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Il Concordato, maschio, e la Chiesa, donna. Seconda puntata

di Stefano Sodaro


Il Card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato, e il Presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Craxi - Firma del nuovo Concordato, 18 febbraio 1984 - foto tratta da commons.wikimedia.org


Il 15 maggio 1871, due giorni dopo la promulgazione della cosiddetta “Legge delle guarentigie” sul riconoscimento unilaterale da parte dello Stato Sabaudo dei privilegi e dell’immunità della Santa Sede e del Romano Pontefice, il Beato Pio IX pubblicò l’Enciclica “Ubi nos”, in cui, tra l’altro, affermava: «Noi dichiariamo che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarantigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati, in quanto essi ci furono proposti con il pretesto di rafforzare la Nostra sacra e libera potestà in luogo e in sostituzione del Principato civile di cui la divina Provvidenza volle dotata e rafforzata la Santa Sede Apostolica, come Ci è confermato sia da titoli legittimi e indiscussi, sia dal possesso di undici secoli ed oltre. Infatti ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell’ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero Apostolico, sottrarsi all’arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi. Certamente questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l’ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico? Per ciò che riguarda il rapporto tra Chiesa e Società civile, ben sapete, Venerabili Fratelli, che Noi ricevemmo direttamente da Dio, in persona del Beatissimo Pietro, tutte le prerogative e tutta la legittima autorità necessaria al governo della Chiesa universale, e che anzi quelle prerogative e quei diritti, e quindi anche la stessa libertà della Chiesa, derivano dal sangue di Gesù Cristo e devono essere stimati secondo l’infinito valore del Suo sangue divino.» Ed ancora, rivolgendosi a tutti i Vescovi dell’Orbe, destinatari dell’Enciclica: «Noi siamo costretti a confermare nuovamente e a dichiarare con insistenza ciò che più di una volta esponemmo a Voi, del tutto consenzienti con Noi, ossia che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un Potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l’autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa e perché possa provvedere al maggior bene della stessa Chiesa ed agli indigenti.»

Come fu possibile, dunque, giungere alla Conciliazione del 1929 da posizioni così intransigenti, di soli 58 anni prima, che rappresentavano un vero e proprio massimalismo interpretativo della sovranità temporale pontificia?

La questione è più complessa di quanto si potrebbe forse supporre e, a parere del qui scrivente, ha a che fare con la crisi, per i poteri istituzionali della Chiesa Cattolica, della Rivoluzione Francese. 

Tutto, in qualche modo, si origina lì. 

È stato da poco pubblicato, da Carocci editore, un volume di Marco Rochini, intitolato Il gesuita e la rivoluzione. Teologia e democrazia in Giovanni Vincenzo Bolgeni (1733-1811), che bene illustra come l’istituzione della (prima) Repubblica Romana nel 1798, sulla scia dell’incontenibile movimento rivoluzionario francese di fine Settecento, costringesse ad un immediato ripensamento delle categorie giuridiche di impianto medievale nei rapporti tra Stato e Chiesa dai tempi del Concordato di Worms e della Bolla “Unam Sanctam” di Bonifacio VIII.

L’idea soggiacente corrispondeva, sino ad allora, ad un perfetto matrimonio umano-divino di una “Chiesa nello Stato” e di uno “Stato nella Chiesa”. 

Una “Chiesa nello Stato” diffusa dappertutto, dentro l’abbraccio virile del potere laico, e uno “Stato nella Chiesa”, concentrato – sempre molto virilmente – nella sola funzione di rendere possibile alla Santa Madre Chiesa la sua prolifica funzione di generare il popolo credente: uno Stato, quello della Chiesa per appunto, vuotato di sovranità (e quindi, per così dire, devirilizzato, da questa prospettiva) riconosciuta invece all’Ente Supremo dell’ordinamento canonico, la Santa Sede, unentità di per sé meta-territoriale.

