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Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


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22. Hotel Plaza

Due grandi edifici, uno verticale, che compone il corpo centrale dell’hotel, e l’altro orizzontale, come giustapposto, applicato al centro della parte anteriore dell’edificio principale, a comporre la grande sala da pranzo con vetrata panoramica sul mare. Sei piani complessivi, con 12 camere ciascuno (ad esclusione del sesto), dai balconi a spina di pesce, anch’essi orientati vista mare; due ascensori panoramici ed una piscina. Questa la descrizione sommaria dell’hotel Plaza, al Lido degli Estensi, uno dei 7 lidi comacchiesi, figlio di un progetto audace, opera d’un architetto statunitense, e costruito nella seconda metà degli anni Sessanta, da un giovane imprenditore edile.

A quel tempo il Lido era quasi interamente immerso nella pineta, e vi erano davvero poche abitazioni, tra cui quella della famiglia Gardini. Nei primi anni Settanta vide il suo apogeo. Era allora un hotel a quattro stelle, con tanto di prezioso murales, opera di un artista della Pop-art, di cui non ricordo il nome, o forse non l’ho mai saputo. Gino Bramieri e Lola Falana, furono tra i frequentatori più illustri, e poterono godere d’un servizio di primordine, da parte del personale, che andava da un vero e proprio Direttore d’hotel – di origine e scuola napoletana, i migliori da sempre per affabilità e cortesia - al maitre, passando per un abile bartender, tre chef du rang, svariati camerieri e tre cuochi. Nell’estate del 1987, fui assunto per la stagione estiva dall’allora proprietario, un uomo gentile ma deciso, in qualità di portiere di notte.

Fu un’esperienza indimenticabile e formativa, durante la quale, riuscii anche a sostenere tre esami universitari, studiando ogni notte, quando tutte le chiavi erano rientrate, ovvero gli ospiti erano tutti in stanza a riposare. A mie spese comprai due completi blu (giacca e pantalone), diverse camicie a righe bianche e blu, un paio di cravatte, sempre dello stesso colore, ma con pois e decorazioni cachemire, completando il tutto con un paio di comodi mocassini in vernice (avete già capito di quale colore...). Ero pronto, nonostante non parlassi una parola di tedesco, me la cavai con l’inglese che, allora come ora, quasi tutti i tedeschi conoscono. L’hotel era in una leggera fase di declino, dopo un tentativo di rilancio, riuscito solo per breve tempo. Aveva perso una stella, mai riconquistata, nonostante oggi sia stato completamente ristrutturato dalla nuova gestione, ma si difendeva ancora molto bene. Era stata realizzata una sala colazione al piano terra, e conservava ancora cristalleria e posate in argento, assieme al maitre, due cuochi, quattro camerieri, tre receptionist e una bartender (mia sorella), inesperta o quasi, come il sottoscritto, ma di incantevole presenza e ben disposta ad imparare. Ed imparammo, grazie al prezioso aiuto del personale, del proprietario e della figlia. Alle dieci di sera prendevo servizio e toccava finire di registrare i documenti d’identità dei clienti; aggiornare il registro degli arrivi e delle partenze; consegnare o ritirare le chiavi delle camere, a seconda che gli ospiti uscissero o rientrassero; rispondere al telefono, e dalla mezzanotte in poi, occuparsi anche del bar, per una bottiglia d’acqua fresca, un caffè o una bibita, da servire in camera, dopo aver chiuso a chiave la porta d’ingresso.

Trascorsa la mezzanotte, infatti, per accedere alla reception o alle camere dell’hotel, occorreva suonare il campanello notturno, ed il sottoscritto provvedeva all’accoglienza. Nelle ore precedenti, a volte prendevo il fresco appoggiato alla ringhiera della scalinata che conduceva all’ingresso, e una sera – a dire il vero - non fui tanto accogliente. Mentre fumavo una sigaretta, in completa divisa blu, si fermò un’auto con tre o quattro ragazzi della mia età a bordo e, mentre una ragazza, scesa dall’auto, saliva le scale verso di me, il passeggero a fianco del conducente disse, quasi urlando, dal finestrino:

-  Digli che se non ci trova una camera, gli strappo la barba! -

Allora non ero tanto disposto a porgere l’altra guancia, anzi, ero un bel fiammifero, non c’è che dire. Sentì salire dallo stomaco una forte rabbia, ed alla ragazza, oramai giunta di fronte a me, risposi:

-  L’hotel è al completo, ma gli puoi dire, al tuo amico, che se non ve ne andate subito, il letto glielo procuro in ospedale a forza di schiaffoni -

-  Ma scherzava – rispose imbarazzatissima la ragazza.

