Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano
Religione e scienza
di Dario Culot
In un passato non lontano si accettava tutto ciò che diceva l’autorità ecclesiastica, senza porsi alcuna domanda. Oggi è il tempo della conoscenza consapevole. Per questo, nell’età moderna (a partire da Galileo) i rapporti fra religione e scienza non sono stati semplici: anche se si era pensato di arrivare a un armistizio dividendo in due settori separati le rispettive competenze, non è facile tirare una linea precisa di confine fra materia (campo d’azione della scienza) e spirito (riservato alla religione). In particolare oggi, non essendo più così sicuri che la materia e lo spirito siano due: forse sono solo due manifestazioni della stessa realtà. Cosa significa infatti materia? Anche l’aria che respiriamo e non si vede è materia. Non esiste pura materia, perché questa è sempre dinamismo, possibilità aperta a nuove inimmaginabili forme. La materia è energia, suggerisce la fisica, ma allora domandiamo: cos’è l’energia, che abbiamo sempre immaginato come qualcosa di ben diverso da ciò che intendiamo per materia? Cos’è questa energia invisibile, inaccessibile? E soprattutto perché c’è l’energia? Come mai tutto si muove ordinatamente nell’universo? Perché questa gravità mantiene unite le stelle e le galassie, e come è possibile, allo stesso tempo, che l’universo si espanda vertiginosamente? In poche parole: perché tutto è così come è? Non lo sappiamo; non lo sanno le religioni e non lo sanno le scienze, ma quello che vediamo e sappiamo basta per riempirci di meraviglia e di emozione[1].
Oggi, una netta separazione fra religione e scienza non è più possibile, perché è impossibile non tener conto della scienza anche quando si discute di temi religiosi. Ad es., per secoli abbiamo creduto che l’uomo fosse stato posto in questo mondo dall’esterno, fatto e finito com’è oggi. Invece – grazie alla scienza - oggi sappiamo che la creazione di Adamo ed Eva come descritta nella Genesi è un mito,[2] e sappiamo che l’uomo è apparso da dentro, non dall’alto ma dal basso. L’uomo è venuto dallo stesso e unico tronco della Vita che si è sviluppato sul nostro pianeta. L’uomo è un ramo che si è evoluto in una certa direzione, facendo emergere un nuovo stadio di Vita su questo pianeta[3]. Di questo, la religione non può oggi non tener conto.
In passato le grandi religioni sono state forze propulsive in grado di cambiare la gente; oggi sono in retroguardia, perché vivono un rapporto problematico con le tecnologie e le nuove idee. Gli scienziati inventano la pillola contraccettiva e il papa è in difficoltà. I rabbini sono in difficoltà a stabilire se gli ebrei ortodossi possono navigare di sabato in internet. I mufti discutono come controbattere alle idee incendiarie delle femministe che ormai appaiono anche nell’islam. Le religioni continuano ad usare le Scritture come fonte di autorità, ma questi testi non sono più fonte di creatività come in passato, e non hanno nulla da dire sull’ingegneria genetica o sull’intelligenza artificiale[4]. Non trovando risposte chiare nelle Scritture, le religioni si arroccano in difesa e combattono tutte le novità.
Per fare un esempio concreto, pensiamo a come la medicina e religione abbiano spesso incrociato le armi, invadendo l’una il campo dell’altra. Freud parlava della religione come di una mera illusione,[5] mentre Jung ha detto semplicemente che la religione non è nient’altro che una pratica terapeutica: “tutte le religioni sono sistemi psicoterapeutici che hanno il compito di conservare l’equilibrio psichico dell’uomo”, il quale cadrebbe altrimenti nella nevrosi. Fin dall’antichità l’uomo si è reso conto del pericolo che corre la sua psiche di fronte alla precarietà della sua vita, per cui con le sue pratiche magiche e religiose si è protetto da quella minaccia”. All’uomo non basta la ragione per superare il dolore umano, ma occorre una “verità sovrumana rivelata, che lo solleva dalla sua dolorosa condizione” [6]. L’uomo ha bisogno di dare un senso alla propria vita, e la scienza non può soddisfare questo bisogno.
