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Tordo di montagna ambrato, Montagne d’Ambre National Park, Madagascar - foto tratta da commons.wikimedia.org


La religione di sempre



di Dario Culot


Nel mondo ci sono circa 800 religioni, pari a circa 800 risposte culturali al bisogno del sacro. Dio non si scandalizza per questo; al più sono i sostenitori fondamentalisti di ogni singola religione o i cercatori del Dio dei dogmi a scandalizzarsi, nella convinzione di essere gli unici veri credenti, convinti che i credenti delle altre 799 religioni sbagliano tutto. Eppure Dio non combatte contro nessuna religione; sono sempre i ferrei sostenitori di una singola religione a combattere per imporre i dogmi della propria religione a tutti gli altri[1]. Fermandosi al cristianesimo, forse i cristiani non dovrebbero occuparsi di ribadire le sante verità, ma solo prendersi cura della vita, lavorare per aiutare a credere alla vita e dare speranza a questo mondo. In altre parole, i veri cristiani non sono quelli delle sante verità contenute nei dogmi, ma quelli della Bella Notizia[2].

In Italia, probabilmente non per molto ancora, viene definito credente colui che osserva la religione cattolica; ma nel Nord Europa credente è sinonimo di protestante, e nell’Africa del nord che si affaccia sul Mediterraneo è sinonimo di musulmano. Essere qui cattolici, lassù protestanti e laggiù musulmani fa parte della propria identità, ed è una realtà inconsapevole prima ancora che consapevole[3]. L’appartenenza religiosa, dunque, è determinata in concreto da una mera variabile geografica: dipende in gran parte dal posto in cui si è nati. Quindi, in linea di massima, dipende da un evento fortuito. Infatti, se qui colui che crede che Dio è Trinità e Gesù è la seconda persona di questa Trinità fosse nato in un Paese musulmano e avesse fin da piccolo assorbito quella religione, sarebbe certo che l’unica vera religione è quella musulmana, che qui invece ritiene sia intrinsecamente sbagliata solo perché è nato un po’ più a nord della Libia, e non certamente perché conosce l’islam dopo approfonditi studi (ma se è per quello, normalmente non avrà fatto approfonditi studi neanche sulla propria religione cattolica).

Appare allora abbastanza evidente che per essere vero credente non è sufficiente dare adesione a una religione, come invece si legge nella definizione riportata da vari dizionari, perché la religiosità è innanzitutto un fatto culturale, che si insegna per contagio, come il linguaggio, come le abitudini di galateo, di abbigliamento o di gastronomia. Tutti, nel mondo, si comportano così. Non si mangia allo stesso modo in Italia o in Marocco, in occidente o in oriente. Per me il digiuno del Ramadan non ha gran senso, ma ha senso per milioni di persone che abitano vicine e lontane. Come mai? Quando uno vede che il suo vicino ha le sue stesse convinzioni, questo rinsalda le credenze reciproche. Poi può anche succedere che nel corso dei secoli la rete di significati si disfi e se ne crei una nuova[4]. Duemila anni fa si adorava Zeus: oggi non lo adora più nessuno. Le abitudini sono diverse secondo la cultura, e la religione fa parte della cultura di quel posto. Come cambia la cultura, cambia pian piano anche la religione. I bambini cattolici hanno imparato a farsi il segno della croce[5] per imitazione; i bambini musulmani hanno imparato a inginocchiarsi verso La Mecca per imitazione; i bambini armeni, che escono dalla chiesa camminando all’indietro fin sulla porta per rispetto all’interno sacro, lo hanno imparato per imitazione. Potremmo perciò dire che la religione consiste nell’accettare una serie di idee, anche se uno non le capisce, perché così ci hanno insegnato e così fan tutti. E inoltre, la religione consiste nell’adempiere a una serie di norme e di leggi, quantunque risultino sgradevoli e disturbanti, e perfino se non si capiscano[6].

