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Narges Karim Mohammadi - foto tratta da commmons.wikimedia.org

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Narges Mohammadi, Italo Svevo e il giudice Apostolico


di Stefano Sodaro


Quando si racconta della Regata Barcolana di Trieste, è ormai letterariamente impossibile non parlare di Italo Svevo. E non già perché ne sia stato in qualche modo testimone e/o partecipe, dal momento che proprio oggi si svolge la (soltanto) 55ma edizione della celebre competizione di barche a vela, mentre Svevo morì nel 1928 – il 13 settembre -, dunque quarant’anni prima della 1ma edizione della Barcolana. Si “deve” parlare di Svevo in occasione della Barcolana perché quel mare che in questa domenica viene solcato, accarezzato, persino penetrato, da più di mille imbarcazioni, non è propriamente e prima di tutto un oggetto romantico, sentimentale, poetico, ma un indispensabile canale di comunicazione, che – ed eccoci a Svevo, compiutissimamente borghese – ha permesso alla borghesia di divenire il perno sociopolitico e socioculturale dell’intera città, sin dalla patente di Carlo VI del 17 marzo 1719, che sancì la costituzione del porto franco per quell’approdo a nordest che già da secoli costituiva l’unico porto dell’Impero.

Ed è così vero che fu lo spirito borghese, e non quello romantico, a plasmare Trieste che un prestigioso canonista, il prof. Alessandro Albisetti, intitolò un suo saggio comparso nel Fascicolo 1/2009 dei Quaderni di diritto e politica ecclesiastica proprio “Svevo e il diritto canonico”, ricordando, all’inizio del suo saggio, de “La coscienza di Zeno” quel

«passo del capitolo terzo «Il fumo» ove il protagonista Zeno Cosini così afferma:

Sul frontespizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato:

«Oggi, 2 febbraio 1886, passo dagli studi di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!»

Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono.

M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’ è la vita stessa benchè ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.


Dunque Svevo (per bocca di Zeno) dichiara la propria «arrabbiatura» col diritto canonico che gli appare «tanto lontano dalla vita».»


C’è da scommettere che tutt’oggi – Barcolana o non Barcolana – folle, torme, schiere, sarebbero pronte a sottoscrivere sia la dichiarazione di Cosini/Svevo che la pensosa preoccupazione del prof. Albisetti.

Ma aveva ragione Italo Svevo?

Rispondiamo, per appunto, svevianamente, cioè in stile, per quanto possibile, compiutamente borghese: sì e no.

Sì, perché – tra l’altro – la prima codificazione del Codex risaliva al 1917, promulgato da Benedetto XV, per poi entrare in vigore il 18 maggio 1918, cinque anni prima dell’uscita del romanzo di Svevo - nel 1923 - da cui Albisetti ha tratto il passo sopra.

E qui s’innesta il borghesismo psichico, venato di scientismo (e non è colpa lieve) della cultura triestina, laddove il grande scrittore lamenta proprio che, codificando, e dunque sezionando, riducendo, sminuzzando, la ricchezza poliedrica, policromatica, multidirezionale del diritto canonico prima medievale e poi umanistico e poi barocco e poi moderno sia avvenuto come uno schiacciamento di tanta “bellezza normativa” sulle ragioni di un diritto “chiaro e distinto”, che permetta di stabilire, senza incertezze, torti e ragioni, assegnando eventualmente la loro soluzione conflittuale alla competenza di un giudice. E riconoscendo una volta per sempre potestà, privilegi, facoltà e correlate obbedienze, sanzionabili se assenti. Punto e basta.

Così come la Barcolana sembra far tralucere un’interpretazione romantica del mare triestino che invece non c’è, il Codice di Diritto Canonico sembra far intravedere un fascinoso mondo sconosciuto appena da esplorare che invece, appunto, neppure c’è.

Povero Svevo, povero diritto canonico, povera Barcolana (come ha intuito con le sue folgorazioni artistiche il nostro impareggiabile Ugo Pierri), poveri – e povere – noi.

Ed oggi, con un diritto canonico codificato appena 40 anni fa - succeduto il Codex del 1983 a quello del 1917 -, abbiamo forse a che fare con qualcosa che sia “più vicino alla vita”?

Esemplifichiamo in maniera molto concreta: ci sono, dentro le maglie del Codex, spazi, si aprono forse pertugi, per presenze non cristiane? Sarebbe un’apertura, infatti, molto – come dire? – “borghese”, attenta al fatto indubbio che, secondo quanto ripete quasi ossessivamente il Papa, “la realtà supera l’idea”: ma troveremmo forse qualche vescovo che mandi i propri seminaristi a farsi imporre le mani per il presbiterato dalla Signora Narghs Mohammadi, nuovo Premio Nobel per la Pace 2023, in ragione del suo impegno a favore dei diritti delle donne iraniane, per il quale si trova attualmente in carcere? Potrebbero forse mai comparire – in realtà assai romantiche e poco borghesi – file devote di giovanotti nerovestiti in talare che attendano fuori del carcere iraniano dov’è detenuta la nuova Premio Nobel per la Pace, dopo essere stata frustata per 154 volte in nome proprio di un “diritto religioso” cui prestare ogni ossequio, se necessario fino alla morte?

Chi reagisce, dentro questo obbrobrioso cortocircuito di un diritto “lontano dalla vita” e così vicino alla morte? Come si fa a reagire? Con quali strumenti?

Vi reagisce, ad esempio – per continuare con gli esempi – un magistrato italiano donna: tale, sino a pochi giorni fa sconosciuta, dottoressa Iolanda Apostolico, ormai su tutte le pagine dei giornali e nei commenti di tutti i politici.

I magistrati – viene obiettato – non dovrebbero manifestare? E perché? Soprattutto non dovrebbero manifestare per i più deboli, fragili, poveri. Interessante. E perché?

Ma perché sono terzi!

Dunque, non vanno neppure a votare per mantenere la terzietà?

Che c’entra? – pronta replica – le votazioni sono segrete!

Ed i pensieri devono pure restare tali, segreti? Siamo davanti ad un assetto di potere che ammette la pubblica esternazione delle proprie più convinte esternazioni solo se non si appartiene a determinate categorie professionali? Cos’è, un macabro scherzo? Forse che il macellaio quando affetta la carne non dev’essere “terzo” e somministrare un prodotto purissimo e rigidamente controllato? Ed un elettricista quando viene a casa deve agire secondo propria scienza e coscienza professionali, oppure deve chiedere al capo se possa o non possa esprimere un giudizio su quale sia l’intervento migliore?

Ecco. Italo Svevo aveva ragione, già.

Ma anche torto.

Perché quel “diritto canonico” è potente metafora d’ogni altro diritto, non vi è affatto ad esso alieno, anche rispetto a quello che si potrebbe presumere assai vicino, vicinissimo, alle nostre vite d’ogni giorno.

E, da canonista, mi sento di affermare che non c’è Tribunale Apostolico insensibile alla realtà superiore all’idea, perché più potente, importante, decisiva.

Merita darsi da fare, non c’è più tempo.

Ci diamo di nuovo appuntamento in giornata su questo numero de “Il giornale di Rodafà”, visto quanto sta accadendo in Israele.

Che nonostante ogni tragedia, possa essere una domenica di speranza.

E che sia una Buona Barcolana.


che cojoni, ‘sta barcolana - disegno di Ugo Pierri