Ovviamente la Chiesa aveva risposto col cartellino rosso a queste interpretazioni. È anche noto che a lungo la Chiesa ha posto il divieto di pensare con la propria testa. Ricordiamoci, ad esempio, che papa Gregorio Magno sosteneva che la fede non ha alcun merito quando la ragione umana ne offre la prova:[7] dunque la regola della Chiesa, proseguita poi per secoli, era quella di accantonare la ragione. Ma essendo l’uomo un animale dotato di ragione, non poteva di certo essere soddisfatto quando la religione gli diceva di non pensare, ma di fidarsi di quanto affermava il clero, ispirato dalla divina rivelazione. In effetti c’è da chiedersi: se accetto supinamente il dogma che Dio è Uno e Trino, sono per questo più saggio? Ho una conoscenza superiore all’ateo che non ci crede? Anche la Chiesa ha alla fine ceduto, accettando che deve esserci un intreccio fra fede e ragione, e oggi sappiamo che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana, come ha riconosciuto lo stesso papa Ratzinger[8]. Conseguenza? Chi non usa la propria testa per ragionare non può essere vero credente neanche secondo papa Benedetto.
La scienza, fondata solo sulla ragione, ha spesso irriso la religione che si fonda prevalentemente su verità di fede che non passano il vaglio della ragione. La scienza rifiuta di riconoscere credibilità a pratiche non scientifiche,[9] ritenendo di essere la unica in grado di spiegare com’è fatta la realtà. Perciò la religione gode quando, all’inverso, la scienza giudica un malato terminale, dandogli pochi giorni di vita, e invece costui improvvisamente guarisce contro ogni previsione. Gode perché dimostra che, al di là della ragione e dei dati misurabili, esiste una realtà che non è spiegabile con i metodi scientifici[10].
Ricordate alla fine degli anni ’90 la terapia anticancro del dottore Luigi Di Bella? L’oncologo Claudio Verusio[11] aveva distrutto la credibilità della cura Di Bella, sostenendo che, fino a quando non sarà stata sottoposta a tutte le fasi della ricerca clinica, fino a quando gli istituti scientifici e i ricercatori non avranno a disposizione tutti i dati clinici, questa “cura conserverà la stessa dignità dell’acqua di Lourdes o di tante altre pozioni miracolose”. In seguito è intervenuto nello stesso senso anche il nostro Ministero della salute, sì che si può dire che la dottrina ufficiale ha escluso che i farmaci somministrati dal Di Bella potessero avere effetti benefici. Però questa presa di posizione scientifica non ha tenuto conto dell’aspetto psicologico, del fatto che questo dottore ascoltava con empatia i suoi pazienti, li incoraggiava e riusciva a restituire a queste persone una dimensione di integrità. Quindi non c’è da stupirsi se veramente molti dei suoi pazienti non solo si sentivano meglio, ma hanno anche vissuto più a lungo di quanto pensava la fredda scienza medica. I malati hanno spesso più bisogno di accoglienza e comprensione che di altro[12].
Tutti abbiamo anche sentito parlare dell’effetto placebo: si può cioè curare una malattia con un farmaco adeguato, ma anche attraverso meccanismi che generano fiducia[13]. Anzi, è stato ormai scientificamente dimostrato che l’effetto antidolorifico è migliore se oltre al farmaco si somministrano parole. Ma su questo fatto non c’è una spiegazione scientifica. Quindi abbiamo una situazione in cui, a un complesso psico-sociale A (vista, odore, parole, cioè suggestioni verbali positive), viene aggiunto un farmaco B. Per studiare l’efficacia delle parole si dà una terapia finta (non c’è il farmaco B), e si aggiunge il rituale dell’atto terapeutico: si è così scoperto che qualcosa cambia nel cervello e le stesse vie biochimiche sono attivate sia dal solo B (ad es. morfina) che da A+C (parole + acqua distillata). Capiamo allora la forza che, per chi crede, si può ricevere dall’eucaristia, il pane condiviso. Il pane consegnato è ‘parlato’. La parola si mangia come il pane, guarisce e dà forza. I musulmani hanno qualcosa di analogo: imparano il Corano a memoria, e visto che per loro il Corano è stato dettato direttamente da Dio, imparandolo a memoria essi assumono la Parola di Dio, assimilano il Verbo, in altre parole mangiano la Parola di Dio.
