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A trent’anni dalla morte di padre Ernesto Balducci


Tra Balducci e Pasolini, 

Živko Kustić e Abune Makarios



di Stefano Sodaro


Il 25 aprile 1992, a seguito di un tragico incidente stradale in uscita dalla Circonvallazione di Faenza, moriva padre Ernesto Balducci, dell’Ordine degli Scolopi (propriamente: “Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, fondati da San Giuseppe Calasanzio nel 1617). 

Con Decreto del Ministero della Cultura – il n. 123 del 29 marzo 2022 – è stato istituito il Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Padre Ernesto Balducci, che era infatti nato settant’anni prima, il 6 agosto 1922, a Santa Fiora, sul Monte Amiata.

Forse è un po’ sfuggito, ma Pier Paolo Pasolini era suo coetaneo, essendo nato proprio nel 1922, benché il 5 marzo ed a Bologna.

La scomparsa improvvisa di padre Balducci, trent’anni fa, gettò nello sconforto più avvilito un’intera comunità che non riusciva a rassegnarsi al ruinismo trionfante del tempo che già da un anno stava inaugurando un periodo di pressoché totale conformismo ecclesiale, mentre da qualche mese era stata avviata l’inchiesta “Mani Pulite”, che cambiò per sempre il panorama politico italiano.

La morte di Balducci seguiva a quella di David Maria Turoldo, avvenuta solo poco più di due mesi prima, il 6 febbraio 1992 a Milano. Quel Turoldo che delle esequie di Pasolini nel cimitero di Casarsa della Delizia era stato l’officiante il 6 novembre 1975, tra lo sbalordimento della potentissima borghesia cattolica del tempo, che infatti mal sopportò non solo la testimonianza del grande regista e poeta, ma neppure quella dei due religiosi.

Il nostro modesto, davvero piccolo ed umile, tentativo vorrebbe, tuttavia, andare nel segno di evitare ogni monumentalizzazione di Balducci ed anche superare – come disse acutamente a Milano molti anni fa Giancarlo Zizola a noi che lo ascoltavamo – ogni sensazione di paralizzante orfananza, che a lungo, ed in verità tutt’oggi, non abbandona chi ha memoria di quegli anni e chi seguiva il ministero di quel prete unico nel suo genere.

Balducci era infatti un ministro di Chiesa contento di esserlo, pur senza rinunciare di un capello – come amava ripetere – alla sua fedeltà alla profezia evangelica. 

Dal momento in cui si pose, soprattutto dopo la pubblicazione de L’uomo planetario avvenuta nel 1985, al di fuori delle controversie ecclesiologiche, di cui pure era stata uno dei protagonisti durante la stagione conciliare, essendo presente a Roma per tutta la durata del Vaticano II (proprio fino al 1965, quando poté stabilirsi alla Badia Fiesolana, della cui comunità religiosa fece parte sino alla morte), persino la Santa Sede se ne disinteressò. Gli orizzonti escatologici, per quanto fondati nella storia più drammatica e contingente, quale ad esempio, quella degli eventi della Guerra del Golfo - che lo esposero, assieme al vescovo Tonino Bello, a critiche violentissime per la forza dialettica della sua condanna degli attacchi statunitensi in Iraq -, sembravano dimensioni da sognatore, da utopista nostalgico di una specie di vetero-socialismo riverniciato di cattolicesimo, da poeta e filosofo. 

Qualcosa di simile a quanto era accaduto proprio con Pasolini, dopo l’uscita del suo Vangelo secondo Matteo, dedicato dal regista (che si professava comunista, giusto?) «Alla cara, lieta e familiare ombra di Giovanni XXIII».

Se ci poniamo, tuttavia, da un angolo un po’ sopraelevato rispetto alle strettissime contingenze della più recente storia italiana, possiamo – potremmo – fare scoperte persino sconcertanti, perché usare il mero aggettivo “sorprendenti” pare inadeguato.

Qualcuno ha mai sentito parlare dello scrittore e regista croato Živko Kustić che, studente di teologia innamoratosi di una infermiera, ottenne – a metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo - da niente poco di meno che Mons. Franjo Šeper, prima arcivescovo coadiutore di Zagabria e poi (udite, udite, ma dovrebbe essere storia nota) potente Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’indicazione di sposarsi tranquillamente, quindi transitare al rito bizantino e farsi ordinare presbitero nell’Eparchia greco-cattolica di Križevci, 70 chilometri da Zagabria, ciò che avvenne il 4 maggio 1958?

