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Accenni di storia delle minoranze religiose in Italia

di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/


Il 17.2.1848 i Valdesi[1] hanno avuto la concessione delle libertà civili nello Stato sabaudo. Con le patenti di re Carlo Alberto i Valdesi venivano equiparati agli altri cittadini: potevano finalmente comprare beni immobili, andare a scuola e all’Università. Da allora festeggiano sempre il 17 febbraio di ogni anno.

Poco più tardi, re Carlo Alberto ha emesso analoghe patenti anche per gli ebrei[2]. Però gli stessi non festeggiano. Come mai? Ma perché, ad esempio a Trieste, dopo l’annessione all’Italia nel 1918, gli ebrei non avevano motivo di festeggiare le patenti albertine, visto che l’imperatrice d’Austria Maria Teresa aveva già concesso agli ebrei triestini analoghe patenti fin dal 1771, ben prima di Carlo Alberto. Nel 1782 l’imperatore Giuseppe aveva anche aperto il ghetto[3] a Trieste. Tuttavia la situazione non era la stessa per tutti gli ebrei dell’Austria; ad esempio nel 1750 sempre Maria Teresa aveva fatto deportare da Praga decine di migliaia di ebrei; e poi solo gli ebrei triestini potevano viaggiare nello Stato asburgico, però previo pagamento di una congrua tassa; gli altri dovevano rimanere stanziali. Perché queste concessioni particolari agli ebrei triestini? Perché a Trieste c’era il porto franco, e l’imperatrice aveva ritenuto che gli ebrei (da sempre abili commercianti) potessero tornare utili. Del resto anche suo figlio Giuseppe aveva questa visione utilitaristica. Neanche gl’imperatori asburgici, quindi, erano mossi da ideali universali di uguaglianza e fraternità.

Del resto, proprio in Francia, la rivoluzione del 1789 (libertà, eguaglianza, fraternità) aveva all’inizio escluso la cittadinanza per gli ebrei, che sarebbe stata però concessa loro due anni più tardi, nel 1791.

Potremmo chiederci, con un certo stupore, come mai c’è stata tanta difficoltà in Europa a riconoscere alle minoranze religiose gli stessi diritti civili delle maggioranze? Probabilmente perché, con la pace di Vestfalia[4] del 1648 si era stabilito l’abbinamento sovrano-religione: i sudditi seguono automaticamente la religione del proprio sovrano (cuius regio et eius religio), sì che i sudditi che non avevano la stessa religione del proprio sovrano e volevano mantenere una propria religione diversa erano visti con un malcelato sospetto,[5] e non erano comunque considerati buoni sudditi. Così era per gli ebrei che hanno sempre mantenuto la propria identità religiosa.

Sta di fatto che gli Ebrei, fin dai tempi dell’esilio di Babilonia hanno sempre cercato di non scontrarsi con le popolazioni dei Paesi che li ospitavano, fossero sudditi (come a Babilonia, lì portati nel 586 a.C.) o cittadini (come a Roma dopo Caracalla, nel 212 d.C.). Già Geremia, uno dei profeti maggiori dell’Antico Testamento (Ger 29, 7) invitava i suoi a contribuire alla pace della città in cui Dio li aveva esiliati, tanto da invitarli perfino a pregare il proprio Dio in favore della pace della città ospitante. Perché? Perché la pace nella città straniera avrebbe significato pace anche per gli ebrei.

Anche questo pregare per la pace del Paese ospitante aveva dunque una ragione sottaciuta: se gli Ebrei erano in esilio forzato, tanto valeva cercar di star bene nel Paese che li ospitava: se il Paese che li ospitava stava bene, anch’essi avevano buone possibilità di continuare a vivere lì mantenendo in tranquillità la propria identità. Se le cose andavano male nel Paese, le minoranze erano le prime a soffrirne perché chi facilmente può essere aggredito facilmente diventa il primo capro espiatorio del malessere generale[6]. Il motto sottaciuto, quindi, era: se il sovrano sta bene non perderà tempo a pensare a voi Ebrei.

Va però anche sottolineato che, nel momento in cui agli Ebrei vennero riconosciuti gli stessi diritti civili degli altri cittadini piemontesi, essi diventarono prontamente cittadini fedelissimi di quello Stato. E così è avvenuto negli altri Stati d’Europa. Seguendo quanto imponeva Geremia, se la legge di quel Paese valeva per tutti, la legge di quel Paese era legge anche per gli Ebrei. Proprio così si spiega come, nella prima guerra mondiale, ci fossero Ebrei francesi che si arruolarono volontariamente per la Francia, Ebrei tedeschi che si arruolarono volontariamente per la Germania, Ebrei italiani che si arruolarono volontariamente per l’Italia.