In Italia stiamo diventando pian piano multi religiosi, e solo formalmente siamo in maggioranza ancora cattolici. Infatti è difficile sostenere che oggi la società in Italia sia tenuta insieme dal fatto che i cittadini si riconoscono nella stessa religione; se non ci si riconosce più in questo elemento identificativo, vuol dire che questo elemento non è più sufficiente a formare una comunità, e vuol dire che la religione cattolica non fornisce più agli italiani un senso comune di appartenenza. In ogni caso, però, va ribadito che aderire alla religione cattolica e poi professarsi cattolico non vuol dire ancora essere credente: non basta cioè un fatto culturale per essere credente[7].

Se solo si pensa all’insegnamento dell’incarnazione del cristianesimo, dovrebbe essere chiaro che Dio non si è incarnato in una cultura o in una religione, bensì nella carne di un uomo; e l’essenza di tutti gli uomini, presi singolarmente o pluralmente, è l’umanità, ciò che c’è di minimamente umano, cioè quello in cui tutti gli esseri umani sono uguali. Se Dio si è fatto carne mostrandosi in un uomo, si è fuso con quello che è comune a tutti gli esseri umani. Non si è certamente fuso in un uomo dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, come spesso viene raffigurato Gesù. In questo senso si può dire che Dio si è fatto presente in quello in cui tutti gli umani coincidono, a prescindere dalla loro origine, cultura, religione[8]. Per questo, l’incontro con Gesù è necessariamente convergenza. Dove ci sono persone che si considerano credenti in Gesù, ma vivono questo loro credere in modo che la fede non si traduca in convergenza, in avvicinamento e unione tra le persone, si può affermare con sicurezza che lì la fede, anche se proclamata, non esiste. Dove non c’è convergenza, non c’è fede in Gesù[9]. Chi si dichiara cristiano e poi vuole allontanare da sé chi ha un colore di pelle diverso o una cultura diversa, non è ancora cristiano. Dove c’è disuguaglianza non c’è la presenza di Gesù, perché Gesù ha scelto i poveri, per dare pari dignità a tutti gli uomini[10].

Quindi se si crede che Gesù è l’incarnazione di Dio, dovremmo pensare che la condizione carnale umana, che è comune a tutti gli uomini, viene prima di ogni regola religiosa e di ogni limitazione culturale, sociale e storica. E se Gesù ha cominciato la sua missione proprio nell'insignificante Galilea, perché in quella direzione lo aveva spinto con forza lo Spirito come dice il Vangelo (Lc 4, 14), vuol dire che Dio stesso voleva si cominciasse proprio da lì, cioè dal basso,[11] dagli ultimi, dagli esclusi, ed è quindi dagli ultimi il da dove ci si poteva e ci si può ancora sintonizzare con Gesù. L’incarnazione in Gesù è stata invece vista, interpretata e spiegata soprattutto come la divinizzazione dell’umano, ed ecco la «religione di sempre» che vuol spingere la gente verso la santità. Ma il santo si separa da chi santo non è. Sappiamo che il diavolo è per definizione colui che divide, colui che separa: quindi dividere l’umanità in santo e peccatore, regolare e irregolare è diabolico[12]. L’uomo veramente religioso non separa, non crea divisioni, partecipa al mistero dell’unità del tutto in Dio. Il vero credente è un uomo di comunione, mentre l’uomo irreligioso è uomo di separazione, di divisione, di partito, di durezza[13].

A conferma di questa idea, se crediamo che la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.) dica il vero, fa intendere che il samaritano, il più lontano da Dio e destinato a sicura perdizione secondo la religione, è l’unico che si ferma, si sporca, perde il suo tempo e il suo denaro per aiutare un uomo sconosciuto, e fa tutto questo gratuitamente senza alcun secondo fine; quindi, ciò che Gesù realmente insegna è che chi si prende cura di un altro essere umano in stato di bisogno è l’unico vero credente anche se non è affatto santo, anche se non pensa a Dio o non crede a Dio, perché comunque col suo comportamento che ridona vita, che cura la vita, assomiglia a Dio; inoltre questa parabola insegna che la necessità umana viene prima dell’osservanza divina[14]. In altre parola, ciò che davvero conta nel cristianesimo è la cura dell’altro.

