Le pietre scartate

di Paola Franchina

Pietre scartate: questo è stato per secoli il ruolo della donna nella Chiesa. Solo a partire dal 1965 è stato possibile per la donna accostarsi allo studio teologico: il Concilio Vaticano II diede abbrivio ad un’istanza di rinnovamento che vede il riscatto della condizione femminile dallo stadio di minorità in cui era confinata. Il 22 Novembre 2014 viene consegnato per la prima volta il premio Ratzinger ad una donna, Anne-Marie Pelletier, la quale, in uno studio dal titolo emblematico, Le pietre scartate, offre un’indagine sul ruolo femminile nel cristianesimo e nella Chiesa.

Oggi siamo in compagnia di una delle prime protagoniste del cambiamento culturale che ha avuto luogo nel postconcilio: Catalina Morey Pons. La donna appartiene alla Famiglia Missionaria Verbum Dei, fondata nel 1963 a Maiorca dal sacerdote P. Jaime Bonet Bonet. Questa fraternità presenta al suo interno un caleidoscopio umano che annovera laici, religiosi, ordinati e famiglie accomunati dalla medesima chiamata ad essere Verbum Dei. All’età di 20 anni Catalina viene inviata alla Pontificia Università Gregoriana ma, una volta giunta a Roma, non le è permesso di accedere agli studi. Un anno più tardi, però, le cose cambiano e, finalmente, Catalina può avere accesso all’Università erede del Collegio Romano fondato da Ignazio di Loyola.

La testimone di questo momento di cambiamento culturale ha compreso, fin da subito, la portata di quanto era in atto; lei stessa afferma: «da missionaria, non comprendevo la necessità di approfondire la teologia, la mia formazione era filosofica, pensavo che per parlare con la gente fosse sufficiente avere un’esperienza personale con Gesù vissuta all’interno di una comunità».

Non senza perplessità, la missionaria inizia questo iter formativo, del quale ricorda alcuni momenti: «ero l’unica donna in mezzo a soli uomini. Mi sono sentita apprezzata da coloro che mi circondavano: noi eravamo un ordine povero e, per mantenerci durante gli studi, avevamo la necessità di lavorare. Dovevo conciliare orazione, missione, studio e lavoro: in quegli anni facevo la donna delle pulizie».

Al termine del suo percorso di studi, Catalina rivede le sue posizioni circa la necessità della formazione teologica: «In Europa ho trovato molto utile lo studio teologico, in particolare per il sostegno della fede delle persone più colte, le quali necessitano di un fondamento solido e di riconoscere l’intrinseca razionalità del messaggio cristiano».

Tuttavia, la missionaria mostra alcune criticità presenti nei percorsi di formazione: «nei paesi di missione la teologia appresa a Roma non serviva. La riflessione è molto europeizzata, occorre che ogni Paese possa creare e sviluppare una teologia propria, nutrita e arricchita della cultura locale. Io, in particolare, ho dovuto approfondire la teologia del popolo, nella quale si esprime la creatività della teologia argentina, a cui si ispira l’attuale Papa».

Al concludersi del nostro incontro, Catalina non si esime dal lanciare un messaggio a tutte le altre donne che intendono accostarsi all’iter teologico: «Le donne hanno tanto da offrire alla Chiesa e al Popolo di Dio, esse hanno un carisma speciale nel comprendere la realtà, che può integrare e arricchire la prospettiva maschile. Non hanno bisogno di rivendicare posizioni o potere in virtù del fatto di essere donne, ma mostrando, con l’uso acuto della ragione, il valore intrinseco del loro contributo».