 

Ripensando oggi a quelle parole, dopo più di trent’anni, devo dire che mi dispiace molto di non averli ignorati, ma tant’è, allora credevo erroneamente che, in certi casi, la violenza, verbale o fisica, fosse giustificata.

Vorrei chiudere con un secondo episodio, ancora più particolare. Verso la metà di Luglio arrivò alla reception un ragazzo straniero (non dirò di quale paese europeo), sui trent’anni, che aveva regolarmente prenotato una camera per un mese. Non aveva valigie, e ci mostrò un foglio della Questura di Ravenna – una denuncia da lui fatta – che attestava il furto delle stesse, contenenti, oltre agli indumenti, anche il portafoglio con i documenti e le carte di credito, sostenendo che, nel giro di pochi giorni, i suoi genitori avrebbero provveduto ad inviargli altro denaro. Per farla breve, lo accogliemmo in hotel, dove mostrò subito di trovarsi perfettamente a suo agio, familiarizzando ben presto con personale e clienti, aiutato in questo dalla perfetta conoscenza di quattro lingue, e dal suo bell’aspetto. In pochissimo tempo, divenne amico anche del bagnino, dal quale si fece prestare un milione di vecchie lire, conobbe poi una ragazza della sua stessa nazionalità - con cui si fidanzò – anche lei in vacanza al Lido, ma con la famiglia, invitandoli ben presto, quasi ogni giorno, tutti e tre a pranzo o a cena in hotel e pasteggiando allegramente a base di pesce fresco, crostacei e Verdicchio di Jesi. Dopo due settimane abbondanti, dei soldi tanto attesi, dal proprietario e dal bagnino, neanche l’ombra, mentre il nostro ospite iniziò a frequentare anche la discoteca locale, mostrandosi generoso nell’offrire anche lì. Una delle receptionist, venne allora spedita di nascosto in camera per indagare, e trovò, ben nascosto, un numero di telefono estero. All’altro capo dell’apparecchio, il padre del nostro raffinato avventore, raccontò desolato di aver dovuto far interdire il figlio, perché aveva più volte messo in atto la tecnica della falsa denuncia, per truffare diversi hotel in tutta Europa.

La mia collega ed il proprietario, dopo la telefonata, si ritrovano così a guardarsi in viso allibiti, come personaggi involontari di un film con Totò.

I Carabinieri, subito interpellati, dissero di poter procedere soltanto se il nostro affabile ospite, avesse abbandonato l’hotel senza saldare il conto, commettendo così reato. A questo punto, convocato dal proprietario nel suo ufficio, l’oramai abbronzatissimo trentenne, con navigata esperienza e assoluta calma, dichiarò di volersi recare presso la sua ambasciata a Roma, quella sera stessa, per ottenere il denaro necessario ad estinguere il debito.

A notte inoltrata, con valigia e abiti nuovi, si presentò nella hall, e lo accompagnai fuori dall’hotel, non prima di avergli notificato che, nel caso non fosse tornato, il proprietario avrebbe proceduto per vie legali. Mi ascoltò sorridendo come sempre, e scomparve nel buio, dopo avermi salutato con estrema cordialità. Ovviamente non tornò, e di lui non sapemmo più nulla. Dubito molto che l’allora proprietario, nonché l’ingenuo bagnino, siano riusciti a riavere anche solo una parte, del denaro estorto da questo abilissimo truffatore, di cui, a distanza di molti anni, ricordo ancora il nome che, manco a dirlo, contribuiva egregiamente a comporre la sua maschera da giovane aristocratico, affidabile e di bell’aspetto.