Perciò, quando parlo della «religione di sempre» intendo la religione insegnata che, in qualunque forma si presenti, in definitiva ciò che fa è stabilire piani sempre perfettamente separati, distinti e inconciliabili: a cominciare dal piano del divino e separato dal piano dell’umano. E ogni religione monoteista ha la pretesa di essere «la scatola che contiene una verità trascendente, che esclude qualsiasi altra»[15].

Anche nella nostra religione, Gesù è stato presto divinizzato come l’unico vero Dio, l’unico Salvatore e l’unico Signore. Orbene, dal momento in cui è successo questo, il cristianesimo è stato visto, nella mentalità di tutti i suoi seguaci, come l’unica vera religione. Ma a quel punto Gesù ha smesso di essere «punto d’incontro» nel quale tutti gli esseri umani trovano il meglio di sé, avendo egli spiegato che Dio è Amore[16]. Dal momento in cui Gesù ha cominciato ad essere visto come il fondatore di una religione escludente gli infedeli, gli eretici, i peccatori, questo Gesù, così deformato, ha iniziato ad essere «motivo di divisione». Divisione fra cristiani ed ebrei; e, secoli più tardi, fra cristiani e musulmani[17].

Il discorso tipico della religione è che Dio è l’Assoluto, colui che sta al di sopra di tutto e di tutti, e questo si può rappresentare nel mondo solo attraverso idee, valori e immagini mediante i quali noi, dalla nostra disumanizzazione, colleghiamo l’Assoluto e l’Infinito con il più alto e il più sublime. Purtroppo però, ciò che colleghiamo all’alto e al sublime è normalmente il potere e l’onore. E allora si arriva al punto essenziale che la religione elabora la nostra «rappresentazione» di Dio non da quello che ci umanizza, ma da quello che ci disumanizza. Il potere e l’onore, che consideriamo così necessari si ipertrofizzano e crescono fino a diventare prepotenza che domina e sottomette, sì che uno sta in alto e comanda, gli altri stanno sotto e obbediscono[18]. Così lo specifico di Dio viene ad essere il potere senza limiti e la dignità senza macchia alcuna. Da cui segue che la religione educa i fedeli a questi valori, elevati a valori indiscutibili, come indiscutibile è Dio. Il problema è che nulla di questo ci umanizza, ma solo ci disumanizza[19].

Gesù ci aveva invece indicato una strada completamente diversa: liberarci della nostra disumanità per diventare sempre più umani. Liberarci della nostra in-umanità è un compito così duro e così costoso come caricarsi della croce e mettere in gioco troppe cose alle quali nessuno è disposto a rinunciare. Alla gente religiosa risulta più gestibile e più sopportabile sottomettersi ai templi, agli altari, cerimonie, rituali, sacerdoti, rabbini, iman, guru...dirigenti ai quali obbedire e dai quali apprendere come si deve vivere, cosa si può fare e cosa non si può fare, ciò che è buono e ciò che è cattivo[20]. Siamo in troppi ad aver bisogno di tutto questo. Perché tutto questo ci dà sicurezza e conseguentemente ci sentiamo meglio. Senza la religione di sempre, c’è molta gente che si trova a disagio, si sente disorientata, indifesa, insicura, precipitata in una profonda oscurità, tirando sempre a campare, trascinandosi dietro paure inconfessabili. La religione, con i suoi dogmi fissi, perenni e indiscutibili, è rassicurante.