Di più: la somministrazione delle parole può aver effetti positivi (placebo), ma anche negativi (nocebo). Gli studi scientifici hanno dimostrato che il cervello produce una sostanza simile alla morfina e alla cannabis (endorfine) sotto suggestioni verbali positive. Si mette in moto un meccanismo spiegabile scientificamente, tanto che l’effetto placebo positivo si può bloccare con un farmaco (naxalone), bloccando i ricettori delle endorfine. Il cervello, che si era attivato come se avesse ricevuto un farmaco vero, può anche essere bloccato farmacologicamente. All’opposto, in natura lo stimolo ansiogeno mette in moto meccanismi nel cervello che liberano gli ormoni che provocano malessere. Se la suggestione è negativa viene liberato naturalmente un diverso ormone, ma anche questa emissione può essere bloccata sempre con un farmaco (proglemide)[14].
Per fare un altro esempio, esiste anche l’analgesia da stress: pensiamo al fatto che spesso i soldati in azione non sentono il dolore della ferita, anche grave, finché, concitati, restano sotto stress; siamo cioè davanti a un effetto evolutivo, a dei meccanismi naturali che bloccano il dolore. Allo stesso modo esiste anche l’analgesia da fattori socio-culturali che mette in moto endorfine, cioè sistemi inibitori del dolore; si pensi al rituale doloroso per diventare adulti di certe tribù primitive.
Dunque è ormai assodato che farmaci e stimoli culturali passano attraverso le stesse vie biochimiche. Il placebo funziona per l’effetto psicologico che avviene nel cervello: avviene cioè quello che la persona si aspetta, grazie alle parole convincenti di chi offre la cura: queste parole funzionano come un’iniezione di fiducia e di speranza. Forse attraverso queste vie avvengono delle guarigioni chiamate miracolose, come quell’uomo che, allo stadio terminale per la scienza oncologica, era guarito dopo aver incontrato madre Teresa di Calcutta. Ecco perché, in chi crede, la preghiera o l’eucaristia possono migliorare la sua situazione: si mette in moto un’aspettativa di miglioramento. E al contrario, dando di nascosto una terapia vera, ma in totale assenza di rituale medico dell’atto terapeutico, cioè senza il contesto psico-sociale (ad es. l’infermiera entra in stanza, lascia la pillola sul comodino e se ne va senza profferire parola e senza rivolgere uno sguardo al paziente), l’azione del farmaco è spesso inefficace per il dolore: manca l’aspettativa del miglioramento che solo la parola riesce a produrre. Siamo chiaramente al di fuori del campo strettamente razionale, e la chimica del corpo umano è molto più complicata di quanto comunemente si pensi.
Si può forse allora concludere che la relazione fra paziente e medico (nella nostra cultura) o paziente e sciamano (in altre culture) sono simili, anche se noi riteniamo di essere nettamente superiori a quelle culture primitive.
