A te e famiglia

di Paola Franchina

Come la principessa Anna nel celebre film Vacanze romane, lasciamoci condurre da Joe Bradley per le strade di Roma, sostando, per un momento, alle pendici del Campidoglio, di fronte all’arco di Settimio Severo e al Foro Romano, ove sorge la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Varcando la soglia dell’edificio non può sfuggire la La natività di Carlo Maratta: uno straordinario affresco che va ad arricchire le mura della chiesa.

Su uno sfondo scuro, si staglia l’immagine della Vergine china sul Bambino. Un forte gioco di luci ed ombre impressiona l’osservatore che è costretto a fermarsi, incantato da questa immagine senza tempo. Il fondo nero è in netto contrasto con la luce che promana il bambin Gesù. Ecco, l’incanto del Natale.

L’atmosfera diviene rarefatta: nella mirabile contemplazione dell’eternità che si fa tempo, si accende la nostalgia originaria di un Amore che ci appella da sempre, sollecitandoci a ricercare frammenti di questa affezione nella nostra quotidianità.

Come la samaritana al pozzo ci affanniamo per trovare schegge di luce e, con la nostra anfora, peregriniamo per le strade della vita mendicando un poco d’acqua che sappia irrorare l’arsura del cuore.

E così, nell’avvicendarsi di incontri e legami, sgorgano piccoli rivoli che promettono di irrigare la nostra secchezza, ma, ahimè, le relazioni sono spesso coronate di svenevoli sentimentalismi che promettono l’eterno ma che, al fine, non hanno il vigore di sostenere le intemperie e il peso della fragilità umana.

In questo stanco peregrinare, si dischiude la magia del Natale. Come i cherubini nel quadro del Maratta, possiamo appoggiare dolcemente il volto al mantello di Maria, per contemplare lo straordinario miracolo dell’amore restituito nella sua giustizia originaria.

Quest’amore, pieno di lógos, porta con sé la percezione originaria dei legami di senso e assume, proprio per questo, il profilo di un’adesione al nómos della verità per l’ingiunzione di una giustizia del rapporto, che non ha bisogno di costringere, apparendo spontaneamente apprezzabile[1].

In questo originario affettivo è dischiusa una promessa: la giustizia dell’amore diviene evento, l’attesa che anima i nostri itinerari singolari non è destinata ad essere delusa. Tale promessa, tuttavia, non investe solo il singolo, ma i fragili legami degli uomini. L’amore si presenta nella sua forza ingiuntiva, sollecitando l’impegno vigoroso e audace.

Si offre una verità che, usando le parole del Poeta, significar per verba non si poria: un’intenzionalità si rivela all’interno di una risonanza emotiva. L’appello che dischiude questo evento è capace di irradiare le nostre vite e i nostri legami con il vigore di questo amore originario.

L’augurio per il Natale, dunque, è che la giustizia dell’agape possa riempire di trascendenza il nostro quotidiano.



[1] D. Cornati, Ma più grande è l’amore. Verità e giustizia di agápe, Queriniana, Brescia 2019, 180.