Noi tutti siamo umani perché abbiamo limiti e grettezze di cui a volte anche ci vergogniamo. Ma nel nostro impeto di potenza, cerchiamo di dimenticare i limiti della nostra umanità, le nostre debolezze e le nostre piccolezze. Anche la religione, che mira all’alto, al santo pretende di non avere né debolezze, né piccolezze, e proprio per questo spesso disumanizza, indurendo i cuori dei ferventi credenti, i quali sono convinti di dover confermare tutti nella fede ripetendo riti sacri e perdonando solo attraverso precisi riti gl’impuri peccatori che non seguono le loro stesse osservanze, sempre collegate al sacro, al religione, alla cultura.

Il racconto delle nozze di Cana dimostra però come un simile modello religione, intesa come celebrazioni religiose e purificazioni, può anche essere del tutto assente in una casa, perché per Gesù ciò che conta è lo stare bene e l’allegria[21]. Come spiega anche l’evangelista Matteo (Mt 11, 2-6) la Buona Novella che Gesù ha portato al mondo non è soltanto per l’elevazione delle anime. Il Lieto Annunzio di Gesù vorrebbe ridare la vista (far vedere) coloro che vivono come ciechi, affinché vedano quello che poi devono fare; affinché coloro che vivono come sordi si rendano conto di quello di cui si devono rendere conto; coloro che vivono come zoppi e non possono camminare nella vita, camminino e vadano dove devono andare; quelli che vivono come lebbrosi e per questo devono stare separati dagli altri, vivano finalmente insieme a tutti; quelli che vivono come morti, perché la vita in cui si trascinano non è vita, vivano beati e con allegria; che i poveri ed i disgraziati smettano di esserlo[22]. E soprattutto non occorre prima purificarsi per avvicinarsi a Dio ma è l’accoglienza di Dio che renderà puro il peccatore[23]. Anche Pietro, come tutti i primi cristiani, ci han messo del tempo per capire questo fondamentale principio. Quando hanno saputo della conversione del centurione e della sua famiglia i capi dei cristiani hanno detto: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso la conversione»” (At 11, 18). Ma non è vero! È accaduto esattamente l’inverso. La conversione si è operata in Pietro, il quale si è convertito grazie al centurione pagano. Non si è mica convertito Cornelio. Cornelio, il centurione pagano, viene presentato come l’uomo già animato dallo Spirito, non come l’uomo cui Dio ha concesso di convertirsi. Ai pagani Dio ha concesso il dono dello Spirito, non la conversione. Invece, solo con la sua conversione Pietro ha finalmente capito che, secondo Gesù, l’accoglienza di Dio è ciò che rende pure le persone, e che non occorre essere puri per accedere a Dio. Gesù era ormai morto da diversi anni, quando Pietro ha finalmente capito che l’essenza della Buona Novella sta in questo. Noi, dopo duemila anni, l’abbiamo capito?

Guardiamo infine a come la «religione di sempre» ha svuotato il messaggio evangelico rendendo anche coloro che si dichiarano cristiani più simili ai pagani che ai seguaci di Gesù.