Ma non solo: l’uomo – a differenza dell’animale - è stato capace di vedere cose che non esistevano e di credere a realtà basate su miti. È difficile comprendere l’idea di “ordine costituito immaginario” perché si pensa che esista solo la realtà oggettiva (ad esempio, la legge di gravità) e la realtà soggettiva (ho mal di testa anche se gli esami e il medico mi dicono che sto bene e non ho niente). Se qualcosa non appartiene solo alla sfera soggettiva, deve per forza appartenere a quella oggettiva. Invece esiste un terzo livello di realtà: l’intersoggettivo. Il denaro non ha valore oggettivo, perché non lo si può mangiare, né ci si può vestire con esso. Ma finché miliardi di persone credono nel suo valore, tutti possono comprare cibo e vestiti. Se il fornaio non vi dà più il pane, cambiate negozio. Ma se nessuno vi dà più il pane, quel pezzo di carta perde improvvisamente il suo valore[15]. Dunque il denaro è il mezzo universale di scambio; in realtà è un sistema di mutua fiducia. Siccome il denaro vale solo dentro la nostra immaginazione condivisa, occorre una fiducia globale nella nostra immaginazione collettiva[16].
Se un sacco di gente crede in Dio o nel denaro, a quel punto pensiamo che Dio e il denaro debbano essere realtà oggettive. Ricordiamoci però che una volta anche Zeus era una potenza importante nel bacino del Mediterraneo; invece oggi gli dèi sono privi di autorità perché nessuno più crede in essi.
In sintesi, oggi sono razionalmente e parimenti plausibili le due posizioni: quella del credente che, anche senza prove scientifiche, afferma l’esistenza di un Dio che per amore si è deciso di creare, contraendo la propria potente presenza fino a concedere alla sua stessa creazione un’autonomia evolutiva, e quella del non credente il quale afferma che i processi evolutivi hanno cause semplicemente naturali, negando l’esistenza di una Realtà ultima e divina[17]. Pensare cioè a un Dio creatore preesistente che ha creato l'universo, oppure a un universo autosufficiente ed eterno è altrettanto razionale[18]. Nessuno dei due può dimostrare la verità della sua tesi.
Personalmente propendo per la prima tesi, perché mi sembra più logica. Chi crede alla seconda tesi crede che l’universo sia saltato fuori dal nulla attraverso un processo del tutto ignoto e inspiegabile, che a un certo punto altrettanto casualmente sia emersa la vita, e in seguito in maniera altrettanto inspiegabile sia emersa nell’uomo anche la coscienza[19]. Ora, se non ci fosse un Creatore, dovremmo dire che tutto quello che vediamo è frutto del puro caso; difficile pensare a una terza soluzione[20]. Chi nega l’esistenza di un Creatore sostiene che il mondo è nato per caso, che l’universo funziona per caso, che la vita su questo pianeta è nata per caso; che, per una serie di cause piccole, indipendenti e imponderabili, che sfuggono ad ogni previsione, la materia[21] è riuscita a funzionare come vediamo. Pensando così, non mi sembra però che si stia dando una risposta razionalmente convincente, perché parlare di un colpo fortuito non solo non spiega assolutamente nulla, ma è anche un discorso poco logico.
Se sulla spiaggia trovo un orologio subito penso che qualcuno l’abbia fatto. Come mai se guardo all’universo, assai più complesso di un orologio, non si pensa che qualcuno l’abbia fatto? Non è logico pensare che questa complessità sia frutto del caso. Il fisico agnostico Davies Paul, afferma che una sintesi puramente fortuita delle proteine può essersi formata con una probabilità su dieci alla 40.000 potenza (cioè al numero seguono 40.000 zeri); o come è stato ancor più visivamente prospettato dall’astrofisico Hoyle, quell’unica probabilità è come se un tornado avesse spazzato un deposito di materiali producendo un Jumbo 747 perfettamente funzionante[22]. Ora, anche ammesso che per caso questo sia successo una volta, come può succedere in continuazione, in modo che l’universo continui a funzionare? È razionale crederci? Qui è proprio l’ateo, che vuol essere razionale al cento per cento, a non sembrare tanto razionale, visto che i matematici sono convinti che già una probabilità su 1050 non si verificherà mai. Come si può razionalmente sostenere che tutto l’universo riesce a funzionare per puro caso, quando da noi, per caso, non funziona neanche un sistema ferroviario. E tutti concordano sul fatto che ci vogliono migliaia di intelligenze per far funzionare in maniera decente un sistema di trasporti[23].
