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L’Amministratore Apostolico, Vescovo emerito, di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi impone le mani al Vescovo eletto di Trieste mons. Enrico Trevisi nella Cattedrale di Cremona il 25 marzo 2023 – foto per gentile concessione della Diocesi di Cremona


Il Sol dell’Avvenire (episcopale, di mattina) 

di Stefano Sodaro



Che cosa importa di un nuovo Vescovo a chi, di Trieste o magari qui di passaggio, appartiene ad altra confessione religiosa, ritiene di non credere, è laico o laica, è semplicemente disinteressato/a a qualunque ambito religioso, ha altro da fare e a cui pensare?

Che cosa importa a chi ogni giorno va al lavoro, a scuola, negli ospedali, nelle aule di giustizia, negli studi professionali, nei luoghi dell’arte – teatri, cinema – per svolgervi la propria attività, a chi è in pensione, a chi scrive e recita, a chi soffre ed è solo e sola, a chi rischia la disoccupazione o si trova già a viverla? Che cosa importa?

Diciamolo con sincerità: abbiamo drammatico bisogno che qualcuno ci faccia sognare, ci additi un orizzonte, ci aspetti nel mezzo delle nostre strade, delle nostre giornate, dei nostri amori e dei nostri dolori, delle nostre gioie, speranze e sofferenze. Dei nostri progetti.

Fino ad oggi il Vescovo di Trieste ha abitato, per scelta consapevole e voluta, le zone del sacro. Ha rivendicato - sfumiamo: ribadito - i “diritti di Dio”. Ha ritenuto che il messaggio evangelico fosse all’insegna di valori da non compromettere e da dover riaffermare, soprattutto contro visioni etiche ritenute incompatibili con il cristianesimo nella sua versione cattolica. Si è avuta l’impressione, forse sbagliata – nel qual caso ovviamente siamo pronti a ricrederci – che l’annuncio della Risurrezione fosse una vittoria, sulla morte, più di vita che di amore. L’ortodossia a fronte dell’ortoprassi. La “caritas in veritate”, sottolineando il secondo sostantivo piuttosto che il primo. Del tutto lecito, beninteso, ci mancherebbe. 

Ma così la figura del Vescovo resta, è restata, distante dalla ferialità dei giorni, che abbisognano di qualcuno che venga a trovarci, si sieda alla nostra mensa, ci guardi negli occhi, non ripeta frasi fatte, non si accontenti di cercare consensi alla dottrina, ma cerchi, appassionatamente, entusiasmi da accendere.

Se un Vescovo non fa questo, che cosa fa? 

Replicava don Tonino Bello alle critiche di Mario Cervi in una famosissima puntata di “Samarcanda” durante la Guerra del Golfo: «Di che cosa si deve interessare un Vescovo? Del colore dei paramenti o del numero di candele da mettere sull’altare?».

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni sino alla fine del Molo Audace per lasciarsi innamorare dalla luce del tramonto sul nostro Golfo.

Per i morettiani ardenti ed incalliti (come il qui presente direttore di questo nostro settimanale), l’ultimo film del nostro Nanni Moretti ha le dimensioni del capolavoro, per portata simbolica – certo, anche onirica, ma senza sogni moriamo -, per carica ideale, per afflato nostalgico, per consapevolezza della precarietà delle nostre vite.

Non è stato il Partito Comunista Italiano a regalare il “Sol dell’Avvenire”, no. Nel 1956 non si è schierato dalla parte degli insorti d’Ungheria, come favoleggia - sogna, appunto - Nanni nel suo finale, bensì si è ben sistemato dalla parte del Cremlino. Che è esso stesso simulacro d’ogni potere amante di sé medesimo. Anche il Vaticano è stato un Cremlino ed anche il Cremlino è stato un Vaticano. Ed il papa attuale sconvolge proprio perché ha frantumato, speriamo per sempre, questa sinistra biunivocità biopolitica che ha attraversato pressoché tutto il Novecento.

Il Vangelo, però, ci indica un orizzonte all’insegna della laicità, non della separazione tra sacro e profano, tra chierici e laici, tra battezzati e non cristiani.

Questa domenica mattina a Trieste c’è – ancora – un Amministratore Apostolico, il suo Vescovo emerito, mons. Giampaolo Crepaldi. Da poco dopo le 16 di questo pomeriggio, durante le messe, nel Canone, si assocerà invece alla Preghiera Eucaristica, dopo il nome del “tuo servo e nostro Papa Francesco”, quello del “nostro vescovo Enrico”.

Ci ridiamo, allora, appuntamento a stasera.

Intanto, segnaliamo, con grande felicità e pure commozione, il ritorno della rubrica di Miriam Camerini in questo numero e ci permettiamo una considerazione, naturalmente azzardata come (quasi) sempre: la nostra futura rabbina sembra quasi lo specchio - laico, al femminile e di confessione ebraica - di chi da oggi guiderà la Chiesa cattolica di Trieste.

È l’utopia per la quale riusciamo ad alzarci ogni mattina. 

Sì, il “Sol dell’Avvenire” ci sta ancora davanti. 

Buona domenica.