a) Ancora oggi molti cristiani (o che per lo meno pensano di essere tali) non pregano il Dio-Padre di Gesù: infatti pregano una divinità lontana e poi aspettano che Dio intervenga. Ma così scaricano sulle spalle del Padreterno quello che sarebbe compito nostro: dovremmo essere noi a condividere con i nostri fratelli, ad occuparci dei loro bisogni. Se dopo la nostra richiesta il Padreterno non fa nulla, peccato per i nostri fratelli, ma noi che lo abbiamo pregato ci sentiamo con la coscienza a posto, a posto col mondo e con Dio. Invece adempiere alle regole religiose, obbedire al magistero e fare quello che dice, non basta per essere a posto[24]. La triste realtà è che molti, anche convinti di essere veri cristiani, riducono l’eucarestia all’adorazione frequente[25] dell’ostia,[26] e una volta adempiuto al rito pensano di essere a posto con Dio e con la propria coscienza, mentre non pensano minimamente di condividere e di comunicare vita agli altri, perché fare la comunione dovrebbe significare impegnarsi a farsi pane per gli altri, servire gli altri come ha fatto Gesù con la sua vita (e per chi non aveva ancora capito lo ha specificato con la lavanda dei piedi). Ecco allora che il cristianesimo del Gesù terreno c'inquieta: le nostre coscienze dovrebbero essere tranquillizzate non dopo aver seguito un rito liturgico, ma solamente se e quando ci si è spesi verso coloro che sono affamati, assetati, ammalati, immigrati; insomma verso tutti coloro che soffrono; certo che così si corre anche il rischio di pagare di persona, di subire violenza. Dovremmo convincerci che non serve a niente andare a messa, confessarsi e comunicarsi, pregare inginocchiati tutto il giorno, se questo non ci trasforma in buoni samaritani che alleviano le sofferenze degli altri. Allora è ovvio che questo diverso tipo di cristianesimo – che però è anche l’unico in quanto è l’unico che segue le orme Gesù - è molto meno diffuso, perché molto più difficile da vivere giorno dopo giorno, e non solo la domenica mattina.

Poi si pregano i santi forse più spesso di Dio, per cui dall’esterno anche il cristianesimo può apparire politeista. E perché abbiamo questa tendenza a pregare i santi piuttosto che Dio? Perché con le miriadi di santi è stato riprodotto nel cristianesimo il rapporto utilitaristico sacro che era proprio del Mediterraneo pagano: “tu mi fai la grazia, io ti do l’offerta…”. Uno scambio di favori che non ha nulla a che fare col vero cristianesimo,[27] il quale è innanzitutto gratuità.

b) Ancora oggi molti cristiani (o che per lo meno pensano di essere tali) mettono al centro della loro credenza religiosa il rito. Però ogni rito è un’azione che, dovuta all’osservanza esatta delle norme (nelle quali consiste il rito), finisce per costituire un fine in sé. E quando il fine è adempiere al rito nell’osservanza delle sue norme, da quello stesso momento la condotta morale viene allontanata dal centro della vita del soggetto religioso osservante. L’osservanza del rituale sacro produce pace nella coscienza dell’uomo religioso, e colui che ha la sua coscienza in pace automaticamente si disinteressa delle altre esigenze alle quali non presta attenzione. Può perfino succedere (e purtroppo succede) che il soggetto osservante non si renda neanche conto dei doveri etici che lo dovrebbero coinvolgere, ma dai quali in realtà non resta coinvolto. Quello che veramente lo coinvolge nella sua vita è l’osservanza della religione, mentre gli altri, all’esterno, vedono nitidamente tutte le contraddizioni della sua vita[28].

Basta leggere il vangelo di Marco, in cui il rituale ed il sacro non solo non sono presenti, per capire che essi non ebbero neanche importanza per Gesù. Di più: si scopre che la vita di Gesù è stata uno scontro costante con “il rituale” ed con “il sacro”, con gli osservanti della legge e delle regole, delle cerimonie e degli atti religiosi. Da lì il conflitto incessante con i farisei e gli scribi e, soprattutto, il rifiuto del Tempio, controbilanciato dal rifiuto mortale che Gesù ha ricevuto dagli uomini di religione, i sommi sacerdoti, che non hanno neanche avuto tentennamenti nel condannarlo a morte[29]. Mai e poi mai si menziona nei vangeli che Gesù abbia organizzato atti religiosi o assemblee di culto sacro. Gesù andava per le strade, i villaggi, i paesi, andava a casa degli ammalati, se lo si vedeva nella sinagoga non era mai per pregare, ma per parlare alla gente, mai per dispensare verità vincolanti racchiuse in sacri dogmi. Alleviava le sofferenze, accoglieva quelli che nessuno voleva, parlava di Dio come di un Padre che ama tutti, accoglie tutti, non rifiuta mai nessuno. E di frequente, parlando in maniera che irritava l’uditorio, scandalizzava gli osservanti, suscitava in alcuni ammirazione, ma in altri la rabbia. Di sicuro non lasciava indifferenti le persone che lo ascoltavano. Già duemila anni fa Gesù si era reso conto del rischio del rituale fine a sé stesso (basta ricordarsi del sacerdote Zaccaria, tutto preso dal suo sacro rituale - Lc 1, 8-23) e proprio da qui è nato lo scontro religioso col magistero. Dopo duemila anni ancora succede che noi ci adagiamo nella pratica religiosa meramente devozionale, senza arrivare quasi mai alla fede.