E poi c’è la morte che inesorabilmente si avvicina ci fa ricordare quanti giorni abbiamo sprecato. E cosa fare per non sprecare quel poco che ci resta? Beati coloro che possono dire: “Ho fatto ciò che mi era stato richiesto. Il mio compito è terminato, e posso andarmene in pace”. Invece la maggior parte di noi non è affatto in pace, è piuttosto inquieta e insoddisfatta. Tutti abbiamo domande e desideri che abitano nel più profondo del nostro cuore. Spesso silenziosamente. Spesso rendendolo sempre più inquieto. Se c’è questa continua domanda di aria fresca tranquillizzante (di spiritualità?), vuol dire che non basta escludere Dio nella nostra mente per sentirci finalmente liberi e appagati; non basta dire che Dio è un’invenzione dell’uomo che si sente confuso; vuol dire che il nostro “io” non ci basta; che il possesso di tanti beni materiali non è sufficiente per essere felici; che vederci semplicemente come una cosa fra le tante cose dell’universo ci rende infelici. In altre parole, l’uomo non è mai riuscito a vivere di solo pane. Non c’è uomo che non sia insoddisfatto della sua natura; non c’è uomo che non abbia desiderio di un mondo migliore; che, prima o poi, non sia stato sfiorato dall’idea che debba esistere da qualche parte uno luogo più sereno, più tranquillo, più felice. Quando va male si ha la sensazione che la vita sia come un grande fiume che ci trascina tutti, alla rinfusa, ma verso dove? Fino a scomparire nel mistero del cosmo? Quando va bene si percepisce vagamente che c’è un mistero nascosto delle cose che supera il nostro piccolo “io” e col quale, forse, si può entrare in relazione: c’è ogni tanto un attimo in cui s’intravede che si può andare “oltre”, ed avere un contatto col vero essere. Che cos’è? Impossibile a dirsi, è come cercare di definire la vita. Diceva già Pascal:[24] “quando considero la breve durata della mia vita assorbita nell’eternità che precede e che segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell’infinità immensa degli spazi che ignoro e che m’ignorano,[25] mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c’è ragione che io sia qui piuttosto che là, adesso piuttosto che allora…Chi mi ci ha messo? Per comando e per opera di chi mi sono destinati questo luogo e questo tempo?”
In effetti non sappiamo perché ci troviamo qui, non sappiamo dove stiamo andando e spesso non sappiamo neanche chi siamo. Né la scienza, né la Rivelazione possono chiarircelo con assoluta certezza. Abbiamo solo speranze senza certezze. Ecco perché tutto il sapere delle scienze, dell’economia, della politica, a un certo momento della vita non bastano più: resta la fame di qualcosa che non riusciamo a raggiungere, che sta sempre “oltre”. È stato anche osservato con acutezza come “La donna che nessuno ama, l’uomo cui diagnosticano un cancro, il pensionato solitario sulla panchina, colui che – nella lucidità spietata del risveglio - guarda allo specchio sul suo volto i segni del tempo, e si chiede che ci fa lì, che sarà di lui … Nessuno di costoro sarà mai consolato dal politico, dal sindacalista, dal sociologo, che – per quel che conta davvero - non sono, per usare le parole del vangelo, che ciechi che guidano altri ciechi”[26]. E nell’elenco di questi “ciechi” possiamo tranquillamente aggiungere anche lo scienziato. Ecco perché non si può vivere di sola scienza che non ha tutte le risposte,[27] e anche chi ha cercato vie di fuga solo nelle nuove tecnologie, sente la mancanza di qualcosa. Ecco perché la scienza o la tecnica non riusciranno mai a sostituire la richiesta di spiritualità: è solo questione di tempo, ma prima o poi quasi tutti tornano a riflettere su queste tematiche.