L’apparizione mariana a la Salette nel 1846 aveva affidato alla veggente Melania un fantomatico “segreto” – su cui scrisse centinaia di pagine niente poco di meno che un autore come Jacques Maritain -, che al suo numero 7 riportava: “Il Vicario di mio figlio, il Sommo Pontefice Pio IX, non esca da Roma dopo l’anno 1859, ma sia fermo e generoso, combatta con le armi della fede e dell’amore: io sarò con lui.

La sintesi concettuale dell’Infinito nel Finito, o del Creatore nella Creatura, ritorna, ai nostri giorni, nell’originalissima sintesi teologica del padre gesuita Wilhelm Klein – su cui dovremo tornare – che definisce Gesù di Nazaret “il Dio in Maria”. Idea che pare, peraltro, tributaria di quella della Vergine Madre, figlia del Figlio, cantata da Dante.

Il Concordato ed il Trattato del Laterano dell’11 febbraio 1929 consentirono di giungere ad un’articolazione dei rapporti fra Stato Italiano e Chiesa Cattolica che non cancellasse – quantomeno – la potente simbologia di quel patto matrimoniale sovrannaturale: lo Stato Città del Vaticano è, sì, un mero “residuo” di una assai più vasta estensione territoriale del potere temporale dei Papi, ma, d’altra parte, ne è anche accettazione e riconoscimento, per quanto, per appunto, a livello soltanto simbolico (nondimeno effettivo, se solo si pensa al riconosciuto diritto di legazione attiva e passiva della Santa Sede che invia i propri ambasciatori, i Nunzi Apostolici, nei diversi Stati e vede presso di sé accreditato un corrispondente Corpo Diplomatico).

Il 18 febbraio 1984 – quarant’anni fa esatti – nessuno pensò di concepire diversamente i medesimi rapporti tra Repubblica Italiana e Chiesa Cattolica, allorché si decise di “modificare”, e non già di cancellare o revocare o annullare, la pattuizione precedente, il precedente “matrimonio”.

Riporta la Premessa di quell’accordo di diritto internazionale – firmato dal Segretario di Stato Card. Agostino Casaroli e dal Presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Craxi, successivamente recepito da entrambi gli ordinamenti, dello Stato e della Chiesa -: Tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;

avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;

considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;

hanno riconosciuto l’opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense.

Il neretto è nostro. Si può agevolmente constatare che il Trattato Lateranense – nel suo contenuto proprio, istitutivo dello Stato della Città del Vaticano – non viene toccato (e nemmeno citato), mentre il Concordato del 1929 viene solo formalmente “modificato”, anche se, fuori dalla cornice formale, le modifiche sono sostanziali. Ma il simbolismo è fatto salvo.

Tra le modifiche sostanziali, a titolo d’esempio, quanto subito precisato nel Protocollo Addizionale e che in effetti va a modificare proprio l’art. 1 del Trattato (e non del Concordato): Al momento della firma dell’Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:

1. In relazione all’articolo 1

Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.

La “Chiesa nello Stato” e lo “Stato nella Chiesa” pare, dunque, principio di configurazione dei reciproci rapporti comunque pienamente riaffermato, ma l’apparente perfezione eterogamica di tale matrimonio simbolico può essere, in realtà rovesciata e problematizzata (lo si è già annotato domenica scorsa), pensando alla “Chiesa nella Repubblica” – entrambi sostantivi femminili -, in correlazione però non ad una impossibile “Repubblica nella Chiesa”, bensì, stando allinterpretazione laica delle caratteristiche fondative degli ordinamenti statuali, ad una “Monarchia nella Chiesa”, di nuovo due parole di genere femminile, giacché il Pontefice è propriamente definito “Sovrano dello Stato della Città del Vaticano”.

Ne derivano implicazioni ecclesiologiche decisive, gravide di conseguenze, forse non molto meditate a tutt’oggi, su cui potremo proseguire in altra occasione a riflettere.

Questa domenica, 18 febbraio 2024, ricorrono, per intanto, i 40 anni di un connubio riaffermato e riproposta. Non è faccenda di poco conto.

Buona domenica.