Non dovremmo perciò chiederci se siamo andati o meno a messa la domenica, ma con quale logica ci muoviamo in tutti e sette i giorni della settimana. Anche se non ci rendiamo conto, nel nostro piccolo, ciascuno di noi costruisce storia, realizza un filo del grande tappeto della storia. Perciò, se ogni giorno litigo col vicino, con un altro automobilista per un parcheggio, con l’impiegato alle poste, con chi è in fila alla cassa del supermercato, sono in realtà un piccolo guerrafondaio, ed è inutile che poi vada a messa di domenica.

c) Anche il digiuno può facilmente trasformarsi in un mero rituale. Crediamo veramente che mangiare un bel pesce di venerdì sia una forma di mortificazione o di solidarietà verso quelli che hanno di meno? O guardiamo al digiuno come un precetto obbligatorio, e cerchiamo di dare il meno possibile del nostro come fosse pagare una tassa? O forse lo facciamo ancora solo per dimostrare a noi stessi la nostra capacità di auto-dominio? Anche qui ciascuno dovrebbe chiedersi: il mio digiuno serve per rivedere il mio stile di vita, i consumi quotidiani? Infatti digiunare – come vien chiarito nella Bibbia dei profeti (Is 58, 4-7) – non vuol dire astenersi dal mangiare prosciutto di venerdì, ma significa dividere il pane con chi ha fame, aprire la propria casa a chi non ha un tetto, dare un vestito a chi non ne ha, sentire come propri i bisogni degli altri; il resto è menzogna, falsificazione. Abbiamo fatto qualcosa di questo con gli immigrati e i profughi che arrivano costantemente in Italia?

Forse, se oggi ci sono ancora tanti cristiani che si accontentano di vivere una fede devozionale, cultuale, ritualistica, rimanendo sordi alle necessità dei fratelli, è perché la Chiesa si è occupata troppo di sacre verità, ma troppo poco di diffondere la Buona Novella. Come ha detto l’arcivescovo Giuseppe Satriano “Solo lamore che opera dona respiro alla fede, e non esiste una fede di solo culto; dove quest’ultima viene praticata, essa diventa una specie di feticcio protettivo e basta.”





NOTE

[1] I cattolici giustificano questa esclusività con Gv 14, 6. Gli ebrei col primo comandamento della Torah (Es 20, 2-9; e chi adora un altro Dio merita la morte – Dt 8,19). I musulmani col fatto che esiste un unico Dio e Maometto è il suo profeta. Invece non esiste un unico sentiero che porta a Dio: per noi Gesù è la via, la verità e la vita solo perché è il metro con cui possiamo misurare la presenza di Dio negli altri (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 221,264 e 255).

Cristiani e musulmani non riescono a mettersi d’accordo sulle credenze religiose, ma curiosamente concordano sul Credo monetario. Il denaro è l’unico sistema di fiducia creato dagli uomini capace di scavalcare ogni divario culturale e che non fa discriminazioni di sorta (Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 234).

[2] Conferenza del vescovo Derio Olivero a Romena, in https://www.youtube.com/watch?v=GX7qavhm2hU

[3] Ristagno S., La teologia protestante, in Le Chiese della Riforma, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 23.

[4] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 217s.

