo, e che, per questo, impedisce uno schiacciamento dell’opzione letteraria nettamente borghese del suo inventore/autore/alter ego sul più grezzo e quasi bieco mercantilismo.

Chi ama soffre. Moltissimo. 

Soffre nel corpo, nell’anima, nella mente.

In questo momento il Popolo d’Israele, che si riconosce nell’omonimo Stato, soffre l’indicibile. L’intento di chi lo ha attaccato è non solo chiarissimo, ma addirittura dichiarato: cancellare tale Stato dalla faccia della terra. Cercando così di mettere in atto una mostruosa, orripilante, orrorifica riproposizione della Shoah decisa dalla Conferenza di Wansee ottantun anni fa.

Freud apparteneva pure lui al Popolo d’Israele. Come se la capacità e l’attitudine introspettive fossero appannaggio dell’eredità biblica. E le menti, freudiane, sveviane, zeniane, sono sconvolte dalle notizie che giungono in queste ore da Israele, con immagini – impossibili da sostenere allo sguardo – di ragazze caricate a forza su camion e portate via in una sequenza di violenza impressionante e inammissibile per chiunque creda nella dignità umana.

È così diversa la sofferenza delle cittadine e dei cittadini di Israele dalla sopraffazione, per motivi di profitto, che, il 9 ottobre 1963, portò al crollo di enormi masse di roccia dal fianco del Monte Toc e all’onda che superò la diga del Vajont cancellando Longarone e causando 1.910 morti?

C’è una “ecuméne” della sofferenza che si sovrappone all’ecuméne dell’amore.

Ed i cosiddetti “cafoni” dell’Abruzzo, narrati, cantati, amati fino allo spasimo da Silone hanno gli stessi tratti di umanità martoriata di chi è in questi momenti sotto attacco in Israele o è stato disintegrato sessant’anni fa sulle sponde del Piave, all’altezza del bivio con la Val di Zoldo, laddove esattamente sorgeva e sorge Longarone.

Non è dato sapere se Svevo e Silone si siano incontrati a Trieste, forse no. Certamente non potevano rappresentare mondi più diversi per provenienza ed appartenenza, anche dal punto di vista delle personali convinzioni politiche, dal momento che all’antifascismo militante di Silone non si accompagnò altrettanto fervore attivo di Svevo.

Eppure Trieste – proprio oggi, giorno della Barcolana – appare davvero quel “microcosmo” di cui scrive il grande Claudio Magris.

Un luogo che vede, ad esempio, il monumento di Marcello Mascherini dedicato al Cantico dei Cantici al centro di Piazza Oberdan, senza che la maggioranza dei passanti abbia la minima idea di che cosa rappresenti.

In questi minuti, in queste ore, passa la devastazione nella vigna del Diletto di cui canta il Profeta Isaia nella pericope proclamata oggi, per la liturgia domenica XVII del Tempo Ordinario dellanno A, anche nelle chiese cattoliche romane.

L’onnigamia, così cara al nostro settimanale, invita ad essere essa stessa fatta, celebrata, vissuta, ma almeno – per così dire – “iniziata”, per appunto, al posto della guerra: “Fate l’onnigamia, non fate la guerra, intitolammo un nostro editoriale del maggio 2021. 

Ci crediamo ancora, fermamente, convintamente e nonostante tutto.

Avvertendo nella nostra carne, dentro di noi, nella nostra mente e nel nostro cuore lo strazio di una sofferenza immensa, oggi in Israele, sessanta anni fa a Longarone.


Golfo di Trieste, 7 ottobre 2023 - foto del direttore

Diga del Vajont - foto tratta da commons.wikimedia.org