In conclusione, che oggi si creda più alla scienza o più alla religione vale quello che aveva detto Einstein:[28] “L’esperienza più bella che possiamo avere è il senso del mistero. È l’emozione fondamentale, la culla della vera arte e della vera scienza. Chi non la prova e non può più meravigliarsi, è come morto, e i suoi occhi sono offuscati”.
Ecco che così, di fronte all’enorme Mistero che ci circonda, scienza e spiritualità religiosa possono lavorare insieme, per cercare nuove risposte. Nell’insieme penso che, avendo la religione smesso di interpretare in maniera fondamentalista le Scritture (come invece aveva fatto Bellarmino con Galileo[29]), ed essendo ormai scienza e teologia consapevoli della propria limitatezza,[30] i motivi di scontro siano ridotti al minimo[31].
Forse è finalmente arrivato il momento di dare applicazione al concilio Vaticano II, come auspicato dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa - Gaudium et Spes § 62 – del 7.12.1965: “Coloro che si applicano alle scienze teologiche nei seminari e nelle università si studino di collaborare con gli uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo in comune le loro forze e opinioni. La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini competenti nelle varie branche del sapere ad acquistare una più piena conoscenza della fede. Questa collaborazione gioverà grandemente alla formazione dei sacri ministri, che potranno presentare ai nostri contemporanei la dottrina della Chiesa intorno a Dio, all'uomo e al mondo in maniera più adatta, così da farla anche da essi più volentieri accettare”.
NOTE
[1] Arregi J., Il credo dinanzi alle scienze, in Il cosmo come rivelazione, a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 59s.
[2] Cfr. L’articolo Il peccato originale, al n.456/2018 di questo giornale.
[3] Vigil J.M., Rivisitando la questione Dio, in Oltre Dio, a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 53.
La Terra non ha sicuramente i 5-6.000 anni che le riconosce la Bibbia. È bene riportare il motto di Greenpeace: “La terra esiste da quasi 4.600.000 di anni. Si potrebbe paragonare la sua vita a quella di un uomo di 46 anni. In questo caso, dei primi sette anni non si sa assolutamente nulla; poco si conosce fino ai suoi 42 anni, quando cominciò a fiorire. I dinosauri comparvero all’età di 45 anni, e i mammiferi otto mesi prima dei 46. Continuando così, l’uomo moderno esisterebbe solo da quattro ore, e da un minuto è iniziata la rivoluzione industriale. In questi 60 secondi egli è riuscito a trasformare un paradiso in una discarica di rifiuti, ha causato l’estinzione di 500 specie di animali e si trova sull’orlo di una guerra che potrebbe portare all’annientamento di questa oasi di vita nel sistema solare.”
[4] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 417ss.
[5] Freud S., L’avvenire di un’illusione, in Opere, Boringhieri, Torino, 1968-1993, vol. X, 431ss.
[6] Jung C.G., I rapporti della psicoterapia con la cura d’anime, in Opere, Boringhieri, Torino, 2007, vol. XI, 325s.Non solo: Jung non vedeva la persona come fenomo indipendente, ma come appartenente a entità più grandi. La nostra interconnessione non è solo interpersonale, ma cosmica. Esiste perciò non solo il nostro inconscio personale (cose che non ricordiamo o reprimiamo), ma anche l’inconscio collettivo, costituito da elementi che non acquisiamo individualmente, come gli istinti, gli impulsi. L’inconscio collettivo è quel substrato onnipresente, invariabile e identico in tutti i luoghi della psiche (riportato da Ress M.J., Re-immaginando la Sapienza che ci sostiene, in Oltre Dio, a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 240).