Si racconta, ad esempio, un aneddoto per lo Yom Kippur:[7] soldati ebrei tedeschi e francesi si ritrovarono senza preavviso nella stessa ed unica sinagoga delle vicinanze per celebrare la festività. Finita la celebrazione tutti rientrarono nelle rispettive linee e ripresero tranquillamente a spararsi addosso.

Per l’Italia si può ricordare il caso di Roberto Segre, arrivato al grado di generale, la cui grande intuizione fu determinante nella vittoria della battaglia del Solstizio del 1918 e quindi per la vittoria finale nella grande guerra. Senza aspettare ordini superiori (che a Caporetto non erano mai arrivati e contribuirono pesantemente alla nostra disfatta essendo le nostre artigliere rimaste sostanzialmente silenti, sempre in vigile attesa dell’ordine di aprire il fuoco mai arrivato perché le comunicazioni erano saltate), come comandante dell’artiglieria della nostra VI armata nel settore di Asiago, decise in completa autonomia, ignorando il rigido e burocratico regolamento militare, di aprire il fuoco di contropreparazione già alle 02:45, anticipando il tiro austriaco; e lo fece con tale concentramento di fuoco (con proiettili esplosivi e a gas) sulle zone dove in quel momento si stavano raggruppando le truppe austriache per l’attacco ormai prossimo, al punto che molti soldati e ufficiali austriaci “credettero che erano gli italiani a dover attaccare”. Il tiro micidiale e preciso coordinato dal gen. Segre fu talmente efficace, che la battaglia sull’Altipiano di Asiago era già terminata la sera del giorno successivo, con la completa disfatta degli austroungarici, impossibilitati non dico a proseguire, ma nemmeno ad iniziare l’attacco che dall’altipiano avrebbe dovuto congiungersi con l’attacco che si stava svolgendo sul Piave e sul monte Grappa, dove invece tenemmo grazie al geniale Gavotti[8]. Per sua fortuna il gen. Segre è morto prima della promulgazione delle leggi razziali.

Mentre infatti i valdesi hanno conservato i diritti civili fino ad oggi, agli Ebrei – come sappiamo - vennero nuovamente tolti con le leggi razziali del 1938, annunciate proprio a Trieste.

Come tanti ebrei, eroi della prima guerra, anche Segre, che aveva fatto tanto per l’Italia, non avrebbe capito perché gli venivano tolti improvvisamente gradi e decorazioni. Sicuramente gli ebrei italiani (ma lo stesso accadde col nazismo in Germania) rimasero sotto shock e non capirono il motivo dell’improvviso cambiamento legislativo: pensarono a un errore di Mussolini, o che il governo non avesse compreso il significato di cittadinanza, che implica libertà e responsabilità[9].

Eppure il 14 novembre 1943 l’assemblea del nuovo Partito fascista repubblicano di Salò approvò  il manifesto programmatico, cioè l’atto costitutivo della Repubblica Sociale Italiana, in cui al punto 7 stabiliva che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”[10]. Perché? E cento anni di fedeltà all’Italia? Cancellati senza spiegazione alcuna. Evidentemente si era davanti a scelte politiche e ideologiche. Non a caso, l’art. 22 della Costituzione italiana ha poi stabilito il principio per cui non si può essere privati della cittadinanza, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici.

Ma si può così anche capire perché tanti Ebrei aderirono inizialmente con entusiasmo al fascismo: il fascismo sembrava all’inizio una via per migliorare la situazione in Italia, piuttosto caotica dopo la fine della grande guerra. Poiché gli Ebrei avevano tutto l’interesse a migliorare la situazione dello Stato in cui vivevano, ecco il motivo dell’adesione: se il fascismo mirava a fare grande l’Italia, anche chi era ebreo voleva partecipare.

Va però aggiunto, a quanto appena detto, cioè a questa riconoscenza per l’emancipazione civile ottenuta nel Paese in cui gli Ebrei vivevano finalmente trattati alla pari, la totale fedeltà a quel Paese riguardava solo le leggi civili; non valeva se si promulgavano leggi che andavano contro la loro religiosità.