[5] Gli ortodossi sembrano fare il segno della croce rovesciato rispetto a noi, andando prima sulla spalla destra e poi sulla sinistra; ma non è così perché la parola <Spirito> è sempre abbinata alla spalla sinistra: loro dicono Santo Spirito anziché Spirito Santo.

[6] Ad esempio: perché nelle chiese c’è l’acquasantiera e perché tanti intingono le dita solo entrando e altri anche uscendo?

[7] Fausti S., Chi ha paura del dialogo, in Popoli, n.6-7/2010, 80. Anche l’idea che aderire con perseveranza a una tradizione storica diventa scelta consapevole e confessione di fede non fa che confermare che aderire alla religione è innanzitutto un fatto culturale (Kampen D., Introduzione alla spiritualità luterana, Claudiana, Torino, 2013,12).

[8] Per questo Gesù era seguito da tutti i tipi di persone, a prescindere dalla loro origine, dalla loro cultura, dalla loro religione, dalla loro moralità. Persone di paesi stranieri, di religioni diverse, di origini sconosciute (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 279).

[9] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 329.

[10] Cugini P., Visioni postcristiane, EDB, Bologna, 2019, 36.

[11] Ma l’umano di Gesù è stato l’umano di una povera e umile creatura nata in miseria in una stalla, vissuta come un escluso che non aveva nemmeno un posto per poggiare il capo e, soprattutto, morto giustiziato come un individuo inaccettabile, trascinato sul patibolo dai poteri religiosi e politici come fosse uno schiavo o uno straniero. In questo si può riassumere la realtà storica di quell’uomo che è stato Gesù (Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 326).

[12] Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 106.

[13] Vannucci G., Parole che cambiano, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2018, 60.

[14] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 317.

Del resto, questa tesi viene ripetuta più volte nei vangeli: Giovanni predica un battesimo per il perdono dei peccati (Lc 3, 2s.), cioè in segno di un cambiamento di vita. Dove? Nel deserto. Ma nel deserto andava di solito la gente che voleva fuggire dalla società. Quindi, per il potere, si trattava già di gente sospetta. Dovremmo essere scossi dal fatto che da questo tipo di gente è venuta la Parola di Dio al mondo, non dal sacro Tempio dei sacerdoti. Invece la cosa non ci tocca.

[15] Barnavi E., Las religiones asesinas, Turner, Madrid, 2007, 47s.

[16] Se Dio si definisce come «amore», tale definizione non è, né può essere, una definizione metafisica. Perché l’amore non è una verità di carattere ontologico, bensì un’esperienza, che ci rinvia al procedere, o più esattamente, all’avvenire della vita.

[17] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 327.

[18] Se colui che era in alto è venuto ad abitare in mezzo a noi, significa che d’ora innanzi nessuno può porsi in alto ritenendosi migliore di altri (Cugini P., Visioni postcristiane, EDB, Bologna, 2019, 35).

[19] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 376.

[20] Idem, 323.

[21] Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 17s.

[22] Idem, 65.

[23] Maggi A., Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato, in A partire dai cocci rotti, Cittadella, Assisi, 2001, 44.

[24] Per questi fedeli la misericordia non può mai andare oltre la legge di Dio, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/06/11/papa-francesco-misericordia-non-solo-consolare-e-giustificare___1-v-143092-rubriche_c323.htm.

[25]La comunione frequente è arrivata solo ai tempi di Pio X all'inizio del 1900, ed il canone 863 del codice canonico del 1917 incorporò il principio: prima del decreto Sacra tridentina synodus la maggioranza dei cattolici riceveva l'eucarestia una-due volte all'anno (O'Malley J.W., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 75).

[26] Un indio guaranì, accusato da un missionario gesuita del secolo XVI di adorare il mais, rispose: “Ma voi non adorate il pane?” (Barros M. e Tomia L., Uno e molteplice, in “Per i molti cammini di Dio”, Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 101).

[27] Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 212.

[28] Castillo J.M., Teología Popular (III), Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 111.

[29] Idem, 109.


Numero 667 - 26 giugno 2022