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The Rabbi is in Arizona



di Stefano Sodaro



Com’è facilmente possibile apprendere dalla rete (https://asuevents.asu.edu/content/asu-concert-choir-miriam-camerini-and-manuel-buda; https://musicdancetheatre.asu.edu/events/asu-concert-choir-miriam-camerini-and-manuel-buda), la nostra Rabbi Miriam Camerini si trova in Arizona, assieme al grande strumentista Manuel Buda, per un importante concerto tramite il quale proporrà lì – e proprio quest’oggi, intorno alle 3:30 ora italiana – i tesori della riscoperta musica rinascimentale ebraica italiana (https://www.italianfoundation.org/concert-jews-in-italian-music-life-1450-1950-nov-6/). Il titolo è infatti “Illumination: Italian Jewish Music Rediscovered”, ed è possibile leggere qui il programma di dettaglio: https://asuevents.asu.edu/sites/default/files/italian_music_conference_progam_ad10-21-22fixed_link26.pdf.

E sempre la consultazione della rete ci informa che il concerto sarà visibile anche al seguente link del canale Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=vwSSJ8-uSz4.

Riconosciamolo: si tratta di un evento di eccezionale importanza, rispetto ai cui contenuti culturali manifestiamo tuttavia, per quanto ci riguarda, – candidamente e colpevolmente – tutta la nostra ignoranza e incompetenza, dovendo così transitare di necessità su un terreno che ci è più conosciuto, vale a dire quello della “diversità rituale” e della “complessità religiosa”. E, prima di tutto, all’interno delle mura domestiche che ci sono più familiari, e cioè quelle della Chiesa Cattolica.

Quarantacinque anni fa moriva Giorgio La Pira.

Il 6 novembre 1975 – due anni prima – si svolgevano a Casarsa della Delizia i funerali di Pier Paolo Pasolini, “presieduti”, per dir così, dal frate servita padre David Maria Turoldo che accompagnò il feretro fino al cimitero del paese, in mezzo ad una folla silenziosa, commossa, straziata.

Apparteneva Pasolini al mondo cristiano? Pensiamo, senza offesa per nessuno, che si tratti di domanda sciocca e fatua, dal momento che una presunta “appartenenza” ad una qualche fede religiosa rinvia soltanto al sacrario della coscienza e non già all’esteriorità del rito e dei culti confessionali sociologicamente rilevanti. Un cristianesimo di coscienza è faccenda talmente delicata e decisiva che, tanto per fare un nome, Pietro Scoppola – morto il 25 ottobre 2007 (dunque 15 anni fa pressoché esatti, quanti anniversari si sommano!) – vi dedicò la vita di studioso e testimone dell’ormai sparito “cattolicesimo democratico”.

Il mondo cattolico italiano si presenta, dunque, storicamente molto frastagliato. Tale complessità abita anche le vicende propriamente personali, se solo si pone mente al fatto – assai negletto nei relativi approfondimenti, in verità – che La Pira, pur laico e celibe per scelta, era ad un tempo sia un terziario domenicano che un terziario francescano, ciò necessitando di debita dispensa ecclesiastica che aveva infatti ricevuto. Una singolare forma di “et et” vissuta concretamente ed ecclesialmente.

L’altro ieri, 4 novembre, sono ricorsi anche i vent’anni dalla morte di Pier Cesare Bori, singolare e straordinaria figura di docente universitario, che ad un certo punto della propria vita rinunciò al ministero presbiterale e, pur innamorato dell’Oriente Cristiano Ortodosso, aderì ai Quaccheri, senza rinunciare alle proprie stesse origini cattoliche. Un altro “et et” che lascia senza fiato ed esercita, almeno verso il sottoscritto direttore di questo settimanale online, un fascino infinito.

Ma la presenza di “our Rabbi” in Arizona (a proposito: “la” o “il”?) dice molto di più di una veloce panoramica sulle particolarità cattoliche italiane. Fa dilatare, quella presenza cameriniana, sguardi ed interessi verso un orizzonte in cui, per non rimanere sempre un po’ astratti nelle descrizioni, le culture indigene native degli Stati Uniti d’America intersecano la tradizione artistica bimillenaria dell’ebraismo italiano. Ancora di più: Miriam Camerini appare a Trieste, riappare a Gerusalemme, si manifesta a Milano, a Berlino, a Parigi, a Budapest, a Reggio Emilia, a Matera, a Sassoferrato, a Genova, a Weimar, a Istanbul. A chi assomiglia questa donna dalla vulcanica e razionalissima geometria presenziale? Possiamo dirlo? Diciamolo: sembra la concretizzazione contemporanea, l’attualizzazione, di quel Monsieur Chouchani su cui il nostro giornale desidererebbe interrogarsi, come anticipammo esattamente dieci numeri fa: https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-676-28-agosto-2022/stefano-sodaro-monsieur-chouchani-al-concistoro-passando-per-karlsruhe. Dunque: Mademoiselle Chouchani? O – visto che il misteriosissimo maestro morì, nel gennaio del 1968, a Montevideo – “Señorita Chouchani”? In Arizona ci risulta che si parli diffusamente, in effetti, anche lo spagnolo.

Del resto, ad attestazione di una contaminazione religiosa che è l’esatto contrario di qualunque corruzione di una presunta primigenia purezza, costituendone invece l’inveramento, la compiutezza, la “perfezione” alla latina, la liturgia cattolica di rito romano prevede oggi, in questa domenica XXII del Tempo Ordinario dell’Anno C, la proclamazione del passo dal Vangelo di Luca – capitolo 20, versetti dal 27 al 38 - in cui si prospetta l’assurda condizione della donna andata sposa a sette fratelli uno dopo l’altro. Un limite che da Gesù di Nazaret viene contrapposto ad una realizzazione escatologica in cui – come riporta l’originale greco - οτε γαμοσιν οτε γαμζονται (oúte gamoūsin oúte gamízontai), “né si sposa qualcuno o qualcuna né qualcuna sposa qualcun altro”, vanificando i confini giuridici del matrimonio rigidamente monogamico e proiettando piuttosto l’esistenza in una dimensione ultraterrena ove la resurrezione è invocazione al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, quel Dio che niente può contenere, che è Parola sempre da interpretare, creandosi così un raccordo abbastanza stupefacente, e fors’anche imbarazzante, con la Tradizione viva d’Israele.

E così il viaggio in Arizona della nostra Rabbi ci abbaglia con chiarori di novità e di fedeltà assoluta a quella medesima Tradizione appena nominata.

Le parole – in cui tradurre la Parola – sono ancora incerte e timorose. Ma il canto degli Ebrei Italiani del Rinascimento – epoca in cui, ad esempio, un vituperatissimo Pontefice come Alessandro VI non temeva di amare coram populo la propria concubina, sino a minacciarla di scomunica qualora non avesse abbandonato il legittimo consorte per raggiungere il Papa -, quel canto ci riconcilia con la bellezza e la profondità della vita. Ciò di cui abbiamo, più che mai, un disperato bisogno.

Grazie, ancora, una volta alla nostra “Rabbi who is in Arizona”.

Buona domenica.