Ecco perché occorre distinguere fra integrazione e assimilazione. La prima viene accettata, la seconda rifiutata:

- integrazione significa, infatti, che quando gli Ebrei sono trattati con giustizia in quel determinato Stato, contribuiranno in tutti i modi a migliorare quella stessa società che li accoglie con equità;

- assimilazione significa invece far perdere la propria identità religiosa, e questo non veniva (e non viene) accettato perché se gli Ebrei fossero diventati come tutti gli altri cittadini cristiani (o arabi, a seconda della religione ufficiale del Paese che li ospitava) l’ebraismo sarebbe scomparso[11].

Del resto oggi, quattro secoli dopo Vestfalia, è piuttosto comune pensare che una società si arricchisce proprio attraverso le differenze, mentre un appiattimento globale impoverisce quella stessa società. Una società omologata, perfettamente livellata, si cristallizza entro schemi prevedibili, e questo si profila oggi come una concreta minaccia con l’intelligenza artificiale.

Dovremmo tener presente questa distinzione fra integrazione e assimilazione anche quando oggi parliamo degli immigrati, che non sappiamo se accogliere o non accogliere, se voler integrare o assimilare. Forse anche in questo campo dovremmo schiarirci un po’ le idee.

 





NOTE

[1] Per chi ha interesse, Paolo Naso ha scritto al momento quattro volumi sulla storia dei Valdesi, con l’editrice Claudiana.

[2] Curioso che nel resto del mondo si chiamino giudei (Jude in tedesco; Jew o Jewish in inglese; Judio in spagnolo; ecc ...) da noi usiamo il termine Ebrei; forse perché il termine giudeo, in base all’insegnamento secolare del cattolicesimo, ha una nomea negativa.

La letteratura è più vasta per quel che riguarda gli Ebrei, rispetto ai Valdesi. Fra gli altri, per chi ha interesse, Milano A., Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino, 1963; Caffiero M., Storia degli ebrei nell’Italia moderna, Carocci, Roma, 2014.

[3] Ghetto viene da geto che, in dialetto veneto (in cui tendenzialmente non si raddoppiano le consonanti), indicava il luogo dove a Venezia c'era la fonderia; la G dolce era però pronunciata dura dagli ebrei tedeschi (gh) che per primi arrivarono in quel luogo, e la parola è diventata internazionale, rimanendo identica sia in inglese, francese e in spagnolo. Lì vennero segregati i giudei dal 1516, esclusi dalle cariche pubbliche, dai mestieri e arti liberali e dal possesso fondiario, con l'unica libertà di commerciare denaro (Laggia A., Venezia, i 500 anni del ghetto più antico, “Famiglia cristiana”, n. 13/2016, 50s.)

[4] La pace di Vestfalia segnò la decadenza della Spagna, accrebbe la potenza di Svezia e Francia e riconobbe l’indipendenza delle Province Unite dalla Spagna e della Confederazione svizzera dallImpero; ratificò la fine delle guerre di religione in Europa, allargando l’ambito della libertà di coscienza. A non firmare per l’accettazione del pluralismo cristiano nascente (cuius regio et eius religio), il germe della libertà religiosa, fu proprio il cardinale legato di papa Innocenzo X. Quella che allora al papa parve una sconfitta netta e indigeribile dei cattolici, oggi è un programma da perseguire. Anche la perdita dello Stato pontificio, nel 1870, parve a Pio IX una catastrofe, mentre nel 1970, cento anni dopo, Paolo VI la considerò un evento provvidenziale.

Su “il Regno” n. 20/2023 Piero Stefani ha fatto notare che a Vestfalia, dopo trent’anni di guerra in cui cattolici e protestanti si erano combattuti come nemici assoluti (e in Europa i morti furono forse più numerosi dei milioni morti nella grande guerra), la pace fu possibile quando le trattative si aprirono all'ascolto dell’altera pars, dell’altra parte. Quando cioè le rispettive verità vennero rielaborate a fronte del bisogno di pace. La cosa non sembra purtroppo ancora matura oggi nel caso di Russia-Ucraina, e comunque nessuno indica su quali punti l’Ucraina potrebbe aprirsi all’ascolto dei russi, e viceversa.

[5] Basti pensare a come, finché c’era la leva obbligatoria, i cittadini italiani di lingua madre slovena non potevano accedere a vari incarichi militari, proprio per questo sospetto sulla loro fedeltà.