[7] Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, Patrologia latina del Migne. Però l’abate benedettino Anselmo d’Aosta (Anselmo d’Aosta, Monologio e Prologio, Bompiani, Milano, 2002, 218), quello della teoria della soddisfazione, dopo quasi mezzo millennio di questo dominante divieto, lo aveva aggirato sostenendo che l’ozio, il peggiore dei vizi, andava contro il principio dell’ora et labora. Infatti solo una pigrizia peccaminosa dell’intelletto portava ad evitare di usare la ragione nella ricerca delle verità di fede. Quindi, dimostrare l’esistenza di Dio con la ragione era un vero e proprio dovere per tutti coloro che non vogliono essere guidati dalla pigrizia della mente, diventando così preda dell’ozio e del peccato. Aggiungeva che era anche una forma di pigrizia limitarsi ad appiattirsi su pensieri pensati da altri. Ma, fra gli altri, già sant’Agostino aveva raccomandato di cercare con tutta l’anima di comprendere per mezzo dell’intelligenza (lettera n.120), sì che anche questo teologo riteneva che la fede non era sufficiente per essere cristiani.
[8] Una fede senza ragione non è autentica fede cristiana (Ratzinger J., Dio e il mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 40. Ciononostante questo papa, al pari del suo predecessore, ha silenziato decine di teologi che volevano pensare con la propria testa.
[9] La verità in senso scientifico viene verificata e confermata dalla realtà osservabile e misurabile. Come diceva Lord Kelvin, la scienza si basa esclusivamente sulle misure e sui calcoli. Se non riusciamo a misurare e ad inserire le misure in equazioni che funzionano, quella non è “scienza”, è opinione soggettiva opinabile. La “scienza” non dà certezze, ma offre solo ipotesi che devono essere confermate, ed eventualmente messe in discussione, non perché siano sbagliate (succede anche questo), ma perché imprecise. La teoria di Newton non era sbagliata, ma non spiegava correttamente tutti i fenomeni (per esempio l'orbita di Mercurio). Ed ecco che un Einstein propone una teoria alternativa e questa permette di fare i calcoli più precisi. È vera e definitiva? Probabilmente no. Per esempio, ha permesso di predire l’esistenza dei buchi neri, ma prevede anche l'esistenza dei "buchi bianchi" che sinceramente non so cosa dovrebbero essere.
La scienza è una sola perché vale sempre, ovunque, per tutti. Che sia cattolico, induista o musulmano, se salto dalla finestra, la legge di gravità non dipende dalle mie credenze religiose, né dai miei ragionamenti. E come faccio a sapere che questa legge è “vera”? Semplice: faccio cadere a terra un libro, o salto da una sedia. Ripetuto l’esperimento e verificato più volte che la legge di gravità effettivamente funziona, so che è vera finché non mi viene dimostrato il contrario. Quindi non siamo davanti né a una verità di fede da accettare acriticamente, né a una verità di ragione raggiunta attraverso il solo ragionamento.
[10] Non tutto della realtà può essere descritto con espressioni logico-matematiche e colto dalla dimensione razionale (Cugini P. Post-teismo? Alcune perplessità, 24.7.2023 sul sito www.viandanti.org).
[11] Verusio C., in “D. La repubblica delle donne”, 27.10.1997, n.72.
[12] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 114: noi ci scambiamo vita gli uni gli altri e ci aiutiamo a crescere, anche al di là e indipendentemente dalla ferita o dalla malattia, proprio per l’importanza e per gli effetti delle parole, dei gesti, delle carezze, delle attenzioni, dei rapporti nei confronti degli altri.
[13] Benedetti F., L’effetto Placebo, Carrocci, Roma, 2018.
[14] Vedi nota precedente.
[15] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 223ss.
[16] Harari Y.N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 226ss.
[17] Franceschelli O., Dio e Darwin, Donzelli, 2005, 7.
[18] Arregi J., Dio al di là di Dio o del teismo, in Adista n.18/2021, 11.
Non ricordo quale moderno teologo aveva detto che il dialogo scienza-religione si può oggi ridurre a questo: accettare l’idea di un universo aperto, evolutivo, autocreatore senza sapere se abbia come suo fondamento ultimo Dio o se sia un puro universo senza Dio. Visto che nessuno può dimostrare la verità della sua tesi abbiamo i credenti e gli atei. Vedi nota 27.