Da prete e giornalista, Kustić assunse posizioni, sia di visione storiografica che di approccio ad esempio ai temi della sessualità o della posizione della Croazia durante il Secondo Conflitto Mondiale, che molti di noi probabilmente non potrebbero condividere (per quanto vale, mi iscrivo tra costoro), però pare di straordinario significato che, ancor prima del Concilio, la Chiesa, fuori dai ristretti confini italiani, respirasse comunque aria, fortemente ossigenata, di possibili evoluzioni di riforma interna del tutto coerenti, peraltro, alle più antiche tradizioni, quale quella di avere un clero sposato in Oriente, secondo un ben diverso diritto canonico.

Come a dire: esistette forse un “balduccianesimo” altro dalla biografia di Ernesto Balducci che solo oggi, soltanto adesso, proprio dopo un arco trentennale, siamo in grado di decodificare ed i cui strumenti di decodifica sono peraltro comunque rinvenibili solo grazie alla preveggenza dello scolopio del Monte Amiata.

Ma veniamo ai nostri giorni. Quanti sappiano dalle nostre parti, in Italia, che esista una Chiesa Eritrea Ortodossa autocefala, con diritto cioè di eleggere ed avere un proprio Patriarca, non si sa. La dolorosa vicenda della destituzione con la forza, nel 2007, per volontà del potere politico, del legittimo Patriarca Abune Antonios è stata seguita, anche in questo caso, fuori dal contesto italiano. Abune Antonios è morto in prigionia lo scorso 9 febbraio e la Chiesa Eritrea Ortodossa si è spaccata, fin dalla sua destituzione, tra le comunità lealiste presenti all’estero e le comunità che invece, di necessità, lo volessero oppure no, hanno dovuto accettare il gradimento politico dei successori di Abune Antonios, considerati illegittimi ad esempio dallo stesso Patriarca Copto di Alessandria d’Egitto, e ad essi obbedire.

Cercando nel web, si scopre che ha giurisdizione sulle Comunità Eritree Ortodosse del Nord America e d’Europa il vescovo Abune Makarios, da poco novantenne, il quale non teme che sia narrata la storia, a dir poco strabiliante, della sua intensa, tenerissima e trasparente amicizia con una – al tempo – ragazza ebrea ortodossa di Brooklyn, la signora Ruth Lewy, felicemente sposata (e non certo con il futuro vescovo). I riferimenti in rete sono i seguenti:

https://archive.sltrib.com/story.php?ref=/faith/ci_3544917;

https://www.tewahdo.org/english/diocese/106-uncategorised/2424-unlikely-friendship-across-boundaries-by-jessica-ravitz.

È risaputo quanto siano purtroppo ancora problematici i rapporti tra l’Oriente Ortodosso – che quest’oggi, domenica 24 aprile 2022, celebra la Pasqua secondo il Calendario Giuliano – e l’Ebraismo. E qui si sta parlando addirittura di un vescovo di tradizione molto diversa, e più antica, rispetto a quella bizantina. Si tratta, cioè, delle Chiese cosiddette - ormai del tutto impropriamente - monofisite, oppure, più propriamente, precalcedoniane. Eppure.

Eppure la storia anche contemporanea di un ecumenismo che sappia affrontare la fatica della ricerca e non si fermi allo zucchero protocollare di reciprochi inchini può svelare tesori impensati, impensabili.

Domani, 25 aprile, alta si sarebbe ancora alzata la voce di padre Balducci a ricordare il monito che viene dai consensi popolari a fascismo e nazismo e ci avrebbe fatto riflettere su come la Resistenza Partigiana, pur armata, avrebbe dovuto insegnare il bando universale di ogni arma. Sarebbe stata una parola dirompente e necessaria, come quella, incessante sul tema, di Francesco papa.

Portiamo dentro di noi stessi la voce profonda ed affabulatrice di padre Balducci, la sua vivacità discorsiva ricca di immagini e di rimandi, di citazioni e di semplici – ma per nulla semplicistiche – affermazioni evangeliche, da uomo della Parola.

E siamo convinti, però, che i credi religiosi, non solo quello cattolico e neppure solo quella cristiano, siano in grado di disegnare un futuro di Pace, se con umiltà, quale vera e propria confessione di fede, paradossale come ogni confessione di fede, affermeranno che bisogna avere il coraggio di riconoscersi “nient’altro che uomini”, ripetendo quanto disse Pietro di Betsaida al centurione Cornelio.

Buona domenica, buon 25 aprile!