[6] Pensiamo come, ancora oggi, le manifestazioni di diversità creino come minimo fastidio generalizzato: pensiamo alle diversità sessuali. Nella nostra società moderna è ancora difficile accettare persone che manifestano gusti sessuali diversi da quelli che la maggioranza si aspetta. Eppure ci riempiamo la bocca parlando di libertà di scelta, per cui ognuno dovrebbe poter vivere serenamente secondo le proprie inclinazioni quando non crea danno ad altri.

[7] È il giorno della celebrazione dell’espiazione dei peccati.

[8] Sulla Cima del Grappa, q. 1776, sebbene al capitano ing. Gavotti avessero ordinato di costruire trincee, egli, di sua iniziativa e disattendendo gli ordini superiori, costruì la famosa galleria “Vittorio Emanuele III”, un’opera di fortificazione militare grandiosa, ancora oggi in parte visitabile, costituita da un braccio principale e numerosi bracci laterali per uno sviluppo totale di 5 chilometri, interamente scavata in pochi mesi nella roccia.

All’interno, le gallerie ospitavano una settantina di cannoni, altrettante postazioni di mitragliatrici, osservatori, centrali telefoniche, gruppi elettrogeni, ventilatori, serbatoi d’acqua, depositi di viveri e munizioni, posti medicazione, ricoveri idonei per vivere e far affluire le riserve anche durante l’attacco nemico. Fossero state in trincea le nostre truppe sarebbero state annichilite dal fuoco nemico. E quando le cose sembravano doversi mettere al peggio, sotto l’incalzare del nemico, e Gavotti ricevette l’invito perentorio a lasciare sul posto un sottoposto che conosceva le strutture delle gallerie e filarsela, lui rispose che solo lui era l’unico a conoscere bene la struttura. Rimase in prima linea, e le protezioni da lui costruite permisero alle nostre truppe di resistere e respingere alla fine l’attacco austriaco, giunto fin in prossimità della cima.

Dunque, anche se questo non si studia a scuola, la grande guerra è stata vinta per l’iniziativa di alcuni sottoposti che non hanno seguito le regole che avrebbero dovuto seguire.

[9] Questo concetto ben chiaro di cittadinanza sembra sfuggire ancora a tanti giovani di oggi. Ad esempio, nei recenti episodi di manifestazioni represse dalla polizia, va ricordato che anche la libertà di manifestare – libertà di riunirsi in luogo pubblico (art. 17 Cost.) – ha dei precisi limiti a tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti. Occorre che la riunione avvenga “pacificamente e senz’armi” e che per la “sicurezza” e la “incolumità pubblica”, cioè per i diritti e la libertà degli altri, si sia preavviso affinché l’autorità di pubblica sicurezza possa organizzare al meglio la tutela dei diritti degli altri (art. 17 Cost.).

Se non si dà questo preavviso, la polizia si trova ovviamente impossibilitata a preordinare un efficace servizio di prevenzione, e chi pretende di esercitare così la propria libertà di manifestare disinteressandosi della sicurezza e incolumità altrui sta ovviamente abusando del suo diritto. Si è davanti a una prepotente manifestazione del proprio diritto senza minimamente pensare che anche altri hanno pari diritti.

[10] Sta di fatto che gli ebrei non avevano via d’uscita per salvarsi, neanche convertendosi ad altre religioni, perché erano ritenuti ‘geneticamente’ ebrei per sempre e nemici per sempre. Pensiamo alla grande pensatrice Edith Stein, convertitasi al cattolicesimo nel 1922 (quindi ben prima di tutte queste leggi razziali), diventata perfino suora carmelitana. Ciò non la salvò dalla deportazione ad Auschwitz, in quanto nata ebrea, dove morì nel 1942.

[11] Si comprende perciò anche perché l’ebraismo è contrario ai matrimoni misti: formalmente è ebreo chi nasce da madre ebrea, ma sostanzialmente non si nasce ebrei, lo si diventa vivendo in una famiglia ebrea; si diventa ebrei attraverso un lungo percorso, che probabilmente non verrà fatto o sarà molto diluito se i genitori sono di religioni diverse.

Lo stesso ovviamente avviene nel cristianesimo: non basta il battesimo formale; si diventa cristiani a poco a poco, costruendo la cristianità del giovane che cresce sotto la guida di genitori credenti.

Ovviamente ci possono sempre essere le eccezioni, per cui abbiamo credenti ferventi che escono anche da famiglie atee.