[19] Con tutto quello che sappiamo sui neuroni, non siamo in grado di spiegare la coscienza; non è mai stata misurata o fotografata un’esperienza cosciente.
[20] A dire il vero in questi ulti tempi si sta parlando di un Universo intelligente (diverso da un disegno intelligente di un Creatore): l’universo è favorevole alla vita perché è una realtà creata dalla vita stessa. Già Cicerone, scrivendo sulla natura degli dèi, diceva: Perché neghi che l’universo sia intelligenza cosciente, quando dà vita a intelligenze coscienti? Aveva forse intuito meglio di noi la realtà dell’universo? Ma anche qui manca la risposta a monte: perché c’è l’energia? Perché c’è la materia? Dal nulla può nascere qualcosa?
[21] Ma è stato giustamente osservato che gli eventi casuali possono avvenire se perlomeno esiste la materia, e il caso non spiega come si è formata la materia (Samek Lodovici G., L’esistenza di Dio, ed. Art –I quaderni del Timone, Novara, 2004, 41). In altri termini, l’origine della vita non è tanto un problema di assemblaggio dei vari ingredienti, ma di programmazione. Da dove arriva il software, il programma di base che ha permesso la formazione della materia e poi le funzioni base della vita?
[22] Davies P., Da dove viene la vita, ed. Mondadori, Milano, 2000, 100. Vedasi un commento al libro di Davies in www.impressionisoggettive.it/sintesi_da_dove_viene_la_vita. Vedasi anche uno studio probabilistico complesso ed analogo nel sito www.cristianicattolici.net/evoluzione_teoria.
[23] E qui rinvio a tutti gli altri esempi riportati nell’articolo Quale prova dell’esistenza di Dio? al n.633/2021 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-633/dario-culot-quale-prova-dellesistenza-di-dio).
[24] Pascal B., Pensieri, n.180, Einaudi, Torino, 1962, 82.
[25] Anche la Bibbia riconosce che l’uomo non è esistito da sempre: è arrivato appena al sesto giorno. La scienza conferma che è uno dei tanti prodotti dell’evoluzione, piuttosto recente anche nella storia della Terra, ed è altrettanto sicuro che con l’uomo o senza l’uomo nulla sarebbe cambiato nel funzionamento dell’universo. La nostra stessa razza non ha certezza di essere eterna, visto come abbiamo massacrato la terra. E la vita può proseguire in altre forme anche senza l’homo sapiens. Nulla neanche esclude che nell’immensità dell’universo non vi siano altre realtà intelligenti, forse anche molto più di noi.
[26] E. Ionesco, riportato da Mondadori L. e Messori V., Conversione: una storia personale, Mondadori, Milano, 2002, 15.
[27] Ricordo come l'astronoma Margherita Hack, che si proclamava atea, diceva di sapere perfettamente che la scienza e la ragione non sono in grado di dimostrare scientificamente con certezza né che Dio esiste, né che non esiste (Di Piazza P., Compagni di strada, Laterza, Roma - Bari, 2014, 8).
[28] Esergo al libro di Rovelli C., Buchi bianchi, Adelphi, 2023.
[29] Bellarmino era convinto che quanto affermato da Galileo non fosse vero, perché lui Bellarmino possedeva una fonte superiore di conoscenza: la Rivelazione di Dio, infinitamente superiore ad ogni altra, compresa quella della scienza. Finché si crede di possedere la Verità assoluta, totale e immutabile, perché rivelata da Dio in persona, è comprensibile che non si tolleri alcuna deviazione dai propri dogmi, veri, assoluti, eterni e indubitabili.
[30]Ripeto quanto detto perfino da papa Benedetto XVI, Ultime conversazioni a cura di Seewald P., Corriere della sera, Milano, 2016, 225: nessuno osa più dire "Possediamo la verità", cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità.
[31] “Bisogna accettare le novità della scienza con totale umiltà” ha detto papa Francesco alla Conferenza di Roma del 9-12.5.2017.